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Un momento spazzato via nel fiume di lacrime

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Indossa le cuffie,

l’uomo trasparente corre nella bottega dei ricordi e si siede su di un sasso,

baciato dalla luce calda del sole che illumina un minimo la pelle sua,

che pallida è tornata per la brutta stagione.

Si riscalda un po’,

siccome sarà sicuramente infreddolito dal vento di pensieri che ormai si subisce ogni giorno.

S’abbandona, si lascia andare, lascia alle sue lacrime di fargli da fiume

che lo porterà nelle vie che considerava ‘casa’,

 nelle quali ha riso, oppure gli sono rimaste a mente perché è proprio la il punto,

su quella mattonella grigio scuro

ma anche un po’ marrone

e pure bianca,

di questo colore indefinito che lui e la sua metà non riuscivano a mettersi d’accordo

e finivano in una grande risata,

nel mentre che essa prosciugava la luce che s’era fatta strada in lui.

Quel raggio di sole che ora lo sta riscaldando dalle giornate troppo fredde e tristi di oggi,

al tempo non solo era fonte di calore, veniva anche riflesso da lui

illuminava i sentieri bui,

faceva tornare l’amore tra le coppie ormai perdute, rimetteva insieme le mani

seppur veniva sproporzionata la cosa,

questo fascio ne era in grado.

Accendeva sorrisi tra la gente

tutti si scambiavano gesti di pace e non schiaffi gratuiti.

Trascinato dalla corrente delle sue lacrime gli riaffiorano anche i rapporti che ora ha perduto,

eccolo la, quel manichino ben vestito con il quale prima parlava tutti i giorni,

-Ricordi?-

Ogni mattina rimanevano a discutere per un bel pezzo degli incubi che durante la notte li avevano assillati, 

ora è proprio davanti a lui

ma la forza delle lacrime lo porta via

e svanisce.

Le vede tutte, quelle persone con le quali prima progettava viaggi,

esperienze

o con le quali condivideva solo una fetta di pizza.

Oggi però ha deciso d’abbandonarsi a se stesso,

ecco che rivive quell’amore frastornato, 

quello estivo, che arriva come un drink ad una serata,

volteggia come una foglia secca vicino alle loro mani che prima erano unite

alle teste appoggiate, alle dita intersecate,

poi arriva a terra e germoglia altro amore,

di mesi passati,

prende una bella botta alla testa

poi ricapita nel primo abbraccio, nello sguardo che gli era arrivato dritto al cuore e aveva steso una delle sue coperte di conforto,

torna bambino e riprende in mano “Il Piccolo Principe” per fare bei sogni

ma al contempo riflettere su questo sentimento che lo stava prosciugando.

Solo tra le pagine di favole gentili può scoprire se vive nell’amaro

se attorno possiede solo menzogna e dolore,

tornerà dalla sua rosa?

E bom, un altro masso preso, questa volta sulla costola,

sente nuovamente la ferita che aveva ricucito con tanta pazienza nel cuor suo,

ci aveva messo così tanto, 

ora viene percorsa da una lacrima di nostalgia,

più amara e salata del solito.

S’era impegnato poiché nessuno gli aveva mai insegnato a cucire,

che oramai lasciano il ruolo alla tecnologia e si sentiva perso,

nella mano sinistra aveva dello spago

e nella destra l’ago

ed era in piedi, davanti alla parete posta vicino alla porta del suo organo vitale

si schifava per il sangue e le cellule morte,

si impauriva poiché non sapeva da dove incominciare.

Ora si inizia tutto daccapo,

non crede d’esser pronto,

il fiume di lacrime lo porta ora al flusso di margherite,

alla conoscenza di anime affini

che lui non considerava più tali,

ancora vi è la possibilità di labbra amanti,

non è sogno la felicità eppure non se la concede e cade,

piomba nell’oscurità del vortice d’acqua

e lui è sempre stato talassofobico.

“Ed ora dove finisco?”

si chiede, nel bel mezzo di secchi di disperazione che bagnano i capelli suoi

gli portano pochi respiri

e si inzuppa il suo taccuino,

ora non le legge più le parole, sono tutte sbavate

ed era la, che giaceva il suo Io. 

Frammenti di lui, intersecati a gocce di lacrime, protetti da una pellicola,

essa è sottilissima, 

la paura che si sfracelli,

un po’ come hanno fatto le parole sue.

“A volte ci affidiamo di più a quei grumoli di lettere”,

mentre lo pensa viene travolto da un’onda di depressione compatta,

quasi sembra una montagna che si avventa su di lui.

Perché tutta questa importanza alle frasi,

alle lettere, alle parole.

Perché tendiamo a saltellare su di esse, qualche volta ne tralasciamo qualcuna perdendo il filo logico del discorso,

altre volte facciamo una piroette nel posto sbagliato e allora interpretiamo tutto a modo nostro

e magari ci arrabbiamo da pazzi, 

fino a farci arrostire le tempie, diventare rossi come un pomodoro

e tristi tanto quanto la tristezza in sé. 

Ora è travolto da avvenimenti,

accompagnato solo dalla sua voce narrante

non ci sono dialoghi, se non un soliloquio

eppure tutto è affilato,

prurito gli è venuto sui polpacci perché avrà urtato qualche ortica,

fa male, fa male lo stesso,

anche nei momenti di completo silenzio tombale.

Ora che il suo taccuino è inutilizzabile,

cos’è cambiato?

A parte il fatto che sarà poggiato su di un piedistallo e messo in esposizione accanto al fiume di lacrime, che poi sarà visto

e si inzupperà di nuovo

ma non di lacrime questa volta

ma di nostalgia.

La mostra si fa sempre più interessante, finché arriva un piccolo stagno

le lacrime sono più calme,

la corrente non porta da nessuna parte,

si è fatta notte e lui non possiede nemmeno una torcia,

in più gli occhi suoi si son spenti quindi non può neanche accendere il mondo con l’amore.

Un teatro, un piccolo palco formato da tante di quelle mattonelle con l’irriconoscibile colore,

con la sua infanzia sopra,

un cinema misto teatro, 

trova tutte le scene del piccolo bambino che era,

un sognatore, che contava i fili d’erba per sentirsi meno solo.

Trova quel giorno d’elementari nel quale si era divertito tanto,

le maestre gli avevano regalato un orologio viola di gomma perché non si era mai dimenticato un compito,

allora era stato premiato, assieme solo ad un’altra compagna di classe.

Può scorgere la felicità del bambino in quell’istante ormai lontano da anni

ma perfettamente impresso nel fiume di lacrime che abita la sua testa.

Fermo su un masso pieno di muschio, incontra anche quel pomeriggio al parchetto con gli amici,

tocca di nuovo il peluche che gli aveva regalato nonna e a cui lui aveva attribuito un nome,

rivede il suo film Disney preferito

e l’amore dell’epoca.

Le lacrime si alzano e l’accompagnano a ‘casa’,

la trova i suoi genitori innamorati

e incomincia a piangere,

il fiume assorbe le sue lacrime e se le fa da sostanze nutritive,

senza le quali lui non esisterebbe

poi arriva il buio

e quelle mani unite si spezzano e regnano nuovamente le urla,

alle quali era più abituato.

Finisce in bagno con il piccolo se, accompagnato dalle sue prime insicurezze,

prova a farsi il naso più all’insù schiacciandoselo,

si lava la faccia con un detergente troppo concentrato per la sua pelle,

eppure lo usa lo stesso, poiché la pubblicità diceva così.

Prova a scappare ma le lacrime glielo impediscono,

lo bloccano sullo zerbino.

Che non se ne era accorto, che provava nostalgia anche del proprio dolore,

che qualche volta lo chiama e lo cerca,

gli fa notare la grande mancanza.

Per un attimo le lacrime gli danno tregua,

piange a riva dello stagno,

altro cibo per il flusso,

altro dolore per il ragazzo.

Ad un certo punto arriva una figura ricoperta di luce,

che lo avvolge in un abbraccio caldo e confortante.

Essa scompare quasi immediatamente,

allora lui inizia a piangere sull’asciutto, 

a sperare che quella persona torni

pur sapendo che oramai è impossibile.

Le lacrime lo sollevano e lo poggiano su di una barca malridotta,

il viaggio è accompagnato da musica che ascoltava solitamente durante sorrisi che ora non lo percorrono più da tempo,

l’ascoltava anche mentre si allenava, per diventare una bomba negli sport che più gli piacevano.

Ora invece è accoccolato a se stesso,

in continua produzione di cibo per il fiume,

con testa diventata pesante e caotica

e labbra secche, seppur sfiorate continuamente da lacrime.

Le cuffie le butta per terra con forza,

caccia un urlo di disperazione completa,

prende paura da se stesso, il cuor suo è ricoperto di ghiaccio.

Notte fonda si è fatta alla bottega dei ricordi,

lui si agita come lupo, solo che il branco non c’è più,

siccome ora vive di solitudine e solo i pensieri gli fanno compagnia.

Infine s’inginocchia, rassegnato 

e si rende conto del suo taccuino con le pagine accartocciate a terra.

Prende un pezzo di pietra e,

come nell’antichità,

decide di usarla come penna e di scrivere su un pezzo di carta l’insegnamento che ha ricevuto dal viaggio nel fiume di lacrime.

Ad ogni battito di cuore aggiunge una lettera.

Lo poggia sul masso su cui era seduto, in avvertenza alle altre persone che sarebbero arrivate in quel posto,

seppur ben sa che quasi nessuno frequenta quel viale.

Con pietra sporca d’inchiostro

lui, narratore delle storie di noi tutti,

ci cita una frase di Biancaneve, una ragazza: 

“Finché un momento non spazza via e diventa ricordo non ti rendi conto di quanto bello era.”

-Biancaneve

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