Se la nostalgia è l’effetto del trauma della separazione, può essere considerata un sentimento che emerge dalla ricerca, dal desiderio e dalla tensione per contenere, sostituire o compensare la presenza.
Ma cosa accade quando la presenza non solo non riesce ad essere compensata, sostituita o superata, ma tantomeno ad essere messa in discussione dal trauma della separazione, di una separazione che non separa perché è una separazione impossibile? In fondo l’accesso alla nostalgia potrebbe essere una soluzione, per quanto associata alla sublimazione. Ma se la presenza si fa ancora più presente con la mancanza, la nostalgia non lenisce il tormento. O meglio, per lenirlo dovrebbe essere almeno accessibile, ma non lo è. Se il suo colore, seppur tenue e pastello, potrebbe recare languidi conforti, solo l’idea di risarcire la ferita è inavvicinabile. Sgorga dalla mancanza sangue vivo e il suo caldo sentire induce a presidiare quell’estetica del dolore come unica condizione di vita. Non vi è accesso ad altri incontri. Non vi sono compensazioni possibili con altri contatti. Non vi è la pensabilità di altre storie. Non vi sono scorciatoie che possano determinare un diverso modo di agire, semplicemente perché guardare in faccia la mancanza è l’unico sguardo possibile. Non esiste né concordanza né contraddizione con il crudo volto della realtà. Nulla da ricucire. Nulla da compensare. Nell’immensa folla, e ricca e costante, di ricordi, non ve ne sono che bastino al conforto, perché il vissuto è tutto presente, attuale, travolgente. La presenza mancante diventa la forma di vita, l’unica effettivamente consentita. Una presenza che diventa puro pensiero. Quel che conta è ciò che attraverso il dolore si mostra, ma ciò che si mostra, proprio per questo non si può dire. La condizione di non accessibilità alla nostalgia è ineffabile. Esiste una differenza irriducibile tra sentire e dire. Eppure, la parete bianca e vuota della presenza mancante è capace di contenere pensiero e vita.
È forse per quella via che si può avvinarsi all’infinito.
Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s’annega il pensier mio:
e il naufragar m’è dolce in questo mare.
[Giacomo Leopardi, L’infinito]
Paolo Delle Monache