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Nostalgia canaglia

Autore

Francesco Cascinohttps://www.francescocascino.com/
Sono nato a Matera il 28 Giugno 1965 e mi sono laureato in Scienze politiche nel 1989. Dal 1990 al 2000 sono stato Direttore delle Risorse Umane in tre diverse multinazionali. Oggi sono Contemporary Art Consultant e Cultural Projects Curator e mi occupo di arte da parete e arte da processi, cioè sia di arte da collezione a beneficio di privati, appassionati e collezionisti, sia di arte come pratica e approccio progettuale art thinking oriented per imprese di ogni genere, istituzioni e rigenerazione culturale, urbana e umana. Come Art Consultant informo e supporto le scelte di collezionisti, acquirenti e appassionati di arte contemporanea nella selezione di opere d’arte di ricerca e di alta qualità, nell’analisi del miglior rapporto qualità prezzo e nella progettazione di intere collezioni, in Italia e nel mondo. Come Cascino Progetti mi occupo di ideazione e realizzazione di contenuti, interventi temporanei, installazioni permanenti, inserimento di arte e artisti a monte dei processi di ogni tipo di azienda e attività. Mi occupo inoltre di rigenerazione culturale e urbana di città, borghi, territori e paesaggio (insieme al mio Advisory Board e ai miei Partner che si occupano di heritage management digitale, architettura, design, economia della cultura e diritto societario).

Più che mai oggi si ricorre alla nostalgia per compensare i vuoti di senso che immagini rapinanti e pubblicità ingannevoli hanno generato negli ultimi 50 anni. Una nostalgia senza senso, naturalmente, perché priva di sensi e di esperienza diretta della verità. 

Di solito i guru della comunicazione toccano le corde della nostalgia attraverso le immagini ruffiane e la retorica ricattatoria, e chi ha dei vuoti reali ne subisce il fascino tossico e ingabbiante. Siamo al degrado attuale proprio per questo motivo, e quando la buriana dell’ignoranza sdoganata come valore finirà, e finisce sempre, la storia e le persone chiederanno conto. Succede da millenni, chi mette in campo il veleno della retorica di superficie non sa che fine fanno i seduttori populisti perché non studia. Basterebbe guardare Berlusconi e la vita che ha fatto; ha dovuto comprare affetti banali con gli effetti speciali. 

Jeff Koons però lo aveva previsto: non avremmo avuto bisogno di due bidoni aspiratutto e tre lucidatrici nel 1981, ma se le trovi disposte come una Pala d’altare di Piero della Francesca, con un plexiglass che ti fa pensare di non poterli avere e in una lucentezza invitante che le fa diventare la soluzione alla povertà del tuo quotidiano in affanno, allora li compri tutti e cinque. E aveva ragione, come tutti i grandi artisti. Nostalgia dell’intelligenza? A questo punto ce l’avrei anch’io. 

La nostalgia in realtà nasconde il bisogno d’amore, inutile girarci intorno. E la sua perdita irrimediabile finché si sostituisce con le comfort zone dei luoghi comuni. 

Le conseguenze dell’amore le subiscono quelli a cui è stato interrotto il rapporto di scambio tra emisfero destro e sinistro, per via di educazione rigida o di sottocultura dell’ordine che non è mai armonia, o di paure e cattive esperienze che creano la ragione, sfera della quale nasciamo privi, sia ben chiaro, essendo solo esseri istintuali, o chissà per quanti altri motivi. 

Sin dall’inizio del secolo il rapporto virtuoso, benefico e a volte terapeutico di arte e partecipazione estetica alla vita culturale – intesa come coltivazione del vero sé e quindi antidoto al diffusissimo falso sé creato da miti della modernità efficientista – è oggetto di indagine e riscontro da parte di scienziati e artisti stessi i quali, questi ultimi, si formano sulle materie e sulle competenze degli scienziati cognitivi e in_formano il resto del mondo sulle infinite possibilità dell’enigma intelligente. A questo gli artisti aggiungono la libertà di oltrepassare i confini della scienza, ma mai i limiti del mondo, come direbbe Ugo Morelli, e per questo scoprono valenze e valori fisici e metafisici di importanza vitale ben più distanti dalla realtà percepita e mai distinti dalla vita vera; il mondo invisibile che esiste e non vediamo senza l’arte che lo porta in emersione. 

Per infondere il sentimento della nostalgia i grandi fabbricanti di immagini progettano come fermare l’indagine; infatti spesso usano il fermo-immagine per indurre a fermarsi lì dove l’occhio vede ma la ghiandola pineale si ferma, perché il contesto, il gesto, il soggetto o l’oggetto sono protagonisti e non lasciano spazio all’immaginazione, non fertilizzano altro che nostalgia, senso di inferiorità, irraggiungibilità passiva e quindi demotivante, frustrante e a volte persino depressiva. Da qui i guru fanno nascere la soluzione: sofficini, bevande, gelati o essenze che arriveranno a risolvere ogni nostalgia, riempiranno di gusti i vuoti dell’immaginario scarno che comincerà quindi a ragionare per profumi lontani, andati, passati e trapassati di moda e di modo. 

L’essenza mi salverà, pare dire l’inconscio, perché in fondo non è assenza, è invece presenza sensoriale, percepita, rinata come per miracolo. E poi il passato c’è, non è futuro inesistente ma accadimento vissuto, quindi ha un senso. 

Per questo Michele Costabile dice spesso che la pubblicità ha rubato all’arte le modalità di attivazione del senso, disinnescando peròil senso critico  – aggiungo io – attraverso i meccanismi di comparsa di tempi scomparsi, possibilità che sembravano morte, opportunità di rinascere mille e mille altre volte. 

Illusioni, i veri ingredienti della nostalgia. 

Per questo l’arte è una indispensabile indagine attraverso immagine, e lascia spazi infiniti alle soluzioni dei buchi inutili della nostalgia con l’aggiornamento continuo emotivo, psicologico e sentimentale delle proprie capacità di vivere, convivere e relazionarsi. 

Mentre un fermoimmagine è sempre nostalgia canaglia. 

Anzi, nostalgia Chinaglia. 

www.francescocascino.com 

Roma, 24 Ottobre 2022

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