Sostenete di aver imparato molto a scrivere questo libro che fa imparare molte cose a noi sulle vie per costruire una buona economia. Cosa avete imparato, soprattutto dopo che avevate già vinto il Premio Nobel?
“Abbiamo imparato a concentrarci ostinatamente sui dati reali, diffidare delle risposte superficiali e delle soluzioni miracolose, affrontare con umiltà e onestà le cose che non capiamo ed essere pronti – forse la cosa più importante di tutte – a sperimentare idee e soluzioni e a sbagliarci, se questo serve ad avvicinarci allo scopo ultimo di costruire un mondo più umano”.
Ecco, ci siamo: quest’ultima espressione è l’unico neo di un libro molto importante e ben scritto!
“Come?! Perché?”
Perché il mondo in cui viviamo ha bisogno di essere riconosciuto da noi non solo come umano, cioè appartenente alla nostra specie che sarebbe prioritaria oltre che essere dominante come già è sulla Terra, ma dobbiamo riconoscerci terrestri, cioè parte del tutto in un sistema vivente di cui siamo parte e da cui la nostra stessa vita dipende. Non pensate che affrontare il tema della povertà e delle disuguaglianze per costruire, come voi la definite, una buona economia, sia necessario un radicale cambio di paradigma?
“E’ quello che pensiamo, ma riconosciamo che avremmo dovuto evidenziarlo in maniera più chiara. Abbiamo scritto questo libro come un esercizio di speranza. Siamo partiti da un’analisi per cercare di capire a livello storico quello che è andato storto, ma abbiamo voluto tenere conto anche di ciò che è andato per il verso giusto appunto ci siamo concentrati perciò non solo sui problemi ma anche su quello che possiamo fare per rimettere insieme il nostro mondo appunto condizione indispensabile riuscire a fare una diagnosi onesta. Dobbiamo capire perciò dove ha fallito la politica economica, dove ci siamo fatti accecare dall’ideologia, dove non siamo riusciti a vedere cose ovvio. Solo così riusciremo a mettere in evidenza le condizioni di una buona economia.
La vostra ricerca è accompagnata da impegni applicativi concreti e importanti.
Non potevamo starcene in disparte né dal dibattito pubblico né dal cercare di affrontare questioni economiche fondamentali come l’immigrazione, le disuguaglianze nei commerci, la distruttività della crescita, la disuguaglianza sociale, la crisi ambientale. Ci siamo resi conto, durante la nostra analisi, che i problemi che devono fronteggiare i paesi ricchi sono strettamente interdipendenti, in maniera inquietante, con quelli che siamo abituati ad affrontare nei paesi in via di sviluppo: persone lasciate indietro dallo sviluppo, esplosione della disuguaglianza, mancanza di fiducia nello stato, spaccature sociali e politiche, processi costanti di emarginazione. Così scrivendo questo libro abbiamo imparato molto e questo ci ha dato fiducia nella cosa che come economisti abbiamo imparato a fare meglio, cioè concentrarci sulla realtà, diffidare delle risposte superficiali e delle soluzioni miracolose, sperimentare idee e soluzioni e anche sbagliare, se questo serve ad avvicinarci allo scopo ultimo di costruire un mondo migliore.
Trattate con ironia le illusioni disciplinari dell’economia quando si pretende scienza esatta.
Rispondiamo con una storiella:
Una donna si sente dire dal suo dottore che le rimangono solo sei mesi di vita. Il dottore le consiglia di sposare un economista e trasferirsi nel South Dakota. La donna allora chiedi al dottore: “Questo curerà la mia malattia?”. Il dottore risponde: “No, ma i sei mesi le sembreranno lunghissimi”.