Per questo numero abbiamo raccolto due testimonianze di partenze, viaggi, esperienze e ritorni.
Verdiana Fronza
Di recente, rispondendo alla domanda “Raccontaci un po’ chi sei”, ho dedicato i primi due-tre minuti a parlare dei miei viaggi più importanti e formativi, concludendo che viaggiare è un aspetto fondante della mia personalità. Ho sentimenti contrastanti riguardo a questa affermazione. Chi mi conosce potrebbe trovarla scontata – mia nonna praticamente mi vede come un trolley, “sempre con le rotelle sotto i piedi”. Al contempo, ho sempre considerato il viaggio qualcosa che amo fare, a cui dedico tempo e risorse mentali e materiali, un’attività irrinunciabile, sia spontanea che programmata, ma comunque esterna da me. Definirlo un aspetto della mia personalità mi sembra un’affermazione molto forte. Eppure, questa è la frase che mi è uscita.
Le esperienze di viaggio mi hanno arricchito e messo in crisi, aiutandomi a riscoprire parti di me dimenticate e a distaccarmi da aspettative esterne che, in fondo, non mi appartenevano. Mi riferisco a esperienze lunghe. Non tanto viaggi itineranti quanto un lasciare ciò che conosci per vivere una delle mille vite possibili al di fuori della tua realtà quotidiana. Un anno all’estero, un Erasmus+, la magistrale fuori sede, il Servizio Civile Universale: questi sono i miei viaggi, quelli che fanno inestricabilmente parte di me.
Sono partita per la prima volta a 17 anni semplicemente perché non volevo stare “qui”: mi sentivo fuori posto, la mia piccola realtà rurale mi stava stretta, volevo conoscere, andare. Un po’ quel sentimento esploratore e avventuriero che considero parte integrante della natura umana. A guidarlo la curiosità, il “Ma perché…?”. Sono ripartita a 20 anni e poi a 22, perché mi ero innamorata prima di una città e poi di un’idea. Barcellona mi aveva già rubato il cuore in una settimana e, dopo averci vissuto per dieci mesi, provo una nostalgia tangibile, fisica, ogni volta che ci penso. È una città che mi rendeva felice anche nei momenti di stanchezza o tristezza, solo per il fatto di poterci camminare, osservarla, farne parte.
Il Belgio è stata l’idea di uscire, studiare fuori, e trovare stabilità per un po’. Chi lascia presto i propri luoghi d’origine e cammina per il mondo inizia a percepire lo spaesamento derivante dall’assenza di una comunità fissa: si ritorna sempre un po’ diverse, con qualche vissuto che non si riesce a raccontare. In Belgio è stato bello finché è durato, cioè sei mesi, prima che il COVID-19 si portasse via l’idea di stabilità per due anni e la possibilità della ricerca tesi in Perù. Come per tante persone, la pandemia, la solitudine e lo squilibrio della routine mi hanno colpito profondamente. È da quel periodo, però, che tornare a casa ha iniziato a piacermi di più.
Ho trascorso un anno e mezzo in un altro paesino di provincia italiana, non il mio. E sono stata bene in quella bolla piccola ma internazionale, anche se c’è stato chi mi ha chiesto: “Sei sicura di voler restare? Mi sembra una realtà così piccola rispetto a ciò che volevi”. La verità è che allora non sapevo cosa volessi – e, spoiler, neanche ora lo so – ma quei mesi sono stati importanti e arricchenti. Avevo però ancora un conto in sospeso: quello con il Perù. Così sono partita per Lima nell’agosto del 2023. È stata un’esperienza complessa, difficile, profonda, emozionante, toccante – e quanti aggettivi ancora, quante storie. Mi ha dato così tanto e mi ha destabilizzato altrettanto. Ora che sono tornata al punto di partenza, a casa dei miei genitori, e superato il blues post-ritorno, sto iniziando a comprendere l’importanza di fermarsi, della tranquillità, e riscopro il valore della comunità e di una grande famiglia. It takes a village. Vedo la ricchezza del mio territorio, delle opportunità che offre, delle persone che lo abitano e lo vivono, che hanno scelto di restare o tornare.
Non è un giudizio di valore, né una dichiarazione di intenti. Anche se ora dico onestamente che sì, per un periodo potrei anche rimanere qui, dove c’è così tanto da fare e da vivere, dove c’è verde tutt’intorno. Ammetto, però, che ogni opportunità per ripartire mi punzecchia, e non posso non provarci: come a 17 anni, anche a 27 questo non è cambiato. Forse è questo ciò che significa avere il viaggio dentro. Andarmene non ha mai risolto i problemi alla base, ma partenza dopo partenza ho iniziato a rendermi conto di alcune cose, a lavorarci su: non è stato solo un percorso esterno, ma anche interno. E poi, quanti luoghi, quante amicizie e persone con le loro storie meravigliose, piene di speranza. Sì, viaggiare è possibile anche in una stessa stanza, quando scopri una persona, il suo punto di vista, ti immergi nella sua storia. Anche se questo è un testo molto personale, il viaggio è collettività, e i legami sparsi per il mondo sono un bene prezioso a cui non rinuncerei, anche se la distanza è fatica e richiede tanta cura nelle relazioni. Grazie a questi legami mi sono riscoperta; grazie a certi paesaggi, a certi momenti immersi nella natura, ho rimesso in prospettiva tante cose.
So che può sembrare elitista, ma come vorrei che tutte le persone a cui voglio bene, e non solo, potessero passare una notte a guardare il cielo nel mezzo della foresta amazzonica e rendersi conto – in un barlume di lucidità che la vita quotidiana spesso non permette – che siamo davvero piccole, un nulla, un minuscolo puntino davanti alla natura che ci avvolge. Il fiume pullula di alligatori, piranha, anaconde; nella foresta ci sono puma, piante velenose e formiche assassine. Sei in balia della natura ma non fa paura, perché anche tu ne fai parte. Ti ridimensioni, ti riconnetti. È un’esperienza così potente. E solo un esempio di come il viaggio possa plasmarti.
C’è chi mi dice: “Cavolo, come sei coraggiosa a partire”. Fino a poco tempo fa rispondevo che per me era necessità e voglia, non coraggio, aggiungendo silenziosamente che il coraggio mi sembrava quello di chi restava, di chi si negava il viaggio. Ora capisco che non è nemmeno questo. Restare non è più o meno coraggioso, non è questo il punto. Scegliamo ciò che per noi è necessario. Per me partire è stato più una necessità che restare, anche se ogni volta che torno è come lasciare pezzi e parti di me sparsi nel mondo, a volte difficili da ricomporre in un filo logico. Ma forse non è neanche essenziale. Ora credo che servano radici profonde per potersi innalzare verticalmente o espandere orizzontalmente, insomma, per esplorare ciò che si è, per viaggiare in sicurezza, come si suol dire: una sicurezza che deriva dall’affetto, dal nucleo, dalle certezze, poche, e i valori. E se andarsene serve per capirlo, allora vai. Ma se devi restare, resta. Insomma, che ogni partenza ti sia lieve e voluta.
Alexia Acuna
Al testo in spagnolo segue la traduzione in italiano.
Este año tuve la oportunidad de participar en el proyecto de Intercambio para jóvenes trentinos de todo el mundo, una iniciativa diseñada para permitir a jóvenes de diferentes puntos del planeta reencontrarse con sus raíces Trentinas y con la vida y cultura de sus antepasados. Sin duda, fue una de las mejores experiencias que he tenido; la posibilidad de conocer el Trentino era, hasta ese momento, una idea que representaba algo lejano e intangible.
Partir a un lugar en el que nunca había estado, pero que había conocido desde pequeña a través de relatos familiares, era un concepto tan vasto en mi imaginación, sin duda un viaje para reencontrarse con lo desconocido. Esta es una de las tantas formas que podría describir esta experiencia.
El viaje a Trento desde un lugar tan remoto como Paraguay, no solo implicaba la oportunidad de explorar nuevos paisajes, sino que también significaba reconectar con un lugar que alguna vez mis antepasados consideraron su hogar, del cual probablemente nunca pensaron que partirían sin poder regresar. Para mí, esta partida hacia lo desconocido representaba para otros en realidad, un regreso: el cierre de un ciclo que habría tomado generaciones.
Al principio mis primeras impresiones fueron abrumadoras; la belleza de los paisajes, de las ciudades y de todos los pueblos del Trentino, todo era tan nuevo, sin importar cuantas veces había escuchado historias, visto imágenes de sus paisajes, toda la expectativa que traía conmigo sin duda fue superada, no solo por la belleza que me rodeaba, sino también por la calidad de las personas.
Tuve la oportunidad de conocer a muchos jóvenes, todos ellos compartiendo sus historias, en donde las conversaciones se convirtieron en puentes entre nuestros mundos, entre nuestra cotidianeidad y costumbres tan ajenas entre sí, pero que compartían de igual manera los mismos valores. No se trató solo de una experiencia enriquecedora sino también formó lazos profundos con personas que perdurarán mucho más allá de lo vivido en ese tiempo, la calidez y hospitalidad de las personas que conocí me hicieron sentir parte de una gran familia.
Esta experiencia también me permitió replantearme sobre el sentido de pertenencia. Recuerdo haber leído alguna vez que “El viaje es un regreso” y aunque nunca había estado en Trento antes, cada lugar, paisaje y personas que conocía me hacían reflexionar sobre cuán arraigadas y eternas pueden llegar a ser las raíces familiares. La partida no solo puede significar dejar un lugar físico, sino que puede representar el viaje hacia el interior de uno mismo, hacia nuestras raíces y hacía nuestras posibilidades en el futuro.
Quest’anno ho avuto l’opportunità di partecipare al progetto Exchange per i giovani trentini di tutto il mondo, un’iniziativa pensata per permettere a ragazzi provenienti da diverse parti del mondo di riconnettersi con le proprie radici trentine e con la vita e la cultura dei propri antenati. È stata senza dubbio una delle esperienze più belle che abbia mai vissuto; la possibilità di conoscere il Trentino era, fino ad allora, un’idea che rappresentava qualcosa di lontano e intangibile.
Andare in un luogo in cui non ero mai stata, ma che conoscevo fin da bambina attraverso i racconti della mia famiglia, era un concetto così vasto nella mia immaginazione, sicuramente un viaggio nell’ignoto.
Questo è uno dei tanti modi in cui potrei descrivere questa esperienza. Il viaggio verso Trento da un luogo remoto come il Paraguay non implicava solo l’opportunità di esplorare nuovi paesaggi, ma significava anche riconnettersi con un luogo che i miei antenati consideravano casa, da cui probabilmente non avrebbero mai pensato di andarsene senza poter tornare. Per me, questa partenza verso l’ignoto ha rappresentato per altri, in realtà, un ritorno: la chiusura di un ciclo che avrebbe richiesto generazioni.
Le prime impressioni sono state travolgenti; la bellezza dei paesaggi, delle città e di tutti i paesi del Trentino, tutto era così nuovo, non importa quante volte avessi sentito storie, visto immagini dei suoi paesaggi, tutte le aspettative che avevo portato con me sono state sicuramente superate, non solo per la bellezza che mi circondava, ma anche per la qualità delle persone.
Ho avuto l’opportunità di incontrare molti giovani, tutti accomunati dalle loro storie, dove le conversazioni sono diventate ponti tra i nostri mondi, tra le nostre vite quotidiane e le nostre abitudini così diverse tra loro, ma accomunate dagli stessi valori. Non è stata solo un’esperienza arricchente, ma ha anche formato legami profondi con persone che dureranno ben oltre le esperienze di quel periodo; il calore e l’ospitalità delle persone che ho incontrato mi hanno fatto sentire parte di una grande famiglia.
Questa esperienza mi ha anche permesso di ripensare al mio senso di appartenenza. Ricordo di aver letto una volta che “Il viaggio è un ritorno” e, sebbene non fossi mai stata a Trento prima, ogni luogo, paesaggio e persona che ho incontrato mi ha fatto riflettere su quanto possano essere profonde ed eterne le radici familiari. La partenza non può significare solo l’abbandono di un luogo fisico, ma può rappresentare anche un viaggio in se stessi, nelle proprie radici e nelle proprie possibilità per il futuro.