Ce l’avevamo quasi fatta, a non parlare di guerra.
In un anno di sentimenti contrastanti circa il ritorno del conflitto in Europa, costantemente all’interno della redazione ci siamo confrontati e abbiamo animatamente dibattuto attorno al tema, alle sue implicazioni, alle nostre impotenze e ipocrisie; ma sempre abbiamo sfuggito l’urgenza di dedicare un numero della rivista alla guerra. Accade però che a fine gennaio scorso, assistendo ad un’escalation degli eventi tremendamente drammatica che faceva presagire un ricorso al nucleare come (non)soluzione del conflitto, intravvedendo sull’imminente sfondo un anniversario che nessuno di noi avrebbe voluto ricordare e raccogliendo un disagio diffuso oltreché nostro, quell’urgenza di trattazione per la nostra rivista si è imposta nettamente.
È quindi online, oggi, il numero 25 di Passion&Linguaggi, sviluppato attorno alle riflessioni sulla guerra.
Se la parola “guerra” ha occupato il posto della nostra quotidianità lasciato finalmente vacante dalla sorella “covid”, l’urgenza nell’urgenza è rappresentata anche dal non disperdere i molteplici significati che il termine veicola e che rischia di perdere proprio in relazione al suo consumistico utilizzo. Questo è lo sforzo delle autrici e degli autori che hanno contribuito alla realizzazione di questo numero, che offre al solito una pluralità di problematizzazioni e punti di vista diversi, nel tentativo di abbracciare una complessità che è reale quando si parla di guerra.
Partendo dunque dal focus di questo numero, ospitiamo l’intervista di Ugo Morelli al politologo Vittorio Emanuele Parsi, che con grande lucidità analizza come la guerra in Europa sia sempre stata, dal suo atto fondativo in avanti, una modalità ordinaria di relazione tra gli Stati, vòlta all’esercizio del potere e strumento di cambiamento dello status quo intra ed extra statale. Soltanto la trasformazione liberale dell’Occidente perpetuata dalla democrazia trainante degli USA ha consentito un cambio di paradigma, imperniato sulla forza diplomatica, che tuttavia stenta ad essere definitivo – e quindi di reale riferimento. Da questa constatazione nasce un dialogo sulla forza e gli orizzonti della democrazia attuale in ottica di prevenzione e contrasto alla guerra: l’elaborazione del conflitto, il pensiero non-violento, la relazione guerra-distruttività-ecologia. Gianfranco Bettin, sollecitato dalle medesime domande, mette invece in guardia da uno dei grandi pericoli che costantemente tutti noi corriamo: quello di sminuire la complessità in favore della semplificazione. Lo scrittore regala così acuti spunti di ragionamento quando indica il danno che si cela dietro al voler banalmente anestetizzare l’aggressività e al non saper più gestire la complessità delle relazioni – e quindi dei conflitti. «L’ansia semplificatoria», afferma, «diseduca al conflitto e al confronto e spinge al mero scontro, spesso ottuso, niente di elaborato, niente di costruttivo».
Il contributo di Paolo Fedrigotti riflette poi su quella che lui stesso definisce una «fenomenologia interna della guerra»: la lotta intestina in ciascuna e ciascuno di noi, si chiede il filosofo, ha più l’aspetto di una guerra contro noi stessi oppure con noi stessi? Prendendo a riferimento tre nodi antropologici densi di senso, il tratteggiamento di una prospettiva esistenziale che centra il saper abitare il mondo da umani nel saper fare i conti con un confronto di soglia interno. Rimanendo all’analisi delle dinamiche esterne e partendo dalla constatazione che in situazione di guerra troppo spesso si tendono ad appiattire le diverse posizioni che le persone assumono nei confronti dei fatti che vi si consumano, Gianpaolo Carbonetto offre invece una minuziosa disamina storico-concettuale vòlta a distinguere le diverse forme di protesta. Esaminare le complessità di tali forme si prospetta qui come una chiave possibile per attraversare le forme di conflitto.
Che valore può giocare un cimitero monumentale nella rielaborazione dei lutti di guerra? L’articolo dello storico Luca Filosi ci trasporta direttamente al Trentino del 1919 e alla cruda situazione nella quale, al termine di una guerra, si piangono i propri morti. Uno sguardo a come l’intreccio tra la narrazione pubblica sovente legata all’eroismo con la dimensione del lutto intimamente privata, ha aperto a nuovi significati con i quali processare la morte stessa.
La direttrice editoriale della nostra rivista, Emanuela Fellin, ci riporta poi al punto di vista della psicanalisi sul tema della guerra interna, muovendo da un ottimo inquadramento della questione appoggiando sulla teoria di W. R. Bion, analizzando cioè la relazione indissolubile tra amore, odio e conoscenza. Relazione che, mal equilibrata, porta a insopportabili guerre interne e alle diverse forme di autodistruzione che oggi si manifestano a livello sociale. Il breve racconto offerto da Aurora Martinelli spezza il ritmo con il sapore di una nostalgica riscoperta di se stessi: dietro la storia di un’anziana legata alle sue abitudini si nasconde la storia della bambina che visse sulla propria pelle le ingiustizie della seconda guerra mondiale. Un riscoprirsi inconsciamente memoria, tornando a quella contingenza in cui era «come se la priorità non fosse mettersi in salvo, ma resistere all’ingiustizia di un istante in grado di distruggere tutto ciò che fino a quel momento era la normalità».
“Sulla soglia” è invece il titolo del profondo articolo scritto dal direttore scientifico Ugo Morelli, il quale prende le mosse e ruota attorno ad una breve storia che ci ricorda che in fondo, tra una carezza e uno schiaffo è soltanto questione di velocità. O piuttosto la velocità che separa la reazione aggressiva dalla capacità di risonanze e conseguente compassione che possiamo riuscire ad esercitare. Su questa soglia stiamo tutti noi, assieme alla nostra capacità di rispondere alla guerra processandola nella sua insita complessità generativa.
Impreziosisce il numero un altro pezzo di Biancaneve, che ancora una volta si distingue esibendo una sensibilità e un modo di scrivere che arriva diritto all’anima e la fa risuonare. La guerra è la sua lotta interna, un viaggio psichico e fisico all’interno del dolore. Un ultimo contributo, infine, è dedicato da Sofia Pederzolli ad una delle guerre contemporaneamente più silenziose ma rumorose che si consumano ogni giorno, quella sul web. Evidenziando la mancanza di sensibilità che sta alla base di body shaming, offese gratuite e pesanti inviti a molteplici spiacevolezze, l’autrice non manca di raccontare come l’UNESCO stia prendendo sotto di sé la questione, formulando una serie di conseguenze e proposte per attenzionare e prevenire questa guerra.
Le variopinte sfaccettature che tratteggiano la guerra in questo numero di Passion&Linguaggi restituiscono coralmente un’incapacità – e quindi una necessaria urgenza – con la quale ci ritroviamo a fare i conti nel nostro stare, esistenziale oltreché fisico, davanti alla guerra: abitare il conflitto. Contraffortata da studi e riflessioni, la capacità trasversale di attraversare il conflitto prima che diventi guerra, prendendo su di sé la serietà di tutte le sue fasi e la severità trasformativa che questo processo comporta, si impone come l’unica via per risolvere le guerre che a più livelli ci mettono in relazione. Purtroppo per noi in questo caso, ci troviamo a sbattere, ancora una volta, nelle parole di Luigi Pagliarani: «ci vuole più coraggio nell’affrontare la complessità e conflittualità della pace che non nel fare la guerra».