Quella che oggi viene chiamata Ipnocrazia c’è sempre stata. In fondo era ciò che temeva Platone dei sofisti. Essa si rifletteva nel contrasto antico tra dialogo e retorica e aveva a che fare con un problema che si ripresenta drammaticamente oggi: la degenerazione della democrazia. La questione non era soltanto il contrasto tra democrazia e dispotismo, ma anche la penetrazione di forme dispotiche nelle trame della democrazia fino a farle cambiare volto. In tale contesto, lo scontro verità/menzogna passa per il mutamento dell’illusione in inganno. L’illusione implica consapevolezza della presenza dell’immaginario, così come accade nel teatro o nel cinema quando siamo spettatori, l’inganno comporta invece l’inconsapevolezza e dunque l’impossibilità di saper distinguere tra ciò che è reale e ciò che è virtuale. È un problema che riguarda tanto le società dispotiche quanto le società democratiche e che si caratterizza per il primato del ruolo del cittadino in quanto spettatore passivo piuttosto che partecipante criticamente attivo. Le società democratiche infatti non sono immuni da questo primato, ed è per questo che hanno come antidoto costituzionale la garanzia delle minoranze che permettono di mantenere un punto di vista altro rispetto alla maggioranza e che le salva dalla caduta nel dispotismo.
Aristotele, nella Poetica, sosteneva che era preferibile l’impossibile verisimile al possibile incredibile. Egli così spostava l’attenzione su ciò che era credibile piuttosto che su ciò che era vero. Nella Retorica a Gaio Erennio è scritto: «La narrazione sarà verosimile, se la esporremo come richiede il costume, come l’opinione corrente, come la natura; se saranno congruenti gli spazi dei tempi; le condizioni delle persone, le ragioni delle decisioni; le favorevoli circostanze dei luoghi, onde non possa ribattersi, o che il tempo era breve, o che non c’era nessun motivo, o che non era idoneo il luogo, o che gli stessi soggetti non avrebbero potuto commettere o subire il fatto. Se il fatto sarà vero nondimeno vanno osservati tutti questi criteri nel narrarlo: ché spesso la verità, se essi non siano stati osservati, non può riuscir persuasiva; se poi saranno cose inventate, ancor più dovranno osservarsi. Bisogna con cautela inventare su di quei fatti, sui quali sembrerà che siano intervenuti documenti, o la testimonianza indiscussa di qualcuno» (I, 16). E ancora. Tacito, a proposito di una falsa notizia, scriveva: “fingebant simul credebantque”, “fantasticavano per poi crederci”, una frase questa che poi fu ripresa da Francesco Bacone e per ben tre volte da Giambattista Vico. Fantasticare per poi crederci. L’esatto contrario di ciò che predicava il grande poeta Coleridge il quale, come è noto, riferendosi alla poesia, parlava di “sospensione volontaria e temporanea dell’incredulità”, un atto che vale anche per il teatro, il cinema, uno spettacolo. Il problema sorge quando quella sospensione dell’incredulità non è volontaria, come nel caso di Tacito, Bacone, Vico, ma involontaria, quando una storia inventata, così come ci dice la Retorica ad Erennio, una falsa notizia hanno tutti gli attributi di credibilità e noi viviamo la stessa stupida credulità di quel soldato di Baltimora il quale, ci riferisce Stendhal, di guardia al teatro di quella città, nel momento in cui Otello mette le mani sul collo di Desdemona, gli spara ferendolo a un braccio e da bravo salvatore, razzista e conservatore, grida: ”giammai un negro metterà le mani su una donna bianca!”. Non sappiamo se, rovesciata la scena con un bianco che cerca di strangolare una donna nera, avrebbe reagito allo stesso modo. Ne dubitiamo. Ad ogni modo, questo soldato era talmente immerso nella scena che non distingueva più tra l’illusione teatrale, che, come la poesia, è pratica di verità nella misura in cui si è consapevoli della finzione, e l’inganno, che invece implica l’inconsapevolezza (come nel trompe l’oeil il cui effetto svanisce quando si ha coscienza dell’inganno).
Siamo tutti candidati a essere come il soldato di Baltimora. In fondo abbiamo sempre rischiato e tutt’ora rischiamo di diventarlo. È la consapevolezza critica che ci allontana da quel militare confuso separando il confine tra la sospensione volontaria e quella involontaria dell’incredulità. Il potere diventa dominio quando possiede l’accesso alle fonti e, con esso, la capacità di trasformare l’illusione in inganno creando una sospensione involontaria dell’incredulità attraverso le false notizie. Marc Bloch aveva scritto un saggio magistrale sulle false notizie di guerra, ma oggi sembra dimenticato. Il problema non è solo quello di comunicare delle false notizie, ma di trovare la disponibilità ad accettarle per vere. Questo accade quando le false notizie hanno il carattere della credibilità e della possibilità. In tal senso la contrapposizione tra vero e falso diventa quella tra vero e quasi vero, perché il carattere di falsità di una notizia o di un’immagine è dato da quanto esse siano contornate da elementi di verità e da un alone di credibilità, perché, in assenza di senso critico e di capacità di accesso alle fonti, favorisce la disponibilità alla credenza, la volontà di servitù, la caduta nell’ipnosi.