Un’educazione all’affettività può aiutarci a creare un’efficace interdipendenza tra qualità della vita di lavoro e produttività e tra la nostra presenza sulla Terra e una vivibilità sostenibile.
Ma cosa ci sta segnalando Madre Terra?
Che siamo figli della Terra, cioè del pianeta che ci ospita, è un fatto noto ed evidente. Siamo perfino in grado di interrogarci su quali comportamenti filiali stiamo esprimendo. Ad ogni evidenza si tratta di comportamenti a dir poco irriconoscenti quando non sono distruttivi nei confronti dell’ecosistema di cui siamo parte. Quello che vorrei fare in questo contributo è cercare di riflettere sulle ragioni che ci portano ad usare l’affettività nei confronti della nostra casa comune, il pianeta su cui viviamo, in un modo che è progressivamente offensivo e deleterio per noi stessi, mostrando di non saper imparare neppure dai nostri errori.
Allora è importante chiedersi che rapporto c’è tra le diverse forme della nostra affettività e la qualità della nostra vita nei micro-mondi della quotidianità e a livello planetario. Per affettività intendo qui ciò che ognuno di noi porta nell’altro e nell’ambiente in cui vive e i modi in cui accoglie quel che l’ambiente e gli altri propongono.
Le vie dell’affettività sono molteplici. Per vie affettive possiamo stabilire un rapporto di contenimento reciproco o di dominio; di cooperazione o di collusione opportunistica; di reciprocità o di utilizzo egoistico, e così via.
“L’affettività è il codice con cui accediamo agli altri”
In ogni caso c’entra l’affettività. Perché l’affettività c’entra sempre, è il codice con cui accediamo agli altri e al mondo, frutto dell’azione delle nostre emozioni così come emergono nelle relazioni e nelle situazioni con gli altri. Le modulazioni della nostra affettività possono avere un timbro principalmente paterno e maschile, o in prevalenza materno e femminile. Oltre a tutte le altre modulazioni. E’ importante non ridurre alle persone di sesso maschile il possesso del primo tipo di affettività e alle persone di sesso femminile il possesso del secondo. Tutti noi siamo portatori di molteplici codici. E’ necessario uscire da ricadute ideologiche molto diffuse. Esistono donne assassine, ladre o guerrafondaie; arriviste, opportuniste e capaci di comportamenti distruttivi. Così come esistono uomini con le stesse caratteristiche, o capaci di cura, di contenimento, di vulnerabilità.
Ne ricaviamo che la sola riflessione sul sesso come fattore determinante dei comportamenti non ci può bastare. Non è immaginabile che la sola presenza di un maggior numero di donne al potere migliori le cose nel mondo del lavoro. Né tantomeno è immaginabile un cambiamento nei rapporti tra esseri umani e ambiente, tra la nostra specie e il riconoscimento del limite come condizione per essere parte coevolutiva e non distruttiva delle forme di vita a cui apparteniamo solo perché ci sarebbero più donne al comando.
“Valorizzare i codici materni e paterni”
La questione è più complicata. Se effettivamente intendiamo disporci alla ricerca di una presenza amichevole della nostra specie sulla Terra abbiamo bisogno di riconoscere quali possono essere le vie per valorizzare i codici affettivi materni e femminili a disposizione sia degli uomini che delle donne.
L’esperienza ci insegna che abbiamo molte difficoltà a fare due cose: imparare dagli errori e uscire dalla forza dell’abitudine.
La sequenza di emergenze che siamo vivendo negli ultimi anni e in particolare negli ultimi due decenni, siamo orientati a trattarla come se ognuna di quelle emergenze fosse isolata dalle altre. E’ evidente che le cose non stanno così.
Esiste un rapporto talmente stretto, ad esempio, tra le azioni di terrorismo internazionale del 2001, la crisi delle risorse energetiche, le guerre regionali, la crisi economico-finanziaria del 2007-2008, gli eventi come tsunami e Vaia, la crisi climatica, il problema agroalimentare in rapporto alla demografia e alla distribuzione delle risorse, gli esodi migratori e le relative tragedie umane e Covid-19, che ci vuole solo un cieco per non vederlo. In effetti un acuto osservatore nonché fine narratore come Amitav Ghosh, ha parlato di grande cecità in un suo libro.
“Riconoscere l’incompletezza e la vulnerabilità nel mondo del lavoro, come principio di necessità dell’altro”
Per quali vie potremo mai giungere a costruire le condizioni per una presenza accogliente e leggera, consapevole della propria incompletezza e vulnerabilità, nei micro-mondi della vita quotidiana come il mondo del lavoro, e nel macro-mondo del nostro pianeta?
E’ evidente che un compito così immane esige un cambiamento dei nostri mondi interni e dei nostri comportamenti così profondo da suscitare particolari livelli di ansia. C’è un modo però per affrontare questioni di grande portata, ed è quello di scomporle in parti più accessibili. Quelle parti tuttavia saranno accessibili se il nostro legame con esse, cioè la nostra affettività, le riconoscerà come tali. Allora si tratta di chiederci che cosa renderà mai possibile quell’ascolto. L’immagine più efficace e suggestiva è quella di disporsi ad un abbraccio da parte della Madre Terra, alla stessa stregua dell’abbraccio accogliente con cui pensare e realizzare ambienti di lavoro basati sulla cooperazione e la reciprocità.
Per coniugare le esperienze quotidiane con le condizioni di una vivibilità possibile noi abbiamo oggi bisogno di un’educazione all’affettività che ci aiuti a riconoscere che il primo passo è un gesto verso se stessi per dar voce alle nostre potenzialità generative di un altro mondo possibile.