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Guerra interna

Autore

Emanuela Fellin
Emanuela Fellin, pedagogista clinica, svolge la sua attività professionale, di studio, ricerca e consulenza per lo sviluppo individuale, sia con l’infanzia e l’adolescenza, che con gli adulti. Si occupa di interventi con i gruppi e le organizzazioni per la formazione e lo sviluppo dell’apprendimento e della motivazione. L’impegno di studio e applicazione è rivolto agli interventi nei contesti critici dell’educazione contemporanea, sia istituzionali che scolastici. Le tematiche principali di interesse vertono sui concetti di vivibilità, ambiente, cura e apprendimento. I metodi utilizzati sono quelli propri della ricerca-intervento e della consulenza al ruolo per lo sviluppo individuale e il sostegno alle dinamiche dei gruppi e delle organizzazioni.

Di questi tempi parlare di guerra è purtroppo un tema fin troppo attuale e viene da chiedersi perché l’essere umano agisce contro un altro essere umano.

Spesso accade che i conflitti interiori vengano portati all’esasperazione e sono talmente grandi da non essere più elaborabili, esplodono fino a pervadere l’altro e l’ambiente. 

Questi conflitti distruttivi sono alla base dell’odio e della prevaricazione dell’altro.

W. R. Bion si è occupato degli affetti negativi come l’odio, l’invidia, l’arroganza e del ruolo che essi hanno nella formazione di aree non simboliche, al fine di cercare di comprendere quali ostacoli queste ultime frappongono alla relazione. Per Bion vi è un’unione indissolubile tra (L) amore, (H) odio, e (K) conoscenza.

Ne consegue che la dimensione affettiva e quella cognitiva della mente non possono che operare insieme, in sintonia; laddove si affermi l’area del negativo, sarà ognuno di quegli aspetti e la loro possibilità di operare in sintonia a risentirne. 

Accade quindi che, non potendo simbolizzare ed esprimere il conflitto elaborandolo in modo efficace, si manifesta un’implosione dei suoi effetti e si crea una guerra interna. Parti diverse di ognuno di noi divengono antagonistiche di altre parti in modi inconciliabili.

A partire da queste premesse è possibile quindi svolgere una riflessione sull’aggressività e la distruttività umane. È in primo luogo necessario distinguere tra aggressività e distruttività. L’aggressività è presente nel mondo animale, è un tratto evolutivo coinvolto in ogni esperienza e, in particolare, nella sopravvivenza e nella sessualità. La distruttività ha un’origine diversa e riguarda l’uomo e la sua storia culturale. Una concezione della mente supportata dalle più recenti ricerche ne evidenzia la natura costitutivamente relazionale e, pertanto, è importante individuare l’origine della distruttività nella processualità traumatica della mente relazionale. 

La tensione a vivere e all’espressione di sé di ogni essere umano coincide con la sua disposizione a relazionarsi e ad adattarsi con gli altri e la realtà del mondo; la distruttività e l’odio possono pertanto essere individuati come prodotti secondari dovuti ai problemi e alle impossibilità a soddisfare i desideri ma anche ai fallimenti più o meno gravi delle relazioni primarie.

Una volta divenuta concepibile, la guerra interna come autodistruzione si è affermata come parte del paesaggio mentale e reale possibile. 

La fine dell’umanità era presente prima come fine del mondo decretata da un Dio, indubbiamente una proiezione importante ma pur sempre una proiezione delle paure interne.

La concretezza tecnica dell’autodistruzione cambia definitivamente la percezione di se stessi da parte degli esseri umani. 

Oggi viviamo con almeno tre livelli possibili di autodistruzione concepibile ed effettivamente realizzabile:

  • la prima riguarda l’autodistruzione atomica;
  • la seconda l’autodistruzione ecologica;
  • la terza l’autodistruzione mediante la crisi del legame sociale e la fragilità dell’empatia, con tecniche che vanno dal terrorismo alla deportazione, alla fame o alla sete.

L’empatia, che è sostenuta dai diritti e dalle culture, è divenuta più forte che mai come risorsa a favore del bene, ma è anche alla base dell’effetto opposto, della violenza, del dolore e della prevaricazione¹. E’ empatica anche una persona che ha obiettivi perfidi nei confronti di un altro. Pensiamo ad esempio ad un torturatore, ad uno stalker, a chi mette in atto azioni di mobbing, a chi infligge violenze psicologiche più o meno pesanti. Chi adotta questi comportamenti sa perfettamente il punto debole dell’altro, lo conosce perché estremamente empatico.

L’autodistruzione da indifferenza si mostra essere la più perniciosa e, probabilmente, il suo ruolo è rinforzato da fattori demografici e sociali. L’affollamento del pianeta e la riduzione degli spazi e delle risorse sono fattori rilevanti. Lo spazio vitale si riduce progressivamente e quella vicinanza che rassicura può divenire oppressiva e insostenibile.

Da qui i rischi delle guerre interne e l’interiorizzazione della paura.

La storia è intrisa di eventi strazianti ma che sembrano ormai superati, purtroppo però la storia si ripete. Oggi conosciamo le possibilità e i rischi della distanza e della vicinanza nelle dinamiche dall’aggressività alla distruttività. È necessario, perciò, approfondire quella conoscenza e le connessioni tra mondo interno e mondo esterno nella elaborazione dell’aggressività umana. Un campo di verifica dell’ipotesi della guerra interna e dell’indifferenza da crisi di legame come fonte della rimozione del dolore e di forme “locali” di distruttività, è la crisi della nostra capacità di agire e di prendere posizione, rinchiusi nella nostra solitudine.

 ¹ Carolyn G. Dean, The Fragility of Empathy After the Holocaust, Cornell University Press, Ithaca, New York, 2004.

 ²  S. Cohen, Stati di negazione. La rimozione del dolore nella società contemporanea, Carocci, Roma 2002; ed. orig. 2001; si vedano, inoltre, Barcellona P., Ciaramelli F., Fai R., Apocalisse e post-umano, Dedalo, Bari 2007; Belpoliti M., Il corpo del capo, Guanda, Parma 2009.

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