Ogni esercizio del potere richiede pratiche simboliche e ogni modello simbolico sottende un modello di potere. Ciò vale dall’esperienza del mondo classico, con particolare riferimento alla Roma antica e al Principato augusteo, passando per la “transizione figurativa” avvenuta fra Rinascimento e Barocco circa la simbologia dell’esotico e il suo progressivo addomesticamento, fino alla colonizzazione dell’immaginario che sancisce lo scollamento tra simbolico e reale, aprendo all’egemonia del potere carismatico e all’autorità del dono di grazia personale. Si tratta di una consapevolezza che consente di cogliere il valore costitutivo del simbolico nel suo dar forma, senso e spiegazione al mondo umano. Questa sua essenzialità va riconosciuta nelle sfere delle identità, sia individuali che di gruppo, dove il simbolico si fa forza coesiva e identitaria, nonché condizione del loro riconoscimento.
Tanto nell’aggregare elementi frammentari nel nome di una comunione di radici, fini e valori, quanto nel tracciarne le frontiere rispetto a ciò che ne è al di fuori come qualcosa di diverso e potenzialmente sovversivo, è chiaro che la produzione di simboli sta a fondamento della formazione delle identità che popolano l’arena politica. Al contempo, però, la capacità del simbolo di rappresentare il molteplice sotto forma di unità si mostra sempre precaria, poiché il suo contenuto può essere sempre contestato e ridiscusso. Questa sua natura “plurivoca”, dunque, porta il simbolo ancora una volta al centro della scena, dal momento che è intorno alla costruzione e allo scontro di sistemi simbolici che si gioca la sfida del tutto politica di conferire alla società nel suo complesso un senso e una direzione.
Dall’importanza dei simboli nella costituzione, nella discussione e nella mobilitazione di identità collettive, alla discussione della natura simbolica di concetti quali “potere”, “popolo”, “nazione”; dallo studio di casi esemplari dell’impiego retorico di simboli nell’orientare il dibattito politico, specialmente a opera delle élite, passando per l’analisi dell’iconografia e/o dell’impiego di rappresentazioni simboliche adoperate a fini propagandistici, oppressivi o emancipatori: la domanda simbolica è sempre un interrogare il potere – perché e che cosa esso sia – accettandone le sfide su un terreno che apre allo sfondo di un’ermeneutica in grado di demistificare le dimensioni perniciose e subdole della politica passata, presente e futura.
Il potere, si sa, ha una natura simbolica e si serve di simboli per manifestarsi e legittimarsi. Per questo, ogni detentore del potere dispone sempre di un apparato simbolico attraverso cui esercitare suggestioni attrattive, processi di aggregazione e manifestazioni dell’inconscio che coinvolgono idee, sentimenti, comportamenti e valori. E se il potere, nella specificità politica, rivela la sua natura eminentemente simbolica di manifestazione, legittimazione e giustificazione, il simbolico esprime di per sé un potere di incidere sulla coscienza e sull’autocoscienza degli individui e dei collettivi: un potere non necessariamente di natura politica, ma sempre in grado di esercitare forza identitaria, attrattiva o distruttiva, ed energie coesive o disgregative.
La sussistenza di un rapporto fondamentale tra il politico e la dimensione simbolica, o al limite la coincidenza tra questi due ambiti dell’umano, è infatti legata al ruolo costitutivo del simbolico in rapporto alla vita dell’essere umano. Animale «per natura politico» – physei politikon zoon, secondo la definizione aristotelica –, l’umano è anche, seguendo ancora Aristotele, zoon logon echon, animale capace di parola e, con le parole di Ernst Cassirer, animal symbolicum, che vive nella dimensione del simbolico, ossia in un “terzo sistema” di adattamento all’ambiente, diverso dal sistema ricettivo e da quello reattivo. L’umano si costituisce in quanto tale anche e soprattutto per la sua capacità simbolica, per quel suo poter avere coscienza e poter riflettere sulle capacità di comunicarsi e rappresentarsi. Basta guardarsi intorno per rendersi conto di quanto il mondo che vediamo, percepiamo e interpretiamo sia di fatto un’imponente stratificazione di significati, posti a rappresentare qualcos’altro che possa essere in tal modo comunicato, fruito intersoggettivamente, accettato o rifiutato nel privato e nel pubblico. Ed è a partire dal simbolico che si costituiscono i mezzi espressivi e comunicativi quanto tutta la strumentazione che circonda e sorregge la nostra quotidianità.
In quanto oggetto del conferimento di senso, il politico è caratterizzato da una struttura semantica che dà un ordine alla società rendendolo accessibile alla percezione degli individui che la compongono; in quanto luogo della messa in scena, la forma politica si dà una rappresentazione di sé senza la quale non potrebbe esistere. Per riferirsi a se stessa sul piano operativo e istituzionale, una società deve istituirsi come unità, deve cioè creare un ambito comune del politico al cui interno possa aver luogo la differenziazione sociale. Questo processo si svolge sul piano simbolico, il che vuol dire che il simbolico è un elemento centrale della costituzione del reale – e di quell’aspetto fondamentale del reale per la vita dell’essere umano che è la realtà politica.
All’interno di questo perimetro, il presente numero di Passion&Linguaggi intende riflettere sulle molteplici forme di interazione tra la dimensione simbolica e quella politica, invitando a pensare il simbolico alla stregua di una componente costitutiva della realtà politica stessa. Una rassegna di riflessioni sull’uso politico dei simboli e sul carattere simbolico del potere nella storia che non porta a conclusioni definitive, ma vorrebbe offrire diverse prospettive d’analisi e varie chiavi ermeneutiche su fenomeni e comportamenti individuali e collettivi che costituiscono il nostro mondo cognitivo e la nostra vista sociale, assumendo le manifestazioni dell’immaginario e del pulsionale, dell’essere e dell’agire conscio e inconscio, in qualità di strutture di senso costitutive.
Il tema è affrontato da una molteplicità di prospettive, che non sono sempre coincidenti. Una simile scelta, d’altra parte, testimonia un elemento caratteristico della linea editoriale della rivista: la sua disponibilità ad accogliere riflessioni diverse, plurali, che hanno trovato in questa sede modo di misurarsi con la questione dell’interconnessione tra le dimensioni del politico e del simbolico. Un problema da sempre attuale, concernente non soltanto la costituzione della realtà politica in senso stretto, ma quella delle umane società nel loro complesso, che proprio all’interno di universi simbolici traggono un senso e una direzione.