Il Carnevale in Veneto

Autore

Stefano Simeoni
Stefano Simeoni, classe 1998, è da sempre appassionato di storia e delle civiltà umane. Si è di recente laureato in Scienze Storiche con una tesi in Storia culturale sulle feste e gli intrattenimenti a Padova.

Storia del Carnevale lungo i secoli

Un po’ tutti hanno in mente di cosa si parla quando si parla di Carnevale. Ai più, questa parola evocherà ricordi d’infanzia, le piazze invase da folle festanti in maschera, coriandoli e dolci per l’occasione. Eppure, il Carnevale possiede un carattere di ambiguità nella sua origine e, in parte, nel motivo della sua reale esistenza. Perché festeggiamo il Carnevale? Il motivo di questa sua ambiguità è forse da ricercarsi nelle trasformazioni che questa festa ha avuto durante i secoli e in come è stata consegnata alla contemporaneità. Dunque, il Carnevale non è solo un’occasione di festa, ma anche un’allettante oggetto di studi che ha attirato l’attenzione di diverse discipline, in particolare dell’antropologia. Uno dei contributi più interessanti risulta essere l’opera dell’antropologo trentino Giovanni Kezich, Carnevale. La festa del mondo. Kezich ricerca le radici della festa e dei suoi simboli, e sottolinea le similitudini di molte usanze e maschere nei festeggiamenti in numerosi esempi in tutta Europa e nelle Americhe. Infine, ricostruisce una storia del Carnevale dalla sua genesi fino alla sua dimensione globale a noi familiare.

L’opera dell’antropologo trentino funge qui da bussola per disegnare il percorso che ha intrapreso la festa del Carnevale in Veneto, senza però spingersi ad affermare che il Carnevale sia festeggiato in questa regione in maniera più peculiare rispetto alle altre. Infatti, si potrà notare come progressivamente anche i riti o le consuetudini più folkloristiche del Carnevale vengano via via meno con l’avvicinarsi della modernità e della realtà globalizzata. Un’ulteriore premessa deriva dalle stesse considerazioni di Kezich, il quale evidenzia come esista una sostanziale differenza che distingue i carnevali cittadini da quelli della periferia (dei villaggi rurali o delle comunità di montagna), dove i primi sono più grandi e sfarzosi e i secondi più piccoli e folkloristici. Nondimeno, questi due modi di celebrare il carnevale non sono rigidamente divisi, anzi si compenetrano e si confondono.

Un buon esempio di questa contaminazione si ritrova nelle maschere tradizionali del carnevale agordino, nella zona delle Dolomiti, dove sfilano le mascherate sia di derivazione veneziana, come la Bauta (ovvero la vecchia), sia del patrimonio folkloristico locale, come i matazin e i matazera, ovvero i matti (in questo contesto, il termine “matto” non va inteso come pazzo, bensì come “quel personaggio distinto”, facilmente identificabile, “quel tale”, quello là), che nelle diverse apparizioni, si presentano come annunciatori, rispettivamente, del Bello e del Brutto. Queste figure sono note non solo in questa zona, ma più in generale in tutto l’arco alpino dolomitico dove sono conosciuti con varianti dello stesso nome (matazini a Carano in Val di Fiemme, o matòch in Valtellina) e, almeno per il caso degli Annunciatori del Bello, si distinguono per il loro abbigliamento ben curato e le loro caratteristiche maschere di legno. Il loro ruolo all’interno del carnevale di montagna è quello di esibirsi in danze e riti necessari a garantire l’abbondanza e la prosperità.

Queste manifestazioni folkloristiche sembrano agganciarsi a quel passato ancestrale di riti pagani delle fertilità, ed effettivamente in molte parti d’Europa ricorrono maschere che prendono spunto dalla realtà pastorale o agricola non del tutto dissimili da quelle della tradizione latina. C’è una sorta di comune intendimento che vede la nascita del Carnevale come la prosecuzione delle cerimonie del paganesimo latino. In altre parole, tra le tante interpretazioni che spiegano la presenza del Carnevale nel calendario dei paesi occidentali c’è proprio questa ricerca delle radici latine della cultura europea. E certamente questa connessione con gli antenati illustri ha un suo fondo di verità, ma l’origine di questa festa si associa a elementi più complessi e allo stratificarsi di interpretazioni che sono state date di questo evento lungo i secoli.

Sempre secondo Kezich, il Carnevale in Italia ha una genesi piuttosto tardiva, collocabile dopo l’anno mille. La nascita del Carnevale si lega all’urbanizzazione e alla formazione dei Comuni, ed è proprio la progressiva urbanizzazione che favorisce la ripresa di alcuni riti pagani sopravvissuti fino al medioevo, poiché è nelle città, meno soggette al controllo della Chiesa, che alcuni di questi riti sopravvissero ma in una connotazione più goliardica e farsesca, un giusto compromesso con la mentalità cristiana.

In questi Carnevali cittadini si festeggiava l’abbondanza, la fertilità o la vittoria in guerra. Pertanto, in alcuni carnevali comparivano personaggi che si richiamavano a figure degli antichi. A Verona, ad esempio, durante il carnevale apparivano i macaroni, lacchè biancovestiti, che sfilavano in corteo insieme al Papà Gnoco, una sorta di antico Rex Arvalium (semplificando, il capo dei sacerdoti che si dedicava al culto della Dea Dia, protettrice della terra e della produzione agricola), come in un antico rito del grano.

Questo carnevale coi suoi rimandi al paganesimo, seppur parodizzati, avrà ampia diffusione in Europa. Solo l’avvento della Riforma Protestante eradicherà queste feste considerate al limite del blasfemo. Tuttavia, i Carnevali folkloristici riuscirono a resistere in seno alla cultura della Controriforma anche grazie all’importanza assunta dal Carnevale in epoca rinascimentale e all’emergere di importanti punti come ad esempio, in territorio veneto, Venezia.

Il Carnevale di Venezia, oltre ad essere uno dei più noti quantomeno a livello nazionale, è forse l’esempio più emblematico quando si parla di Carnevale in Veneto. Risulta interessante l’analisi che Kezich fa del Carnevale nella Dominate, una festa che rispecchia lo sfarzo di una società mercantile, laica e che si ritiene fondamentalmente isolata. Il Carnevale a Venezia arrivava con le regate, le celebri maschere, la folla numerosa di acrobati, circensi ed animali esotici che popolavano Piazza San Marco, oltre agli intrattenimenti organizzati dalle Compagnia della Calze, un gruppo di giovani patrizi veneziani attiva dal Cinquecento che si occupava di preparare giochi e spettacoli teatrali per l’occasione. Da ultimo, è necessario dire che fu proprio il Carnevale a portare alla luce quelle maschere che ebbero modo di definirsi con il loro ingresso nella commedia dell’arte goldoniana.

I fasti del Carnevale di Venezia ebbero fine con la caduta della Repubblica e la sua progressiva decadenza dopo l’Annessione del 1866. A metà Ottocento il Carnevale entrava in un’ulteriore fase segnata dall’ascesa della borghesia. Il modello di Carnevale che si impone tra la metà del XIX secolo e il XX è quello della Francia della Belle époque: un evento epurato da tutte le sue forme di euforia collettiva e di simbolismi per essere ridotto ad una semplice festa.

Il Carnevale resta ancora il momento dell’aggregazione di piazza, ma l’importanza che assume la borghesia nelle società tardo ottocentesche fa sì che questa classe dirigente si appropri di spazi nelle moderne città per celebrare questa festa a modo proprio, seguendo i dettami rigidi della moralità del moderno buon borghese. Queste considerazioni si applicano a una città come Padova, che nel passaggio tra Ottocento e Novecento subisce radicali trasformazioni che, in sintesi, portarono alla nascita della città moderna. Nella nuova Padova, che smette le sue vesti di città rinascimentale, il Carnevale si festeggia sia con le mascherate e gli eventi collettivi (si intende qui citare il ruolo del Club degli Ignoranti che dal 1890 organizza eventi a scopo benefico), ma al contempo esistevano quegli eventi esclusivi per l’aristocrazia e la borghesia che si tenevano tanto nei palazzi dei nobili, quanto nei circoli e nei club riservati (gli eventi più conosciuti erano organizzati dalla Società del Casino Pedrocchi con sede ai piani superiori del Caffè Pedrocchi) e nei teatri (in questo caso i due principali: il teatro Verdi e il Teatro Garibaldi). In occasione del Carnevale, l’élite padovana organizzava feste con balli fino all’alba, i Veglioni, feste danzanti che avevano come primo scopo quello di rinsaldare l’unione di queste persone accomunate dall’appartenenza di ceto e dalla condivisione di pratiche e modi di vedere il mondo. Sulla particolarità delle feste borghesi suggerisco il libro E ballando ballando… Storia d’Italia a passi di danza, dell’autrice Anna Tonelli, che indaga anche la cultura borghese dell’intrattenimento.

Il caso del Veneto è stato un pretesto per delineare una storia del Carnevale e la sua riduzione ad una semplice festa. Leggere questo fenomeno in chiave ottocentesca sembra segnare la fine della straordinarietà di questo evento; eppure, come suggerisce Kezich, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, il Carnevale non è morto ma è vivo e in buona salute, non solo perché è a partire da questo punto che si diffonde globalmente, ma anche perché il suo vero motivo, quello di momento di festa e di intrattenimento, rivive in ogni forma di intrattenimento popolare presente in ogni periodo dell’anno.

BIBLIOGRAFIA

KEZICH Giovanni, Carnevale. La festa del mondo, Bari, Laterza&figli, 2019.

TONELLI Anna, E ballando ballando. Storia d’Italia a passi di danza (1815-1996). Dal valzer borghese alla macarena dei militanti Popolari, Milano, F. Angeli, 1998.

SECCO Gianluigi, Viva Viva Carnevale, Belluno, Belumat editrice Belluno.

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