Il compositore veneziano Luigi Nono raccontava che nel periodo in cui nello studio di fonologia di Friburgo sperimentava con il flautista Roberto Fabbriciani le tecniche di emissione di suoni con un pianissimo con ppppp e la registrazione di questi suoni appena percepibili, avvenne una cosa sorprendente: concluse le prove, ma nel momento in cui gli strumenti di registrazione erano ancora attivi, casualmente Fabbriciani accostò ancora alle labbra il flauto, senza tuttavia emettere alcun suono, ma gli strumenti di registrazione restituirono tuttavia nel perfetto silenzio della sala un suono regolare e profondo, ritmato e simile a un tamburo. Verificato che non vi fosse alcuna interferenza con altri possibili suoni esterni, ben presto Nono si rese conto dell’origine di quel suono: il battito del cuore del musicista veniva raccolto attraverso il contatto fra le labbra e il flauto, ed era appunto quel battito che animava l’ambiente sonoro dei sensori e degli strumenti di elaborazione dal vivo.
Nei suoi frammenti teorici il poeta romantico Novalis – e con lui due secoli dopo la poetessa danese Inger Christensen – parla di uno stato di segretezza del linguaggio, ed è una condizione di silenzio, il silenzio della notte romantica e mistica, ad esservi inteso, e proprio in questo stato di segretezza si apre nel silenzio, dicono Novalis e Christensen, una comunicazione inedita fra la voce del poeta e la natura, sicché il mondo giunge alla parola giusto nella voce umana del discorso poetico – ma ciò si manifesta solo attraverso e nella forma di quel silenzio che viene custodito come il segreto, come la condizione più interna e più creativa di ogni linguaggio umano.
Nulla resta, del silenzio e della notte romantici, nella poesia di Paul Celan: notte e notte raddoppiata e rinserrata nella notte della Shoah, nel silenzio della testimonianza negata e cancellata dalla macchina di morte nazista. La Stille romantica è adesso Schweigen, non più ‘silenzio’ ma ‘ammutolire’, eliminazione del volto umano come nel quadro terribile di Paul Klee: Cancellato dalla lista.
Non vi è eccezione, esonero né spazio di compensazione rispetto a questo silenzio dell’ammutolire, nella testimonianza della poesia, ma è appunto nell’indagine interna di questo silenzio, nel risalirne e nell’attraversarne il gelo sempre più fitto, che Celan giunge in fondo/ al crepaccio dei tempi al cristallo di respiro, che è la parola mai udita, e per questo intatta e irrefutabile, di chi non ha voce restante nel mondo.
Presso questo cristallo di respiro Celan pone un favo di ghiaccio; forme – l’una e l’altra – di un silenzio raggelato e tuttavia forme che custodiscono come incrinatura, come peculiare densità e inindagabile stratificazione, la vibrazione infinitesima della voce, l’articolazione del cuore umano.
In tempi più sereni dei nostri, Leibniz immaginava la conversazione di due filosofi presso la riva del mare, e a fianco delle parole umane si estendeva la distesa azzurra delle acque e quella miriade infinita di impercettibili differenti inflessioni sonore delle singole onde, delle singole particelle del fluire del mare. Singolarmente inudibili, mormorio sommesso che non si innalza sino alla nostra coscienza se qualcosa di imprevisto non ci distoglie dal nostro percorso e non ce ne rende consapevolezza, le vibrazioni sommesse del mare penetrano nella nostra anima e sono di più grande effetto di quanto si pensi, perché sono proprio tali vibrazioni inavvertite del silenzio che contrassegnano e costituiscono l’individuo medesimo.
Il silenzio è il luogo indecidibile dell’ascolto umano della pulsazione del tempo, il luogo in cui l’agire e il patire nel tempo della storia può divenire passione della vita.