Nel suo ultimo libro, uscito per i tipi de Il Mulino, dal titolo “Solo i folli cambieranno il mondo”, lei indica una strada inconsueta da percorrere se si vuole trasformare l’esistente: la follia. Dal suo punto di vista di medico e neurobiologo chi sono i folli?
La parola follia non è riferita in senso medico a una diagnosi di grave malattia mentale, ma piuttosto a manifestazioni transitorie che si possono avvicinare a certe malattie neurologiche o psichiatriche. Le persone che escono dal gregge delle pecore della globalizzazione del pensiero si potrebbero definire folli; si dice che gli artisti e anche gli scienziati, perché hanno pensieri e vite diverse e non si curano delle consuetudini.
Lei oppone alla categoria dei “folli”, considerati come innovatori, la categoria dei “borghesi” da lei intesi come conservatori, tradizionalisti, conformisti: coloro insomma che hanno paura di qualsiasi cambiamento, anche per mantenere lo status di privilegiati.
Talvolta, o forse spesso, anche le guerre sono tra folli e borghesi, tra ignoranti e “saputi”, tra poveri che vorrebbero cambiamenti e ricchi che hanno paura che venga intaccata la loro ricca tranquillità. I poveri, i diseredati sono dei diversi, ma per i borghesi rientrano nella categoria dei folli, gente da evitare e da allontanare; anche la loro vista. La caratteristica della “borghesia” è la prevedibilità, con i suoi difetti ma anche con i suoi vantaggi.
Da neurobiologo lei indica l’abitudine come un’autostrada verso la robotizzazione del sistema nervoso; in che senso?
Dal punto di vista delle basi neurologiche, l’abitudine indica che alcuni circuiti nervosi si sono rinforzati a causa delle ripetizioni di funzione a cui sono stati sottoposti con il risultato che le loro connessioni sinaptiche sono diventate più stabili ed efficaci; si può dunque concludere che l’abitudine fa parte dell’apprendimento. L’abitudine è l’insieme delle organizzazioni di funzionamento cerebrale mirate al successo sociale o alla sicurezza. Per lo studioso del cervello che conosce le potenzialità del sistema nervoso, la sua plasticità, la sua creatività, la posizione del conservatore è impensabile perchè implica incatenare i neuroni in routine di funzionamento, in una volontaria rinuncia alla potenzialità della propria mente.
Il cervello, lei scrive, è plastico, è come l’argilla e perciò si può plasmare per costruire idee, immagini e sentimenti a seconda degli stimoli che riceve. Si può quindi, lavorando su se stessi, arrivare tutti ad avere un cervello “bello”, come lei lo definisce?
Nell’uomo la risonanza magnetica funzionale ha evidenziato che gli stimoli sensoriali o intellettuali variano l’attività cerebrale e la circolazione sanguigna. Sta qui la nostra maniera di essere, umili, onesti, perversi, malinconici o contenti, proprio nel gioco delle connessioni sinaptiche in risposta agli stimoli, alle esperienze, alla cultura, al nostro modo di essere al mondo. Il cervello è un mistero meraviglioso.
Seguendo il pensiero di grandi intellettuali come Pasolini e Foucault, lei afferma che stiamo vivendo il passaggio dall’Homo sapiens all’Uomo seriale, frutto di quella che Bernard Stiegler ha definito la “società automatica”. Siamo di fronte alla negazione dell’esercizio della libertà e della responsabilità. In proposito nel libro cita un film dell’autore e regista PIF intitolato “E noi come stronzi rimanemmo a guardare”, che ci vede diventare esseri virtuali manovrati dagli algoritmi….
L’intelligenza umana cede la facoltà individuale di pensare e di decidere all’algoritmo con l’istruzione della comoda controfigura digitale, che ti può consigliare sugli acquisti, sulle letture, su quello che vuoi. Inutile pensare, chiedi all’algoritmo: domina la fisiologia dell’immateriale. La vera paura che sta avanzando è quella della possibilità di manipolazione bioelettrica del cervello, che porti a un controllo diretto dell’attività cerebrale, dove l’uomo diventa un “simbionte” regolato e guidato da altri uomini a loro piacimento secondo finalità che ci sono estranee e che potremmo non voler condividere. Ancora una volta l’avanzamento della conoscenza mostra aspetti altamente positivi accanto a temibili effetti collaterali; sta a noi indirizzare l’uso verso valori degni dell’uomo e del suo privilegio di pensare.
Solo l’arte ci potrà salvare, pare dirci nel suo bel libro, nel quale dedica molte pagine al rapporto tra la follia e la creatività ripercorrendo, tra le altre, le vite di poeti come Alda Merini, di pittori come Ligabue, Munch, Van Gogh, Klee, Klimt, Kokoschka, Schiele, Magritte, di musicisti come Mozart, e di movimenti artistici come il surrealismo, soprattutto quello al femminile.
Nel campo dell’arte i folli sono di casa perché è proprio la loro principale ambizione, quella, non di rappresentare la realtà ma, come dice il pittore Francis Bacon, di riordinarla in maniera diversa. L’artista vede la sua realtà di folle che molte volte percorre la realtà di domani anche se talvolta di un lontano ostacolato domani. Il desiderio dell’artista di esplorare e creare nuove realtà non solo è una proprietà del cervello dell’artista, ma è proprietà cerebrale (follia per intenderci) anche talvolta attivamente ricercata, attraverso l’uso di alcol o di droghe, ricercata per essere, per dir così, più diverso, più folle, più artista. Le donne sono, a mio avviso, la speranza per un mondo migliore di domani: ese hanno il dono della grazia e dell’intelligenza del corpo come dice Borges. E io dico che hanno l’anima del sorriso e della lacrima e la capacità di vedere oltre.
Dedica ad Alda Merini e alla sua grandezza poetica diverse pagine del suo libro, perché?
Voglio ricordare una folle dalla vita tanto drammatica quanto artisticamente produttiva. La storia della sua vita è il triste romanzo di un fantastico essere umano che sa sempre trovare nella malattia, nell’arte, ma anche nella sua profonda fede religiosa, una resurrezione.
Ricordo la sua poesia dedicata a Franco Basaglia:
Come eravamo innamorati, noi
laggiù nei manicomi
quando speravamo un giorno
di tornare a fiorire,
ma la cosa più inaudita, credi
è stato quando abbiamo scoperto
che non eravamo mai stati malati