Il 2 dicembre ricorre la giornata mondiale per l’abolizione della schiavitù. Quel giorno, nel 1949, l’ONU approvava una Convenzione per la repressione del traffico di persone e dello sfruttamento della prostituzione. La sera in cui ho scoperto il motivo per cui questa giornata ricorre proprio il 2 dicembre, ero a cena con un’amica che ha viaggiato più volte in Thailandia. Mi raccontava di essersi sentita a disagio nel percepire quanto l’economia di quel Paese ruotasse attorno al turismo sessuale. Stando alla sua esperienza, questo tipo di turismo sarebbe piuttosto normalizzato, ma il confine tra lavoro e sfruttamento non sempre così evidente. Al tempo stesso, tuttavia, sono le donne stesse che talvolta riescono a sfruttare il sistema a proprio favore, chiedendo ai turisti dei prezzi decisamente vantaggiosi – per sé stesse, non per loro. Abbiamo lasciato cadere il discorso, consapevoli di non avere, né io né lei, i mezzi per fare un’analisi accurata di un tema così complesso e delicato. Questo input, però, ha aperto delle riflessioni più ampie. Certi tipi di sfruttamento e schiavitù, i nostri occhi occidentali tendono a non vederle. Pur sapendo che esistono, sono lontane da noi e finché non ci riguardano direttamente non ci toccano. Esistono però delle forme di sottomissione che non vediamo nonostante si trovino vicino a noi, tra di noi, o addirittura dentro di noi. Forse non siamo consapevoli a sufficienza da accorgercene, oppure non le vediamo perché le chiamiamo in altri modi. Perché “schiavitù” è una parola forte e nessuno di noi la utilizzerebbe volentieri per descrivere la propria condizione. Già “dipendenza”, non meno pesante, è però forse più comprensibile, più accettabile, in qualche modo. Tutti accettiamo, anche ironicamente, di essere dipendenti dal telefono, dal fumo, dal caffè, da un’abitudine più o meno sana che scandisce le nostre giornate. Una cosa senza la quale daremmo di matto. Una cosa di cui non riusciamo a liberarci, pur quando consapevoli dei danni che comporta. Forse sta proprio qui il confine tra schiavitù e dipendenza: nella dipendenza, la libertà non è sempre percepita come l’alternativa migliore, come l’opposto, perché ciò da cui si dipende apparentemente porta più benefici. Anche se, a ben guardare, l’opposto della schiavitù non è una libertà generica, ma la libertà di scegliere. La libertà può tornare in ogni momento ad essere sacrificata, consapevolmente o meno, in nome di insidie, di idoli o illusioni che si rivelano catene più o meno evidenti, ma finché la possibilità di scegliere viene tutelata, resta forse tutelato anche uno spazio intoccabile di libertà.
Ogni volta che scegli tu scegli / il tipo di schiavo / che non sarai.
[Lo Stato Sociale, Niente di speciale]