“La realtà dei sensi affonda sempre più sotto
le pagine delle istruzioni programmate
su come vedere, sentire, gustare”.
Ivan Illich, Perdere i sensi
Ivan Illich ci aveva messo in guardia dal pericoloso trade-off tra un’idea quantitativa di benessere e la capacità di autodeterminazione del soggetto. Lucidamente aveva previsto la divaricazione crescente ed esiziale tra l’ideologia del progresso, guidata dal mercato e dai consumi indotti e l’impoverimento del desiderio, della creatività, dell’immaginazione nella realizzazione di sé della persona. La cifra della libertà positiva, prima che dalla dimensione materiale è espressa da quella simbolica e intangibile: e se viene marginalizzata, il prezzo da pagare all’industrializzazione di massa e alla mercificazione dell’esistenza è troppo alto, in termini di distruzione delle relazioni e del pianeta. Se poi il sistema si alimenta culturalmente del pensiero dominante, anche attraverso la scolarizzazione di massa, l’apprendimento, impoverito di sapere critico, inclina al conformismo, puntellando la “società disciplinare e del controllo”, come sostenuto in buona compagnia con Illich anche da altri autorevoli studiosi come Deleuze, Focault, Pasolini, Stiegler.
All’apocalisse tecnocratica, come amava definirla, Illich non opponeva un’ideologica lotta di classe, ma un’ipotesi di società conviviale, per rigenerare l’arte di vivere: rimettere nel giusto rapporto i mezzi (lo strumento, le tecnologie, il mercato) con i fini (autonomia, dignità, libertà, esercizio del pensiero, convivialità).
L’antidogmatismo di Illich, la lucidità analitica, il linguaggio paradossale, precludono ogni possibilità di iscriverlo arbitrariamente a questa o a quell’altra corrente culturale e politica, malgrado ogni tanto qualcuno ci provi. Illich è stato e continua a essere un pensatore scomodo, critico della modernità, amante delle domande più che delle risposte. Tuttora il suo pensiero divide, fa discutere, genera reazioni. Accade anche in questo numero che Passion&Linguaggi, in occasione dei vent’anni dalla morte di Illich, ha voluto dedicargli trattando della convivialità. Un numero che in coerenza con lo stile conviviale, dialogico, esplorativo, non apodittico della rivista, costitutivamente sensibile all’elaborazione illicciana, ospita contributi significativi anche profondamente divergenti tra loro, anche nella prospettiva di laicità e pluralismo incarnata dalla biografia poliedrica di Illich, un uomo in ricerca, che ha attraverso molti mondi culturali, accademici, professionali, esistenziali. Laicità e pluralismo che emergono nell’impossibilità stessa di definire con nettezza i suoi confini intellettuali.Cosa farsene in questo tempo del pensiero libertario e antiutilitarista di Illich, ce lo suggerisce l’antropologo Franco La Cecla, suo allievo, nel libro Ivan Illich e l’arte di vivere (Elèuthera, 2018) quando scrive: “oggi che buona parte delle sue temibili profezie si sono avverate occorre andare avanti, oltre un atteggiamento che è solo consolatorio e non porta a nulla. Dobbiamo avere il coraggio del presente, farci spingere dai calci che Ivan ancora ci dà per essere capaci della sua stessa radicalità, per farla agire oggi. E’ in qualche modo il nostro debito nei confronti della sua scomoda eredità, se vogliamo che sia effettivamente scomoda e non soltanto un aiuto al nostro tranquillo brontolio”.