Dialogo con Michela Morandini
Lo stato di emergenza ha messo la lente di ingrandimento su tematiche che già prima esistevano, che venivano solo avvertite, anche se esistono da tempo dati evidenti. Ci si accorge che si deve iniziare a considerare la questione di genere e dei codici affettivi come una questione globale e non solo settoriale, che deve coinvolgere più settori e più interlocutori disposti a integrare le riflessioni che possono portare ad un cambiamento di rotta, fondamentale e necessario
In questi mesi di lockdown la situazione dei lavoratori ha subito un notevole cambiamento, non solo in termini spazio-temporali, ma anche riguardo alle dinamiche che si sono create nei diversi contesti.
Questa condizione si è verificata decisamente svantaggiosa per noi donne, in quanto ci siamo trovate a dover gestire mesi di impegno non solo professionale ma anche famigliare e personale.
Questi temi sono da molto tempo al centro delle mie ricerche e ho deciso di chiedere un confronto con Michela Morandini, Consigliera di Parità della Provincia Autonoma di Bolzano, che oltre ad essere un’amica, è una persona competente e sensibile e in questo periodo si è fatta carico di considerare decine di domande di aiuto e di consulenza che giungono proprio da donne in situazioni di sfinimento.
Insieme a lei ho cercato di capire quali sono le questioni portate dalle donne nel suo ufficio e quali sono le difficoltà maggiori che le hanno coinvolte in questi mesi.
Dopo un’iniziale richiesta di aiuto legata principalmente a consulenze informative, nelle settimane successive sono giunte le prime richieste di conciliazione famiglia-lavoro. In questa fase delicata le richieste giungevano da donne coinvolte in attività lavorative rilevanti, che chiedevano quali diritti hanno, in quanto il marito impegnato in smart working non poteva badare ai bambini. Queste persone, infatti, non sapevano dove lasciare i propri figli, non essendoci strutture in grado di accoglierli.
Dai primi dati raccolti si è evidenziato che le richieste di consulenza in seguito a discriminazioni sono state molte a livello nazionale. In alcune situazioni i dirigenti hanno deciso di lasciare agli uomini la possibilità di effettuare lo smart working mentre alle donne è stato chiesto di utilizzare le ferie dell’anno in corso, oppure sono state collocate in cassa integrazione.
Lo stato di emergenza ha messo la lente di ingrandimento su tematiche che già prima esistevano, che venivano avvertite, sulle quali esistono da tempo dati evidenti, come la conciliazione famiglia-lavoro. Michela Morandini sostiene che su questo argomento sono anni che persiste uno stato di emergenza, con notevoli disuguaglianze tra nord e sud. Al sud ad esempio esiste una copertura del 12% dei servizi per l’infanzia mentre in Alto Adige si arriva all’83%, anche se la copertura non è capillare.
In questa crisi è rimasto quasi totalmente non considerato il lavoro di cura rivolto alle persone con disabilità e anziane bisognose di assistenza, che ancora una volta è lasciato alle donne
Michela Morandini condivide una preoccupazione, non solo come Consigliera di Parità ma anche come donna, richiamando la condizione femminile. In questa crisi è rimasto quasi totalmente non considerato il lavoro di cura rivolto alle persone con disabilità e anziane bisognose di assistenza, che ancora una volta è lasciato alle donne: persone a forte rischio di born–out che stanno portando avanti con fatica il carico familiare e stanno anche lavorando. Lo smart working, voluto e atteso da tempo, è una modalità estremamente positiva nei contesti lavorativi ma dobbiamo stare attenti che non diventi penalizzante per le donne, e questo è un forte rischio. In questo momento si deve iniziare a discutere come utilizzare questo strumento ma soprattutto chiarire cosa si intende per smart working, in quanto spesso è confuso con il telelavoro. Il rischio che si sta verificando è che gli uomini rientrano in azienda mentre alle donne viene lasciata la possibilità di lavorare da casa per conciliare famiglia e lavoro. Far diventare normalità questa modalità di lavoro è alquanto pericoloso, in quanto riuscire a concentrarsi e a lavorare in casa con la presenza di figli o di persone da accudire è uno stress di notevole intensità, oltre che causa di ulteriore ingiustizia.
Far diventare normalità lo smart working è alquanto pericoloso, in quanto riuscire a concentrarsi e a lavorare in casa con la presenza di figli o di persone da accudire è uno stress di notevole intensità, oltre che causa di ulteriore ingiustizia
Riusciremo a rielaborare quanto successo e capire quali sono le reali difficoltà presenti da tempo solo se ci fermiamo a riflettere. Si sta piano piano tornando alla “normalità” ma i servizi che garantiscono alle donne che lavorano l’accudimento dei figli sono attivi solo in parte. In Alto Adige circa il 30 % dei bambini e dei ragazzini ha la possibilità di essere impegnato durante l’estate. E gli altri? E le mamme di queste bambine e bambini? Pare che lo smart working sembri essere la soluzione a questo problema. La provocazione mi viene spontanea ascoltando Michela Morandini, in quanto la situazione che si presenta appare un tuffo nel passato, quando la donna era chiamata ad abitare tra le mura domestiche con l’obiettivo di accudire la prole e rassettare la casa, nel proprio luogo d’origine. Rendiamo la donna trasparente, ripercorrendo gli stereotipi di genere degli anni ’50, e la rende trasparente anche al lavoro, dimenticandocene.
Riflettiamo insieme a questo punto sulle azioni che sono state messe in atto dal governo italiano per far fronte ai carichi di lavoro che ricadono inevitabilmente e principalmente sulle figure femminili. La ministra Bonetti ha portato avanti una proposta di legge delega chiamata Family Act, nata dalla necessità di far fronte al basso tasso di natalità in Italia. Ciò è stato fatto con l’obiettivo di innovazione, ma in verità si parla di sostegno alle donne perché devono essere sostenute, sono la parte debole che ha la necessità di aiuto e nel testo della proposta di legge è citato il sostegno al secondo reddito in quanto è risaputo che tale dicitura è generalmente rivolta al “secondo sesso”, in quanto le donne percepiscono di norma lo stipendio più basso. Solo le donne! E’ inoltre interessante notare che si parla di conciliazione famiglia lavoro senza citare in alcun modo il datore di lavoro che, in teoria diventa invece una figura fondamentale nel dialogo sulle questioni aperte e volute da questa proposta di legge, che dovrebbe essere anche una legge economica.
La cosa che più fa riflettere è che nel testo citato vengono presi in considerazione anche i padri, ai quali viene data la possibilità di avere il congedo che passa da sette a dieci giorni, che ad oggi pochi hanno utilizzato per paura di ripercussioni interne, ma a livello europeo nel 2016 è stato stabilito un congedo di dieci giorni e in una legge nazionale si inserisce un aspetto che a livello europeo esiste già da ben quattro anni e avrebbe dovuto già essere messo in vigore.
Staremo a vedere se le critiche che sono giunte aiuteranno chi decide e anche da noi si possano rivedere le questioni alla luce dei più recenti studi e delle più aggiornate ricerche.
Rendiamo la donna trasparente, ripercorrendo gli stereotipi di genere degli anni ’50, e la rendiamo trasparente anche al lavoro, dimenticandocene
Proprio a questo punto mi viene una domanda, sulla quale rifletto da molto tempo e che accompagna le mie costanti ricerche e decido di provare a condividerla con Michela Morandini.
Come mai ancora oggi queste dinamiche persistono nella società contemporanea? Mi risponde sottolineando che a questa sollecitazione riflette insieme a me da donna e non da Consigliera e mi fornisce uno spunto molto interessante. Secondo Michela Morandini questo passo non è ancora stato fatto in quanto cambierebbero i poteri all’interno della società. Chi accudisce i familiari bisognosi di cura e i bambini, se non lo fanno le donne? Dovrebbero farlo i servizi, ma la nostra società non è ancora pronta a investire così tanto per questo. Non c’è cambiamento in quanto coloro che prendono le decisioni sono nella maggioranza uomini e le donne che possono partecipare alle decisioni non sempre hanno potere per farlo.
Esiste inoltre un modello di società basato su un concetto di discriminazione che non riguarda solo le donne ma tutte le persone vulnerabili e questo comporterebbe un cambiamento del modello e dei poteri all’interno della nostra cultura e non abbiamo nessuna convenienza per farlo.
Il modello culturale dominante è così impastato nella società che sembra apparentemente così difficile e quasi impossibile modificare retaggi culturali che appartengono ad anni di storia e che dovrebbero prevedere innovazioni che ancora non sono entrate nella nostra abitudine. Il periodo che stiamo affrontando proprio per questo motivo ci ha scaraventati indietro di settant’anni almeno.
Esiste un modello di società basato su un concetto di discriminazione che non riguarda solo le donne ma tutte le persone vulnerabili e questo comporterebbe un cambiamento del modello e dei poteri all’interno della nostra cultura, che non è conveniente per chi detiene attualmente il potere
E’ curioso leggere i dati del Gender Gap Index del 2019 e trovare uno stato come il Nicaragua al quinto posto anche per la sostenibilità, stato innovativo e propositivo. Questo dato naturalmente fa riflettere molto, soprattutto andando a osservare i quattro criteri che secondo quell’analisi sono necessari per raggiungere la parità tra i generi:
- Formazione
- Partecipazione in politica
- Partecipazione al mondo del lavoro
- Salute
Ci si accorge quindi che si deve iniziare a considerare la questione di genere e dei codici affettivi come una questione globale e non solo settoriale, che deve coinvolgere più settori e più interlocutori disposti a integrare le riflessioni che possono portare ad un cambiamento di rotta, fondamentale e necessario.
Mi colpisce molto l’ultima riflessione in conclusione del nostro dialogo. Michela Morandini sta parlando dell’aumento delle violenze sulle donne durante il periodo di lockdown e il discorso si sposta sulla violenza tra donne. Una violenza verbale e antagonista tra donne che lei riporta come problema ampiamente diffuso e poco considerato.
Secondo Michela Morandini, e grazie al suo punto di osservazione privilegiato, si dovrebbe riflettere sulle molteplici tipologie di donne lavoratrici. Esistono donne single, donne sposate, madri, single con figli, donne che hanno in carico famigliari bisognosi di cure e aiuto. Non riusciamo a portare avanti delle “battaglie” insieme e questo accade perché abbiamo dei modelli di vita diversi e di conseguenza interessi ed esigenze diverse. Attualmente non esiste un interesse comune e se riflettiamo ad esempio sulle lavoratrici ci sono tipologie così diversifichiate che non si può creare un sistema unitario, è inevitabile che le donne poi si scontrino tra di loro.
La questione invece che accomuna le diverse tipologie è l’impegno così sfiancante per riuscire a trovare una propria individualità e soddisfazioni lavorative gratificanti.
Le questioni sono complesse e molteplici, richiedono tale condivisione e confronto che solo un dialogo generativo e mirato a raggiungere obiettivi concreti può portare a un passo avanti decisivo per permettere ai codici materni e paterni di poter coesistere ed essere manifestati all’interno della società che chiamiamo contemporanea.