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Non essere interclassisti ma schierati. La passione di don Lorenzo Milani per le inchieste

Autore

Gabriele Arosio
Educatore professionale e Pastore della Chiesa Evangelica Battista di Bollate; autore del volume Gesù nella mia storia. Preparare e vivere il battesimo, Claudiana, 2021.

«La scuola deve tendere tutta nell’attesa 

di quel giorno glorioso in cui lo scolaro 

migliore le dice: 

“Povera vecchia, non ti intendi più di nulla” 

e la scuola risponde con la rinuncia a conoscere 

i segreti del suo figliolo, felice soltanto 

che il suo figliolo sia vivo e ribelle»

(Lettera di don Lorenzo a Michele Gesualdi)

Andare a Barbiana, vedere con gli occhi e toccare con mano è ancora oggi un’esperienza importante. «Ancora oggi sono affissi ai muri dell’aula barbianese le tabelle e i grafici con le statistiche su temi economici e sociali disegnati negli anni ‘60 dagli allievi, che dai quei dati partivano per darsi un metodo, per rendere credibili le loro analisi, e per imbastire le idee per la costruzione di un mondo più giusto» [R. Iaccarino, Educare e negare, Doppiozero 5 febbraio 2023, https://www.doppiozero.com/educare-e-negare]. Quando ho letto queste righe mi sono tornati in mente vecchi pensieri sulla storia di don Milani e ho pensato che potesse essere importante farli diventare un racconto. Per prima cosa mi è venuta in mente una testimonianza che ho raccolto dal vivo. Sono parole che ho ascoltato da don Cesare Sommariva, prete operaio milanese che aveva collaborato per diversi anni con don Lorenzo e poi aveva fondato a Milano una rete di scuole popolari ispirata al metodo della scuola di Barbiana. Don Cesare, inquieto e in ricerca, aveva sentito parlare del suo confratello fiorentino e intuendo una certa sintonia tra la sua storia e quella di don Lorenzo (il desiderio di occuparsi dei poveri dopo essere divenuto prete, ma appartenendo come lui ad una famiglia agiata e benestante), si era recato a Barbiana nei primi anni ‘60 per conoscerlo.

Il primo incontro non uscì dai binari di quegli istinti che don Lorenzo stesso si attribuiva con i curiosi che salivano da lui: quelli da “rinoceronte” [Lettera di don Lorenzo a Luciano Ichino, 11 maggio 1959 https://www.pietroichino.it/?p=44801]. Don Cesare si sentì fare una sola domanda secca che finì per funzionare da congedo: sei venuto fin qui ma hai fatto a Milano un’inchiesta? Non ce l’hai? Ritorna indietro e vieni dopo averla fatta.

L’aneddoto ci introduce a quello che fu per don Milani un vero e proprio metodo di lavoro: l’inchiesta. È un metodo impiegato con ampiezza nel libro Esperienze pastorali. Basta sfogliarne le pagine. Tutte le considerazioni che vi si trovano vogliono essere documentate.

Il libro intende rinnovare l’azione pastorale della chiesa cattolica giudicata, da don Milani, superata dai cambiamenti intervenuti nel tessuto sociale e culturale dell’Italia del suo tempo e soprattutto non in grado di raggiungere gli ultimi e di promuoverne il riscatto. L’intento di tutto il libro è chiaro nell’urticante dedica a proposito di missione pastorale: «Questo lavoro è dedicato al missionari cinesi del vicariato apostolico d’Etruria, perché contemplando i ruderi del nostro campanile e domandandosi il perché della pesante mano di Dio su di noi, abbiano dalla nostra stessa confessione esauriente risposta. Lui solo vogliano dunque ringraziare della nostra giusta condanna che ad essi ha dato occasione di eterna salvezza. Se dunque da questa umile opera potranno per il loro ministero trovare ammaestramento, non manchino di pregare in cinese il Cristo misericordioso perché dei nostri errori, di cui siamo stati a un tempo vittime ed autori, voglia misericordiosamente abbreviarci la pena. S. Donato – dicembre 1954. “I rami sono stati recisi affinché tu fossi innestato. Per la loro incredulità son stati recisi. Tu dunque stai saldo nella fede” Rom. XI, 19».

Per ogni capitolo delle iniziative della chiesa (catechesi, partecipazione alla messa, processioni, 40 ore, istruzione dei fedeli, opinioni politiche) sono presenti grafici, tabelle, computi numerici e statistiche. Al termine del libro, nei ringraziamenti, sono menzionati uomini e donne, con la loro relativa professione, che hanno contribuito alla raccolta dei dati e alla loro rielaborazione (ci sono anche due “contadini” menzionati per i “rilevamenti in chiesa e durante l’Acqua Santa!”). E la stessa cosa accade nella scrittura di Lettera ad una professoressa. Anche in questo libro, frutto di un lavoro collettivo dei ragazzi della scuola, abbiamo una sezione di grafici e statistiche.

Il racconto dell’elaborazione di quest’ultima parte del testo ha degli aspetti divertenti. «La documentazione statistica della lettera era affidata a Giancarlo, un ragazzo di 15 anni, che a Barbiana era soprannominato ‘Tranquillo’ per via di quel suo carattere calmo, riflessivo e bonario. 

Ogni tanto venivano su due professori di statistica per consigli; uno di loro così racconta uno di questi incontri: “Andai su spesso con due miei amici assistenti di statistica presso l’Università di Firenze, chiamati da don Lorenzo, il quale voleva che lo studio nei riguardi della scuola dell’obbligo fosse svolto nel modo più rigoroso e non potesse essere minimamente attaccato in quella parte di documentazione statistica che era la base da cui il discorso veniva sviluppato”. Era proprio in questi momenti, in cui anche uno spicchio di arancio tenuto in bocca gli procurava una notevole sofferenza, che don Lorenzo discuteva sull’indice statistico da usare per meglio evidenziare un determinato fenomeno, o sulla rappresentanza grafica che risultasse più chiara agli occhi di coloro che non hanno mai visto un diagramma. Dal letto dirigeva il lavoro dei suoi ragazzi cercando di cogliere da qualsiasi discorso fatto in sua presenza elementi utili da inserire nella lettera. […] Furono diversi gli incontri dei ragazzi con i due professori di statistica. Don Lorenzo descriverà uno di quegli incontri così: “Domenica son tornati i due professori di statistica (non so se vi avevo detto che li avevo cercati tempo fa per consiglio). È la terza volta che vengono. Si son messi al tavolo di fronte a me con Giancarlo e Giancarlo ha esposto le nostre ultime difficoltà. Io me ne sono stato tutta la sera in panciolle a godermi lo spettacolo. Ad un dato punto ho scritto un biglietto all’Adele – Venga a godersi lo spettacolo di Tranquillo che si mangia gli statistici come panini – Allora è venuta in camera anche l’Adele, Carlo e la Carla, e dopo due minuti son dovuti andare via dal ridere che gli si era preso. Tranquillo, tranquillissimo stava facendo lezione con un tono umile, sereno senza accorgersi che lo guardavamo e quei due poveri professori universitari si sprofondavano in scuse: – ma noi stiamo facendo perdere tempo. Non riusciamo ad esservi di nessun aiuto. Non potrebbe essere che le cose stiano così e così? – e lui tranquillissimo gli faceva notare che era l’ennesima corbelleria che dicevano. Quattro mesi fa Giancarlo era timido e piagnucolone e si considerava un uomo inferiore e sconfitto. Non m’importava nulla dei conti se non tornavano mi divertivo troppo per lui. Poi il giorno dopo ha ripreso in mano la situazione lui e ha risolto tutto il problema”» [S. Gesualdi, Com’è nata Lettera ad una professoressa, https://www.donlorenzomilani.it/lettera-ad-una-professoressa/ ].

A quanto mi risulta nessuno finora ha provato a spiegare come e dove don Milani abbia acquisito la sua passione per questo metodo di lavoro. Ma mi sembra di poter dire che c’è un episodio illuminante negli anni dello studio in seminario, quando Lorenzo Milani si procurò e lesse con grande entusiasmo un libro pubblicato in Francia e non disponibile in traduzione italiana. Tutti i suoi biografi riferiscono quest’episodio e più volte vi ha accennato a voce in vari incontri anche il cardinale Silvano Piovanelli che fu compagno di don Milani in seminario. Il seminarista Lorenzo Milani aveva coinvolto i compagni nella lettura e manifestato il proposito di voler tradurre in italiano il libro. «Nel settembre 1943, durante l’occupazione tedesca della Francia, due assistenti della Jeunesse ouvrièrechretienne (JOC), Henri Godin e Yvan Daniel, pubblicarono un libro che, nonostante la difficile situazione di guerra, ebbe una consistente diffusione e suscitò notevole scalpore. “La France pays de mission?” – questo il titolo del volume – presentava un’analisi della “scristianizzazione” delle periferie urbane francesi, accompagnata da una serrata riflessione sull’incapacità della chiesa di raggiungere gli ambienti popolari. Nonostante la cautela dei toni usati dai due preti, la lettura della realtà religiosa e le proposte per attuare la “conquista cristiana” del proletariato apparvero immediatamente dissonanti rispetto alle scelte prevalenti nella chiesa francese» [M. Margotti, La France pays de mission?, vangelo e periferia, in Il Cristianesimo al tempo di Papa Francesco, a cura di A. Riccardi, Laterza 2018].

Azzardo un’affermazione: tra i due libri, La France pays de mission e Esperienze pastorali, esiste una sorta di isomorfismo che li rende quasi sovrapponibili. A partire dall’accoglienza che ebbero, destinata a suscitare scalpore e non pochi grattacapi agli autori (fino a giungere, per il libro del prete fiorentino al suo ritiro ordinato dall’allora Sant’Ufficio vaticano e per quello francese, a testimonianza della sua “diversità”, a non avere spazio per una traduzione italiana). La vicenda del clamore suscitato dal libro di don Lorenzo e dei rapporti “difficili” che suscitò è ben ricostruita nelle pagine 41-64 del libro di Massimo Toschi, Don Lorenzo Milani e la sua chiesa [Polistampa 1994]. Ma più ancora, sono isomorfi i due libri perché procedono entrambi con grafici, statistiche e computi numerici, entrambi ampiamente frutto di inchieste, di osservazione e analisi della realtà.

Per chi conosce la JOC, movimento giovanile, ciò non suscita stupore.

Il sacerdote belga fondatore di questa Azione cattolica specializzata nell’evangelizzazione dei giovani popolari e lavoratori, Joseph Cardijn, era stato inviato dal suo vescovo a studiare Scienze sociali all’Università di Lovanio nel 1906 appena ordinato prete. Lì vi era un professore di economia politica, Victor Brants che teneva un corso di economia politica nei suoi rapporti con la questione operaia. «Iniziava gli studenti al metodo dell’inchiesta di Le Play, immettendoli nelle realtà della vita sociale mediante visite alle officine, viaggi e ricerche personali. In questo modo sperava di sviluppare il loro spirito critico e di formare non soltanto dei teorici, ma degli uomini di azione, capaci di realizzare in pratica il programma di riforme che presentava nei suoi corsi» [M. Fievez- J. Meert, Cardijn una vita per i giovani operai, Elle di ci, 1983 p. 21-22]. Cresciuto a questa scuola, Cardijn fece dell’inchiesta il metodo di analisi della realtà del suo movimento giovanile e la forza propulsiva dell’impegno dei giovani. Nel 1949 scriveva ai militanti della sua associazione: «Per imparare a conoscere i bisogni dei giovani lavoratori e gli elementi dei problemi che la JOC deve risolvere, è necessario procedere a delle inchieste continue ed approfondite. Infatti, in questi campi, non ci si può basare su conoscenze libresche o su idee aprioristiche: al contrario, bisogna disporre di informazioni esatte ed attuali sulle realtà vive. I giovani lavoratori devono imparare a vedere con inchieste personali e collettive ben guidate e ben coordinate, Queste inchieste hanno un grande valore educativo: illuminano l’intelligenza e infiammano il cuore» [J. Cardijn, Lavoratori e vangelo. Attualità di un messaggio, Esperienze 1994 p. 92].

A questo punto possiamo chiederci dove tutta la ricerca che don Milani ha fatto, di numeri e dati, la sua passione per grafici e inchieste, conducesse. Ho trovato la risposta in un racconto; leggendolo si renderà chiaro che la lezione di don Milani non si limita ad insegnarci a leggere la realtà né a documentare le nostre ipotesi o affermazioni, ma a spronarci a volere molto di più. Il racconto è l’incontro tra don Milani e Alberto L’Abate, direttore del Centro Studi della Provincia di Firenze. Tempo prima i ragazzi di Barbiana gli avevano chiesto i dati di una sua ricerca sulla selezione scolastica. Li ebbero e per questo oggi sono anch’essi pubblicati in Lettera ad una professoressa. «Qualche giorno prima della sua morte, il fratello di don Milani, il dott. Milani Comparetti…mi disse che il fratello stava molto male e mi invitò ad andare a trovarlo insieme a lui a casa della madre. Cosa che feci volentieri. Ma don Milani non sembrò altrettanto contento di vedermi e mi accolse in modo molto aggressivo lamentandosi che persone come me che erano pagate dalla collettività per studiare problemi sociali, non avessero studiato a fondo questi problemi costringendo loro a farlo. Devo confessare che quelle offese di “mangiare a ufo” o di scarso impegno professionale mi ferirono molto e le ho sentite per molto tempo come ingiuste, anche perché nel mio lavoro, pur nei limiti delle nostre possibilità, mi ero sempre sforzato di fare studi e ricerche proprio su quelli e simili argomenti. Anche se naturalmente i miei lavori non avendo la carica umana e la bellezza letteraria di una Lettera a una professoressa erano restati limitati all’ambito degli addetti e degli studiosi. Ma col passare del tempo mi sono reso conto che lui con quell’aggressione, non ce l’aveva con me personalmente, quanto con tutta la categoria di ricercatori di cui facevo parte e faccio parte e che la sua era una giusta ribellione contro l’atteggiamento prevalente in questa categoria. Un atteggiamento di distacco e di presunta neutralità rispetto all’oggetto della ricerca. Egli chiedeva che i ricercatori prendessero le parti degli ultimi e degli esclusi e li aiutassero nel loro processo e nella loro lotta per uscire dal ghetto in cui la società li aveva messi. E riteneva che la cosiddetta neutralità del ricercatore non fosse che un paravento per continuare a fare ricerca negli interessi del sistema e del mantenimento dello status quo» [Alberto L’Abate, Don Milani e la non violenza, in Don Milani e la pace, Edizioni Gruppo Abele 1988, p.96-97].

Non c’è che un impegno definitivo e ultimo per don Milani da vivere con tutta la passione, il rigore, la coerenza con cui l’hai vissuto lui: «Bisogna avere le idee chiare in fatto di problemi sociali e politici. Non bisogna essere interclassisti, ma schierati. Bisogna ardere dall’ansia di elevare il povero a un livello superiore. Non dico a un livello pari a quello dell’attuale classe dirigente. Ma superiore: più da uomo, più spirituale, più cristiano, più tutto» [L. Milani, Esperienze pastorali, Libreria Editrice Fiorentina, 1958, p. 239].

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