Ironia, dal greco antico Eironéia: dissimulazione; finzione, simulazione, raggiro, furberia, pretesto, ma anche interrogazione.
Secondo il vocabolario Treccani, si tratta di “figura retorica, comunemente usata anche nel linguaggio quotidiano, che consiste nell’usare parole che significano il contrario di ciò che si vuol dire, adoperando però un tono che lascia intendere il vero sentimento; può avere lo scopo di deridere qualcuno scherzosamente o anche in modo offensivo, di rimproverare bonariamente o di correggere, e può essere anche una constatazione dolorosa di un fatto o una situazione. “
Si dice una cosa (aspetto verbale) col sorriso (aspetto non verbale), per intenderne il contrario: buona lana, perla di galantuomo.
“Si differenzia dal sarcasmo perché quest’ultimo ha sempre l’intento di offendere o di ferire. “
D’altronde sarcasmo, proviene dal greco antico: Sarkàzein, straziare le carni.
Il vocabolario di italiano Sabatini/Coletti, accanto a “bonaria irrisione” ribadisce “dissimulazione” e evidenzia “atteggiamento di superiore distacco dalle cose”.
Si utilizza l’ironia per alleggerire una situazione- a volte invece per evidenziarne il portato- grazie a un rovesciamento che con una risata allontana dal contesto. Qualcosa di preso troppo sul serio si diluisce nell’umorismo che ne sgretola la consistenza.
Per cogliere l’ironia occorre una comprensione del divario fra discorso e realtà, poiché si esprime con il tono con il quale si dicono le cose; ovvero con un atteggiamento. Il senso dell’ironia, dunque, ha a che fare anche con età, carattere, gusto e livello culturale. E molto spesso è l’unico strumento concesso in determinati contesti politici per dare voce a pensieri divergenti dal sistema.
Celebri l’ironia di Socrate, che con domande sottili e insinuazioni, portava l’avversario dialettico a modificare l’assunto/opinione di partenza, fino al suo rovesciamento; l’Ironia dantesca, usata dal poeta Alighieri nella Divina Commedia, come espressione critica e amara di chi in esilio da’ voce, comunque filtrata, a sdegno e dolore; l’Ironia ariostesca, usata da Ludovico Ariosto, uomo della corte estense e poeta, avvalendosi di situazioni inventate e personaggi posti con irridente bonomia in una assoluta distanza storica, in una realtà fantastica e favolosa; l’ironia pariniana, usata da Giuseppe Parini come forma canzonatoria e satirica di critica al contesto storico e sociale. Beffandosi dei destini umani, l’ironia della sorte, sovverte lieti fini, seppure, a volte, possa ridurre anche il portato e la consistenza di situazioni dai drammatici risvolti, provvidenzialmente rovesciandoli di segno, ad esempio: la celebre epidemia di peste a Milano nel sec XVII, che nei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni concorre al lieto fine.
Quando si parla di ironia si evidenzia un distacco sentimentale dalle cose, freddezza e calcolo, ipocrisia, e senso di superiorità fino al cinismo. Per i nostri parametri medi tutto ciò è sintomo di minore umanità e l’ironia implicherebbe un’accezione negativa, strumento capace di colpire e ferire l’altro, di denigrare, di sminuire. Tommaso Campanella, torturato dall’inquisizione- perché ritrattasse le sue tesi considerate eretiche- spiazzò completamente i suoi torturatori dissimulando il dolore e fingendosi pazzo: venne pertanto incarcerato per 27 anni, anziché giustiziato sulla pubblica piazza. Era lo stesso passaggio di secolo in cui Giordano Bruno, con tesi sostenute a testa alta, il 17 febbraio 1600, venne arso vivo. Pochi anni più tardi, nel 1641 Torquato Accetto pubblicando Della Dissimulazione Onesta, pose il tema del cauto vivere, e la dissimulazione come dominio dei propri sentimenti.
Tiziano Gorini in una presentazione a questo breve folgorante saggio evidenzia come in “un’epoca caratterizzata dalla precarietà esistenziale e dalla coercizione spirituale: soffocata dalla sorveglianza politica e della censura ecclesiastica, gli intellettuali dovevano esser prudenti. Meglio la servitù cortigiana, definita da Montaigne una «obbedienza disincantata» e da Marino perfino dichiarata piuttosto un valore, che un rischioso dissenso. Ovunque si manifesta questa drammatica dissociazione tra l’ideale e il reale che incarnava lo spirito del tempo; perciò si può ben definire il ’600 – come ha fatto lo storico Rosario Villari – il gran secolo della dissimulazione.”
Nella trattatistica psicologica e cognitivista più recente, l’ironia fa parte di alcuni “sani meccanismi di difesa rispetto a eventi o situazioni che creano disagio. Fare un passo indietro aiuta a capire”. L’ironia, dunque, non solo espediente retorico, ma “importante strumento di comunicazione, di interazione; di gestione dei pensieri e delle emozioni, capacità di sdrammatizzare e alleggerire situazioni complesse; di coinvolgere chi ci sta accanto creando forme di condivisione; di sollecitare risposte emotive nell’altro; di offrire punti di vista diversi e smuovere l’utilizzo del pensiero critico.”
Lo straniamento, amato da B. Brecht – il quale lo contrapponeva teatralmente alla ricerca di coinvolgimento e immedesimazione di interpreti e pubblico – in modo tale da permettere una consapevolezza rispetto alla situazione che, sottraendosi alla trappola del sentimentalismo, poteva dar adito a un atteggiamento critico.
Il vocabolario, riporta una seconda accezione al termine ironia: “specie di umorismo”.
Luigi Pirandello, nel suo saggio Sull’umorismo (1908) contrappone comicità e umorismo. Del comico avevano già scritto Bergson (Il Riso, 1900) e Freud (Il motto di spirito e la sua relazione con l’inconscio, 1905). Bergson, esplora i meccanismi del riso e analizza le forme, meccaniche e geometriche, immediate, della comicità. Freud aveva individuato il comico come avvertimento immediato del contrario e del paradosso.
Luigi Pirandello espone due esempi a chiarire il suo pensiero che sintetizzo:
1.Una vecchia imbellettata oltre misura, inciampa e cade per strada, con irrefrenabile effetto comico in chi la vede. Comicità, come percezione immediata del contrasto fra aspettativa e accadimento.
2. la vecchia che cade è imbellettata fuori misura, ma non per vanità, bensì perché ha un marito più giovane e invecchiare le provoca un terribile dolore di non accettazione etc. Prendere atto di questa condizione esistenziale, rovescia la percezione immediata di chi la vede, e porta a riflessione sulla contraddizione fra vita reale e ideale umano, mettendo in evidenzia una fragilità che accomuna a quella persona.
Nella differenza fra comico e umoristico, fra risata immediata e sorriso, ci sta la riflessione sulla fragilità che ci accomuna. L’umorismo, sentimento del contrario, consegue a riflessione: osserva ciò che si cela dietro le apparenze e ne contempla la fragilità; moltiplica i punti di vista, svela il fondo di sofferenza dietro il ridicolo.
Allo stesso modo, intuisce aspetti di ridicolo e paradossale dietro al tragico, vanificandone l’assolutezza, come viene spesso evidenziato da autori del sec XX, fra tutti, oltre allo stesso Pirandello, Samuel Beckett.
L’umorismo, con la sua ironia, induce l’attitudine a cogliere che fra la Realtà e la sua Apparenza esiste una frattura; che l’individuo ha spaccature interne che frammentano l’Io.
L’umorismo consegue a una maggiore capacità di empatia: Meditando, mediando, facendo un passo indietro, si amplifica la visione e dunque la percezione del contesto. Si può avere prospettiva sullo stato e dolore dell’altro. Il riso non sarà più immediato, denigratorio, indifferente, ma con la mediazione del sorriso si innesca la comprensione. Nell’inquadratura che si allarga con zoom all’indietro, non c’è più solo la vecchia troppo imbellettata che inciampa e cade, ma appare il villaggio, e, nel villaggio, io che guardo e che sostanzialmente non sono fatto diversamente.
Se l’ironia, dunque è un passo indietro che porta al sorriso rispetto alle cose, si trasforma la prospettiva su quanto comunemente creduto dell’ironia.
Per Schlegel (1772/1829), l’ironia è l’atteggiamento distaccato del filosofo: che riconosce il proprio scacco e la propria incapacità di raggiungere l’infinito, nonostante tenda infinitamente verso di esso. La tensione verso l’infinito rimane irrisolta, ma la filosofia ha il mezzo dell’ironia: atteggiamento spirituale, consapevolezza della enorme distanza che separa il desiderio di infinito e i traguardi infinitamente finiti per raggiungerlo.
La sera prima di morire, 11 gennaio 1829, il filosofo stava scrivendo una frase che rimase incompiuta, “La perfetta comprensione in quanto tale, tuttavia…”
In questa parola, Tuttavia, sembra concentrarsi interamente la visione di Schlegel rispetto alla tensione ad acquisire una perfetta e compiuta conoscenza, tutta la sua filosofia dell’incomprensibilità e dell’ironia.
L’essere umano non è il centro totale e totalizzante dell’Universo e chi sorride con ironia, forse, lo ha compreso. Chi sorride con ironia ridimensiona le situazioni con il distacco della consapevolezza della finitezza, incompiutezza, e possibile insensatezza di quanto si ponga come assoluto.
Quante cose sono ancora possibili! Così imparate a ridere al di sopra di voi stessi! Elevate i vostri cuori, voi buoni danzatori, in alto! Più in alto! E non dimenticatemi la buona risata! (F. Nietzsche, Cosi parlò Zarathustra)
L’umorismo deriva dalla comprensione che il senso di onnipotenza e onnicomprensività, di universalità dell’essere umano, auspicato dal Romanticismo, non è dato. Che l’universo è discrezionale, che la condizione umana è fragile e vulnerabile, e lo è per tutti.
Recentemente si sta comprendendo che tale condizione è condivisa non solo da ciò che è umano-troppo umano; ma possibilmente è comune a quanto è con noi vivente su questo globo terracqueo.
La comprensione del paradosso umoristico porta empatia: non indifferenza e senso di superiorità, ma condivisione di stato esistenziale, pur nelle date differenze. L’altro è come noi. “… perché tu, rispetto all’altro, sei l’altro” (Andrea Camilleri).
Se l’ironia è questo tipo di atteggiamento, questa mancanza di immediatezza; se è la distanza che si crea facendo un passo indietro e permettendo uno spazio ontologico all’altro – diverso da me, e non indifferente – nelle sue condizioni di base, umane, esistenziali, (e aggiungerei, mammifere, respiranti, vitali), più simile a me di quanto potessi presumere; se l’ironia è la leggerezza invocata da Italo Calvino nelle sue celebri e testamentarie Lezioni americane: “capacità di planare con garbo, senza macigni sul cuore”, anche sulle questioni più gravi e spinose – “che non significa superficialità”, ma delicatezza di gesto – io allora vorrei invocare più spesso per me questa ironia e, parafrasando il poeta Pietro Metastasio, dire: “Ironia, ninfa gentile, la vita mia consacro a te”, e lo vorrei augurare a tutti.