di Raffaele Mauro e Marco Guerrieri
Il lavoro agile potrebbe generare benefici legati anche alla mobilità, attenuando il fenomeno dei picchi della domanda di traffico in alcune fasce orarie (ore di punta), con una conseguente drastica attenuazione dei fenomeni di congestione e di riduzione delle emissioni da traffico veicolare
Nelle ultime settimane, molti, da versanti e da ambiti diversi, hanno espresso interessanti ipotesi e previsioni sulle conseguenze che la recente e imprevista crisi mondiale, generata dalla pandemia Covid-19, potrà determinare socialmente.
Si tratta a volte di pareri autorevoli, espressi per lo più sulla scorta di evidenze che per lungo tempo non sono state riconosciute come tali e, quindi, non valorizzate dalla pubblica opinione, talora volutamente taciute per opportunismo politico o, contestate, anche artatamente, per ignoranza.
Di fatto, come poche volte, la Scienza, e con essa la Tecnica e la Tecnologia (che dalla prima derivano), vengono riconosciute dai più come cardini imprescindibili per indirizzare scelte politiche finalizzate al bene comune.
È questa una circostanza di forte rottura con il passato più recente e soprattutto con quello più remoto. Ancora oggi, alcuni riconoscono ai Santi il merito – per il tramite di una ipotetica intercessione con Dio – di aver saputo debellare le epidemie e le pandemie, dimenticando totalmente l’efficace e concreto lavoro – forse basato più su intuizioni che non su conoscenze fondate – profuso dai medici e, più in generale, dagli scienziati, nell’arco del tempo.
In questa direzione, è emblematico il caso dell’epidemia di peste degli anni settanta del XVI secolo che fu certamente la più grave nell’Italia del Cinquecento. Secondo gli storici, l’epidemia cominciò a diffondersi in modo concomitante dai due estremi dell’Italia: Trentino e Sicilia.
Come è noto, il tasso di mortalità fu elevatissimo in molte grandi città, addirittura pari al 25% a Venezia e il 18% a Milano. Nella città di Palermo, invece, il tasso di mortalità risultò assai più ridotto (4%). Questo risultato fu dovuto alle intuizioni del protomedico racalmutese Giovanni Filippo Ingrassia che introdusse azioni di igiene e profilassi, calibrate non sui singoli pazienti, ma su l’intera popolazione. Fu, infatti, imposta una sistematica separazione dei contagiati, dei convalescenti e dei sospetti, ed una rigorosa quarantena per tutta la cittadinanza, ivi compresa quella delle carceri. Egli propose addirittura misure a sostegno dell’economia per coloro che “inciampano nella miseria del contagio, dalla quale poi caduti non possono rilevarsi” [1].
Nonostante questi memorabili risultati, la figura di Ingrassia è quasi del tutto ignota ai più, e tanti ancora oggi preferiscono invece attribuire poteri miracolosi alla Santa della città – Santa Rosalina – che secondo la leggenda popolare avrebbe sconfitto una seconda ondata di epidemia di peste che si sviluppò circa cinquanta anni dopo quella affrontata dal protomedico Ingrassia.
Oggi, dicevamo, le cose sembrano drasticamente cambiare: la società comincia sempre più a riconoscere i risultati – ormai appunto del tutto evidenti – del metodo scientifico e, con esso, i meriti di chi pratica la scienza nelle sue diverse articolazioni, la applica e ne promuove le pratiche e la diffusione.
La società comincia sempre più a riconoscere i risultati – ormai appunto del tutto evidenti – del metodo scientifico e, con esso, i meriti di chi pratica la scienza nelle sue diverse articolazioni, la applica e ne promuove le pratiche e la diffusione
Fin qui le nostre considerazioni generali, da un versante che non è quello dell’epidemiologia, delle malattie infettive – in uno, della medicina- ma da quello di tecnici di altra disciplina, essa eminentemente applicativa (ma dai consolidati e sistematici fondamenti, per metodi e strumenti, nelle scienze esatte e nell’economia-in particolare, nell’econometria) abituati, però, per dare consapevolezza e concretezza al proprio lavoro tecnico-scientifico, che ha profonde implicazioni sociali, a guardarsi criticamente intorno e che ben hanno presenti le lezioni del passato.
L’isolamento sociale, introdotto dai Governi dei diversi Paesi, in accordo alle indicazioni della comunità scientifica, ha certamente generato (come ai tempi della Peste del cinquecento) finora i benefici attesi. In più, la modellistica matematica delle epidemiologie [2], ha riaffermato il suo ruolo, proponendosi come strumento quantitativo previsionale dell’evoluzione delle infezioni e, quindi, di ausilio alle scelte attuative – in campo sanitario, economico e, più in generale, politico – in prospettiva proattiva.
Veniamo ora ai temi da noi coltivati come sistemisti delle infrastrutture e della mobilità, partendo da una premessa.
Alla luce dell’esperienza recentemente vissuta, si può certamente affermare che i termini “isolamento sociale” sono impropri, poiché le tecnologie di telecomunicazione (internet), hanno garantito, e mai interrotto nella sostanza i rapporti ed i contatti interpersonali, di natura amicale, affettiva e lavorativa.
Non sono mancate riunioni, attività di studio, di ricerca, di insegnamento e professionali di varia natura.
Il lavoro agile (o smart working) in brevissimo tempo è diventato molto apprezzato, sia perché privo di vincoli di orari e spaziali, sia perché fondato su un accordo flessibile tra dipendente e datore di lavoro. Con l’ulteriore beneficio di non dover fronteggiare i costi di trasporto e gestire il tempo necessario per gli spostamenti casa-lavoro.
Non solo molte attività intellettuali non hanno subito un marcato rallentamento, ma addirittura in alcuni casi, Dirigenti di Enti Pubblici e di aziende private hanno riscontrato incrementi di “produttività” rispetto al cosiddetto lavoro tradizionale.
L’intrinseca flessibilità del “lavoro agile” potrà certamente contribuire a meglio valorizzare il lavoratore, incrementando indirettamente anche il suo reddito (proprio per i minori costi di traporto) e migliorandone la qualità della vita.
Le già altamente performanti tecnologie digitali delle telecomunicazioni, si arricchiranno nel prossimo futuro della “Telepresenza olografica” (cioè della rappresentazione tridimensionale delle persone) che renderà sempre più realistica la comunicazione e l’interazione tra individui a distanza, enfatizzando ancor di più i benefici del telelavoro.
Nell’impossibilità di fare ad oggi, per ovvie ragioni, previsioni realistiche di una qualche compiutezza, è possibile, però, già da ora, ipotizzare che in una prospettiva di lungo periodo, il lavoro agile potrebbe generare benefici legati anche alla mobilità, attenuando il fenomeno dei picchi della domanda di traffico in alcune fasce orarie (ore di punta), con una conseguente drastica attenuazione dei fenomeni di congestione e di riduzione delle emissioni da traffico veicolare. Si tratta, dunque, di un’azione da valorizzare e da incardinare nell’ambito delle misure legate alla sostenibilità, spesso proposta – ma mai sinora concretamente attuata – in diversi Piani Urbani della Mobilità Sostenibile (PUMS).
In una prospettiva di medio periodo, il “distanziamento sociale” verosimilmente genererà anche un uso limitato dei sistemi di trasporto pubblico locale (TPL) come autobus, tram, filobus ecc., ma anche di quelli adibiti alle lunghe percorrenze (traporto aereo, marittimo e ferroviario).
I nuovi standard di distanziamento tra i passeggeri, la paura di nuovi contagi da COVID-19, la minore esigenza di effettuare spostamenti per lavoro (per via dello smart working) e di tipo ricreativo (minori eventi pubblici) e la sempre crescente propensione all’acquisto di beni (anche primari) via internet, potrebbe generare un significativo calo della domanda di trasporto di persone per molti mesi e tendenzialmente anche per diversi anni.
I mancati incassi della Aziende di trasporto pubblico locale, che nella quasi totalità dei casi avevano bilanci in rosso già prima della pandemia, potranno essere solo parzialmente fronteggiati con una adeguata riprogrammazione delle frequenze delle corse, volta alla loro riduzione e customizzazione, e con un mirato sostegno finanziario di tipo governativo.
Un discorso a parte merita il trasporto delle merci, che escludendo possibili scenari di recessione economica, non dovrebbe registrare una riduzione della domanda.
Su scala urbana, è certamente corretto attuare alcune mirate politiche di incentivazione della micro-mobilità elettrica (es. monopattini, biciclette, scooters e mopeds) per la quale si registra il sempre crescente interesse dei cittadini e delle pubbliche amministrazione, anche in ragione delle recenti disposizioni inerenti il C.d.S. che ne chiarisce e semplifica le modalità di utilizzo negli spazi stradali [3, 4].
Allo stesso tempo, andrà sempre più valorizzata la figura professionale del “Mobility Manager” [5], introdotta in Italia nel 1998, con il compito di redigere per le Aziende il “Piano degli Spostamenti Casa Lavoro” (PSCL) del personale dipendente, finalizzato fino ad ora alla “riduzione dell’uso del mezzo di trasporto privato individuale e ad una migliore organizzazione degli orari per limitare la congestione del traffico”, unitamente alla figura del “Mobility Manager Scolastico” avente compiti similari [6].
Gli scenari sinora esaminati richiedono dunque una puntuale revisione della politica sui trasporti, anche in ragione del plausibile calo di incassi che le aziende di trasporto potranno registrare per le ragioni prima menzionate.
Il calo generalizzato della domanda di trasporto potrebbe però avere conseguenze positive sulla salute pubblica. È possibile prevedere un calo del numero di incidenti stradali (oggigiorno si registrano nel mondo circa 1,2 milioni di morti all’anno in sinistri, tremila dei quali solo in Italia) ed una riduzione di malattie respiratorie (e.g. asma, danno polmonare), cardiocircolatorie (e.g. ipertensione) ed un rallentamento del riscaldamento globale dovuto alla riduzione delle emissioni veicolari di “gas climalteranti” [7, 8, 9].
Chiaramente, le città dovranno essere sempre più orientate verso la “mobilità dolce” con estensione delle zone a traffico limitato, zone 30, e con la creazione di nuove piste ciclabili e di impianti per la ricarica delle batterie (anche alimentati con pannelli fotovoltaici), seguendo gli indirizzi delle smart city delle quali si parlerà brevemente più avanti.
Gli scenari schematicamente fin qui considerati, relativi al calo della domanda di trasporto, sono comunque da considerare pessimistici. La previsione che l’infezione possa persistere per ulteriori lunghi periodi magari ripenetrandosi a ondate di remissioni e riacutizzazioni non è unanimemente condivisa dalla comunità dei vari esperti (virologici, epidemiologi, clinici, ecc.) che ormai sistematicamente intervengono pubblicamente in una competizione mediatica non priva di azzardi comunicativi e, spesso, non edificante.
Le città dovranno essere sempre più orientate verso la “mobilità dolce” con estensione delle zone a traffico limitato, zone 30, e con la creazione di nuove piste ciclabili e di impianti per la ricarica delle batterie (anche alimentati con pannelli fotovoltaici), seguendo gli indirizzi delle smart city
Nell’ipotesi più ottimistica che l’infezione di fatto scompaia per sua “naturale estinzione” o per la disponibilità di un vaccino o di efficaci altri presidi terapeutici, è realistico ritenere che il sistema della mobilità, al riprendersi progressivo delle attività antropiche, si riconfiguri negli assetti precedenti. In questo caso, fuori dall’emergenza dell’epidemia, potrebbe realizzarsi l’occasione concreta di ripensare da un lato la concezione, il progetto e la costruzione delle infrastrutture di trasporto, orientando le scelte tecniche verso il nuovo criterio delle “strade snelle” (“lean road”), dall’altro il sistema della gestione della mobilità nella prospettiva di nuove strategia di integrazione, cioè di intermodalità, mobilità dolce e mobilità “smart”.
Occorre a questo punto chiarire che Le “strade snelle” sono infrastrutture, pienamente rispondenti a standard di funzionalità e di sicurezza, ideate e costruire utilizzando materiali e soluzione tecniche di messa in opera estremamente economiche e poco impattanti.
Invece, le “smart roads” sono le infrastrutture funzionali, tra l’altro, quando attuate in ambito urbano, alla cosiddetta “città intelligente” (smart city). Secondo un’idea ampiamente condivisa, una “città intelligente” (smart city) è quella in cui sono attive specifiche strategie atte ad innovare i servizi pubblici, mettendo in relazione tra loro le infrastrutture materiali delle città (ivi comprese quelle deputate ai servizi di trasporto), con il capitale umano, intellettuale e sociale di chi le abita, mediante l’uso di tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT), della mobilità, dell’ambiente e dell’efficienza energetica; ciò al fine di migliorare la qualità della vita e di soddisfare le esigenze di istituzioni, imprese, e cittadini [10].
Le strade intelligenti costituiscono il nuovo paradigma della mobilità su gomma e perseguono l’obiettivo principale di essere sostenibili, di qualità, innovative e inclusive, orientando il tradizionale rapporto tra veicoli, utenti ed infrastruttura/ambiente verso sistemi più performanti, sicuri ed economicamente (in senso generale) convenienti.
Si tratta di infrastrutture “digitalizzate” sempre più compatibili con le nuove tecnologie di cui dispongono i veicoli gommati (leggeri e pesanti), soprattutto in termini di nuove modalità di assistenza alla guida (guida automatica o semi-automatica) per i singoli veicoli e di strategie ottime per la gestione ed controllo dei traffici.
Le smart roads produrranno un radicale mutamente delle modalità di utilizzo dei mezzi gommati che tendenzialmente si indirizzerà verso sistemi di tipo “mobility as a service”: il trasporto urbano e interurbano avverranno sempre più con veicoli non di proprietà ma facenti parte di flotte di auto in sharing.
Dunque, i veicoli saranno sempre più e sempre meglio connessi con sistemi di comunicazione interveicolare (Vehicle-To-Vehicle V2V) e con le infrastrutture (Vehicle-To-Infrastructure V2I), ciò al fine di rendere l’automazione sempre più funzionale e sicura.
I benefici potenziali sulla funzionalità delle infrastrutture stradali generati da flussi di traffico composti da veicoli a guida automatica sono potenzialmente notevoli: incremento della capacità delle corsie dovuto all’abbattimento dei tempi di percezione e reazione degli automobilisti (fattore umano), riduzione della frequenza dei fenomeni flow-breakdown (instabilità del deflusso) e miglioramento della sicurezza dovuto alla potenziale riduzione del numero di incidenti [11].
Unitamente agli aspetti positivi sinora evidenziati, ve ne sono molti altri assai preoccupanti e sui quali occorrerà fare un’attenta riflessione, soprattutto in merito al tema di un altro ambito, metaforicamente, anch’esso legato alla mobilità, non di uomini e merci, ma di idee e di conoscenze: quello della “trasmissione dei saperi, tradizionalmente improntata sul rapporto umano e sulla fiducia reciproca tra docente e discente, sull’incontro tra generazioni.
E qui, vogliamo riportare, e non per inciso, alcune considerazioni sulla nostra recente esperienza di didattica telematica: “parlare al vuoto”, o meglio ad uno schermo che ne è la porta, priva la didattica di ogni senso umano e la consegna nella dimensione astratta, virtuale e falsa di surrogati impropri dell’istruzione che è da duemila anni il prerequisito dell’educazione civile.
Il nostro modello educativo – in tutte le discipline, dalle scienze umane a quelle naturali e tecniche, si fondava sulla sintesi greco-latina di Humanitas e Paideia (nel senso della fondamentale lezione dello Jaeger in Paideia [12]) e tendeva alla costruzione della Koinè, metafora di una metaforica lingua universale, veicolo di superiori umani valori comuni con i quali ideare, costruire e difendere la civiltà dell’uomo.
Temiamo che il successo meramente tecnologico della didattica informatizzata segni la fine di questa visione dello spazio educativo e ci consegni all’età della divulgazione, magari cattiva o pessima, sicuramente insufficiente alle esigenze, anche difficili, del tempo presente.
Per queste ragioni se in futuro anche l’insegnamento scolastico e soprattutto quello universitario ricorressero sistematicamente a tecnologie telematiche (modalità “sincrona”, “asincrona” o miste), la “trasmissione dei saperi” nel lungo periodo potrebbe subire una vera e propria involuzione, con gravi conseguenze, oggi difficilmente quantificabili.
In definitiva, gli innegabili potenziali vantaggi diretti e indotti dalle telecomunicazioni e dalle loro applicazioni al settore dei trasporti (alcune delle quali sono state prima brevemente richiamate), potranno generare un auspicato progresso sociale se diverranno alla portata di tutti – come presumibilmente accadrà – e se il loro impiego sarà opportunamente indirizzato e orientato in specifici campi.
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Riferimenti bibliografici
- Cancila, R. “Ingrassia, il medico che nel 1575 sconfisse la peste a Palermo”. L’Italia di Clio, 18 Febbraio 2020 (https://www.lidentitadiclio.com/peste-palermo-ingrassia/).
- Brauer, F., et al. Mathematical Epidemiology. Springer, 2008.
- Legge 160 del 27 Dicembre 2019 (e aggiornato del Febbraio 2020).
- D.Lgs. n. 285/1992.
- D.M. 27 marzo 1998, recante norme in materia di “Mobilità sostenibile nelle aree urbane”.
- Legge n. 221 del 28 dicembre 2015. “Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell’uso eccessivo di risorse naturali”.
- De Vos, J. The effect of COVID-19 and subsequent social distancing on travel behavior. Transportation Research Interdisciplinary Perspectives 5 (2020) 100121.
- WHO (World Health Organization), 2010. Global Recommendations on Physical Activity for Health (Geneva, Switzerland).
- WHO (World Health Organization), 2016. Ambient Air Pollution: A Global Assessment of Exposure and Burden of Disease (Geneva, Switzerland).
- Smart City: uno strumento per le Comunità Intelligenti. Oice, Marzo 2017
- Decreto Min. Infr. e Trasp. 28 febbraio 2018 “Modalità attuative e strumenti operativi della sperimentazione su strada delle soluzioni di Smart Road e di guida connessa e automatica”.
- Werner Jaeger in Paideia: la formazione dell’uomo greco. Firenze, 1936.