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Simboli, verità, autorità e democrazia

Autore

Sofia Pederzolli
Sofia studia e lavora nell'ambito del marketing e della comunicazione, prima turistica e poi di prodotto, poi di nuovo turistica Ama il networking e stare con le persone per creare occasioni "di comunità" e di crescita continua. Svolge attività di volontariato nel settore della cooperazione e della promozione turistica e territoriale grazie alla carica di Vicepresidente dei Giovani Cooperatori Trentini e di consigliera nel direttivo della Pro Loco di Nave San Rocco. Vicina al mondo del non profit, è anche componente del gruppo che è stata rappresentante dei giovani della Conferenza dei Giovani sul Clima del Trentino Alto Adige a Milano, in occasione della PreCop di ottobre 2021.

Il potere del simbolo è contenuto nel suo concetto: unisce e mette insieme. Grazie al simbolo è sì più facile relazionarsi e riconoscersi in qualcosa, poiché il simbolo si pone come unico canale di accesso ad una realtà che altrimenti rimarrebbe intraducibile. “Il simbolo consente di rendere presente ciò che risulterebbe […] assente e invisibile” (Morell A., Porciello A., Verità, potere e simboli religiosi in Forum di Quaderni costituzionali, 2007). Potrebbe tuttavia essere possibile che un simbolo risulti persino “pericoloso” per via della sua forte carica identitaria. A pensarci bene, quindi, il simbolo allo stesso tempo divide e separa. Mentre ad esempio la Costituzione “parla” a tutti e a tutte, perché] al suo interno viene sviluppata una dialettica tendenzialmente universale, la stessa cosa non succede per i simboli, che appaiono come rappresentativi di una parte sola e raramente giungono ad essere capaci di unire universalmente.

In campo educativo, il duplice e discutibile potere del simbolo sta nel far riconoscere agli alunni (e ai loro genitori) le scelte identitarie altrui, moltiplicando così le possibilità e contenendo o elaborando in modi non antagonistici il bisogno di schierarsi, il desiderio di dichiararsi di uno o dell’altro ceppo, di uno o dell’altro gruppo. Allora viene naturale chiedersi: chi è l’autorità pubblica in uno Stato laico che definisce quale sia un “vero” simbolo? Chi definisce quali sono le caratteristiche che una croce deve avere per essere definita simbolo? E che potere ha in democrazia la Stato come autorità laica per definire la “vera” croce? Poiché, ad esempio, il tricolore è di fatto prescritto in Costituzione, se qualcosa dovesse sopravvivere tra tutti i simboli, questo sarebbe il tricolore (Bin R et al., (a cura di), Inammissibile, ma inevitabilein La laicità crocifissa, Giappichelli Torino 2004, pp. 37-40).

Pur essendo cristiana cattolica mi chiedo: perché nella nostra società il crocifisso viene considerato anche come simbolo del principio di laicità “attraverso un ragionevole sforzo interpretativo”? (Morelli e Porciello 2007). Il problema che ci insegue è quello che trasmettiamo concetti, credo e simboli totalitari e assoluti. Conseguentemente succede che la volontà di una maggioranza (religiosa, culturale, nazionale o locale che sia) prevalga sui diritti di libertà di una minoranza o del singolo. Può passare però la concezione del contesto di riferimento e del crocifisso come un segno idoneo ad esprimere in chiave simbolica e in modo adeguato l’origine religiosa di valori più ampi, quali tolleranza, rispetto reciproco e valorizzazione della persona.

Per comprendere il potere dei simboli occorre comprendere i rapporti più che complessi tra verità, autorità e democrazia. La verità è, per coloro che in essa si riconoscono, il vero significato del simbolo che scelgono per rappresentarsi (a livello religioso, culturale o quant’altro). Il riconoscimento del simbolo da parte del soggetto conferisce al simbolo immediata autorità. Verità e autorità devono però concordare con i principi di democrazia, cercando di rispettare ogni simbolo.

Ricordiamoci sempre che “le guerre si fanno, come è noto, dietro ai simboli” (Dieni E., Simboli, religioni, regole e paradossi in Tavola Rotonda: Crocifisso, Velo e turbante. Simboli e comportamenti religiosi nella società plurale. Università degli Studi del Molise, Facoltà di Giurisprudenza  2005). E addirittura, alle volte capita di voler “combattere il simbolo col simbolo” (Dieni 2005). La soluzione? Forse nessuna, ma si potrebbe considerare i paradossi (come quello del diritto ad essere felici a scuola ma il divieto, sempre a scuola di indossare l’hijab). Forse la via è far scoppiare questi paradossi e rimetterli in ordine, rispettando le ragioni e i simboli di tutti e tutte. O forse il problema si può risolvere cercando di garantire la coesistenza tra gruppi di diverso colore che pur senza rinunciare alla propria verità, sono propensi alla “contaminazione cromatica” (Morelli e Porciello 2007). O forse ancora, l’unica soluzione rimane quella della “non esposizione del simbolo”: così che si attuino definitivamente i principi costituzionali di eguaglianza, libertà e laicità (Morelli e Porciello 20

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