Accomunati in questo piccolo e profondo libro, da un concetto che sembra una provocazione; che cos’è l’ingovernabile?
Nel nostro tradizionale modo di pensare, che cos’è il potere se non l’esercizio di una capacità? Per il senso comune, la potenza del potere è meramente strumentale, come un mezzo, come qualcosa di cui si dispone. Qualcosa che si ha e non qualcosa che si è.
E non è così, secondo voi?
Tutt’altro. Pensiamo a una prospettiva che pensa il potere non come una potenza di cui si dispone, ma come una potenza dalla quale si è disposti. Ossia, per dirla con Nietzsche o con Foucault, come un gioco di forze, da cui non si è a distanza ma in cui si è immersi.
Che cosa significa governare secondo questa seconda concezione del potere?
Non imporre piani alla realtà, ma seguirne i flussi. L’immagine del sovrano non è più quella di una spada che cala dall’alto, ma quella del pilota della nave in un mare in tempesta. È un’immagine che entrambi ricaviamo da Platone, per il quale l’arte di governare (il verbo greco è kybernao) rimanda all’arte di timonare (kybernes è il timone della nave).
In fondo essere e potere coincidono. Essere non significa altro che produrre effetti. La potenza del potere è, in questa prospettiva, qualcosa che non può non esercitarsi nel modo in cui accade: non è un possibile bilaterale (possibilità di fare e di non fare), ma potenza di uno solo dei contrari. Da qui la responsabilità di scegliere cosa fare e decidere quali effetti produrre.