Tra verifiche sperimentali e environmental humanities, disponiamo oggi delle conoscenze per divenire protagonisti di una presenza sostenibile di noi umani sul pianeta Terra. Siamo responsabili di agire di conseguenza
Nel suo “1° Programma d’azione in materia d’ambiente” (1972), la Commissione Europea focalizzò l’esigenza di “approcci globali di prevenzione”, per individuare le strategie adeguate di governo della “transizione da modelli dissipativi di uso delle risorse a modelli sempre più conservativi”, il termine “conservativo” inteso nella sua accezione termodinamica (conservazione di materia, energia, informazione). A fronte dell’incombente emergenza ambientale, si ricorse alla elaborazione del Club di Roma (da “Limits to Growth” in poi) per superare l’evidente insufficienza di modelli analitici compartimentati e settoriali in campo ambientale, modelli che non solo non aiutavano a risanare i guasti prodotti ma, soprattutto, non avevano fornito alcun valido allarme, mancando al ruolo di previsione e prevenzione del rischio. La questione ecologica, per definizione “complessa”, si inseriva nel contesto di una società a sua volta a crescente complessità: la transizione necessaria assunse come centrali le nozioni di “rete” e “flusso” e marginalizzò quelle di “evento puntuale” e “crescita”, per poter governare la rete di flussi sempre più intensi di materia, energia ed informazione che sottendono e supportano gli insediamenti antropici. Capire e governare la complessità richiede che ci si attrezzi di approcci sistemici per redigere bilanci ambientali ed energetici (ed economico-finanziari ad essi correlati) in base ai quali calcolare efficienza e rendimento dei diversi modi d’uso delle risorse (finite, cicliche, rinnovabili), bilanci utili al prendere decisioni verso il modello di sviluppo sostenibile, l’unico oggi possibile, che privilegi interesse generale e beni comuni nei sistemi a risorse finite (limite), quale la nostra ‘casa comune’ Terra.
Lo sviluppo sostenibile è l’unico possibile per curare gli interessi generali e i beni comuni nei sistemi finiti come la Terra, la nostra comune
La lettura sistemica si nutre di ‘Best Needed Information’ circa il fenomeno studiato in relazione alla scala d’interesse, da locale a globale: analisi statistica, input/output, di processo ed ogni altra modalità resa possibile dall’innovazione modellizzano ed aiutano a governare le connessioni tra i flussi di risorse che sottendono l’agire antropico preso in esame, non ‘frammento’, ma ‘insieme unitario’. Un ruolo cruciale nel prendere decisioni su nuove questioni così spesso controverse anche sul piano scientifico spetta al Principio di Precauzione, strumento cautelativo inquadrato a livello dell’UE dopo che l’Agenzia Europea dell’Ambiente documentò i guasti generati da una incultura industriale (ancora dalla finanziaria dominante) finalizzata solo alla deregolata massimizzazione del profitto per pochi a fronte dell’impoverimento e della perdita di dignità di tanti (gli ‘scarti’ di Papa Francesco). Esemplifichiamo l’approccio sistemico configurando uno schema ciclico per capire le relazioni che legano risorse ambientali ed attività antropiche, produttive e di vita:
Tale schema portò la UE a postulare una gestione dei rifiuti non settoriale, ma come interfaccia fra comparti strategici (alimentazione, energia, materiali) di cui minimizzare le emissioni massimizzando il recupero di materia, cioè con l’obiettivo conservativo prioritario di rallentare la velocità di estrazione dall’ambiente di materie prime scarse, energeticamente costose o tali da generare, nella trasformazione in merci, residui/metaboliti tossici e pericolosi per ambiente e salute. Dalla lettura sistemica dei cicli delle risorse, allo scopo prevalente di prevenire l’inquinamento di origine industriale, si arrivò in sede OCSE al concetto di ‘Tecnologie più Pulite’ per ‘produrre in modo più pulito prodotti più puliti’ intervenendo su progettazione (Ecodesign), qualità e quantità di materie prime e prodotti finiti (LCA-Life Cycle Assessment), dei residui e dei vettori energetici coinvolti, secondo procedure integrate nel sistema di gestione ambientale d’impresa, da EMAS ed Ecolabel di inizio ’90 fino alla Dichiarazione Ambientale di Prodotto (EPD) ed alla Politica Integrata di Prodotto (IPP) di inizi 2000, strumenti che la migliore cultura industriale interpretava non come vincolo o costo, ma come fattore competitivo sui mercati globali, su cui dialogare con gli Stakeholders, disegnando ‘supply chain’ e filiere in logica di Responsabilità Sociale ed Ambientale d’impresa. Diversi decenni sono passati, quindi, dalla messa in discussione della Economia Lineare (take-make-waste: Materia Prima+Capitale+Tecnologia+Lavoro = Merce) idolatrata da chi, in nome della massimizzazione del profitto da consumismo materialistico, dimenticava il ruolo che Ricardo e Smith attribuivano alla normazione per la regolazione degli ‘animal spirits’ che quella idolatria evocava. Tali idolatri, dalla Scuola di Chicago a Reagan e Thatcher fino ai turbocapitalisti della finanziarizzazione deregolata, hanno portato ad una Terra che a fronte di un PIL (parametro da cancellare) di 76.000 miliardi di $ si trova circondata da una ‘nube’ di derivati pari ad oltre 760.000 miliardi di $, una Terra tecnicamente fallita. Questa è la Terra che oggi vive tre crisi sistemiche, dalla finanziaria-industriale alla pandemica fino alla climatica ormai irreversibile: la ‘casa comune’ lancia un grido di sofferenza, come ci ricorda la ‘Laudato Sì’, e dobbiamo in ogni modo riportare al centro della cultura e della economia la persona, la comunità, le relazioni umane, l’interesse generale alla valorizzazione equa e democratica dei beni comuni, partendo da azioni urgenti di adattamento e resilienza per avviare una politica generativa del nuovo modello decarbonizzato di produzione, consumo, vita. Il modello economico lineare ‘take-make-waste’ basato sulla disponibilità presunta come ‘illimitata’ di risorse ed energia è di fatto improponibile nel mondo attuale, se non si perseguono folli disegni di crescita esponenziale delle disuguaglianze e della povertà, secondo il motto dell’imperialismo inglese: ‘pochi padroni, tanti schiavi’.
Il modello economico lineare ‘take-make–waste’ basato sulla disponibilità presunta come ‘illimitata’ di risorse ed energia è di fatto improponibile nel mondo attuale
Politiche industriali solo improntate alla ricerca di efficienza (riduzione di risorse ed energia fossile consumata/unità di prodotto) possono ritardare la crisi del modello economico lineare, ma non sciolgono il nodo del limite/finitezza del capitale naturale. Nasce così, in coerenza con gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs) individuati dalla Agenda 2030 delle Nazioni Unite, la definizione di Economia Circolare, che secondo la Ellen MacArthur Foundation “è pensata per potersi auto-rigenerare”, in cui due sono i flussi di materiali: biologici, in grado di essere reintegrati nella biosfera, e tecnici, destinati ad essere rivalorizzati senza entrare nella biosfera:
L’Economia Circolare è dunque un sistema economico pianificato per riutilizzare i materiali in successivi cicli produttivi, riducendo al massimo gli sprechie dando priorità a quella BioEconomia che valorizzerebbe tante eccellenze italiane. Riprendendo esperienze, strumenti e nozioni sin qui citati, la Fondazione propone cinque azioni che peculiarmente caratterizzino la Economia Circolare: 1) Ecoprogettazione : progettare i prodotti pensando fin da subito al loro impiego a fine vita, con caratteristiche che ne permetteranno lo smontaggio o la ristrutturazione. 2) Modularità e Versatilità: dare priorità alla modularità, versatilità e adattabilità del prodotto affinché il suo uso si possa adattare al cambiamento delle condizioni esterne. 3) Energie Rinnovabili: affidarsi ad energie prodotte da fonti rinnovabili favorendo il rapido abbandono del modello energetico fondato sulle fonti fossili. 4) Approccio ecosistemico: pensare in maniera olistica, avendo attenzione all’intero sistema e considerando le relazioni causa-effetto tra le diverse componenti. 5) Recupero dei materiali: favorire la sostituzione delle materie prime vergini con materie prime seconde provenienti da filiere di recupero che ne conservino le qualità. Economia Circolare è così colonna portante di un Green New Deal che dia attuazione all’unico futuro possibile per l’Umanità, quello sostenibile. Naturalmente le poche decine di persone fisiche (63 famiglie hanno ricchezza pari a quella di 3,5 miliardi di donne e uomini) ed imprese multinazionali che detengono più del 50% del PIL mondiale originante dal controllo delle fonti fossili di energia, si opporranno in ogni modo alla messa in discussione di loro poteri e ricchezze. Sono i fautori della globalizzazione deregolata, a partire dalla scelta di delocalizzare la manifattura là dove la manodopera costasse meno, ideologi del ‘cost cutting’, arma per dare l’assalto ai diritti conquistati dai lavoratori in decenni di lotte in Occidente. Assisteremo probabilmente a scontri molto forti tra i poteri finanziari ‘fossili’ e quelli ‘digitali’ (dall’intelligenza artificiale alla robotica), per il dominio geostrategico dopo la crisi pandemica: le sirene dei primi tenteranno la strategia “ripartiamo, si torni a prima, benzina a 10cent$/litro”, riproposizione di modelli causa delle crisi (e a rischio di condurre alla ripresa devastante della curva dei contagi), ma dovranno confrontarsi con gli epigoni dei poteri dell’intelligenza artificiale inneggianti a ‘magnifiche e progressive sorti’ degli algoritmi, con la potenza di controllo sociale che esprimono. In scienza e coscienza, dovremo porre in essere ogni iniziativa che porti a concretezza lo scenario circolare, dal locale al globale: ne va del futuro della specie.