“Inaudito”, è l’aggettivo utilizzato dai climatologi per descrivere il livello di intensità degli eventi meteorologici estremi che potrebbe manifestarsi in un futuro ormai prossimo se non sarà fatto il possibile per contenere l’aumento della temperatura media della Terra. Ondate di calore, siccità, forti piogge, uragani e tempeste di vento di inaudita intensità significa parlare di eventi così straordinari da non essere mai stati osservati prima, perlomeno a memoria d’uomo. Gli scienziati non usano mai le parole a caso e hanno stimato che se non verrà posto un freno all’innalzamento delle temperature, oggi di circa 1,1°C rispetto all’era pre-industriale, potremmo raggiungere soglie di 4-5°C di aumento tali da indurre a conseguenze irreversibili per alcuni processi fisici nel pianeta e ad eventi meteorologici estremi di inaudita intensità con conseguenze persino difficili da immaginare nella loro gravità per gli ecosistemi e per gli esseri umani.
E se fossimo già nell’era dell’inaudito? Una domanda più che legittima se guardiamo alle cronache di questi mesi. Il 2022 risulta finora l’anno più caldo e secco mai registrato in Italia. Secondo le analisi del CNR-ISAC, la precipitazione cumulata a livello nazionale dal 1° gennaio al 31 luglio è inferiore del 47% alla media del nuovo trentennio di riferimento 1991-2020 (-52% al nord Italia), e per ora il 2022 risulta l’anno più secco nella serie storica italiana con inizio nel 1800. Le piogge temporalesche di agosto hanno contribuito solo parzialmente a lenire la fase di siccità e si sono manifestate in molti casi attraverso piogge intense e localizzate accompagnate da grandine e tempeste di vento che hanno portato più danni che benefici. Il caldo anomalo dell’atmosfera e delle acque del Mar Mediterraneo stanno inoltre fornendo gli ingredienti per situazioni estreme che potrebbero estendersi a tutto il periodo autunnale in concomitanza con l’irruzione di aria più fresca da nord.
Il tasso di riscaldamento globale degli ultimi decenni non ha eguali negli ultimi duemila anni di storia dell’umanità. Stiamo procedendo ad un ritmo così elevato che diventa sempre più difficile immaginare di riuscire ad evitare conseguenze potenzialmente catastrofiche per il pianeta. Il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità sono le due facce della stessa medaglia legata all’insostenibilità dell’azione antropica nella sua folle corsa distruttiva.
L’immagine più chiara e comprensibile per capire cosa stia succedendo è quella di associare il rapido aumento delle temperature ad un treno lanciato a tutta velocità verso un ostacolo. Fino a qualche decennio fa si ipotizzava di riuscire ad arrestare il treno in corsa ma il ritardo dell’azione ha ormai fatto crescere la consapevolezza che il treno non lo si fermerà e rimane solo la possibilità di rallentarne la corsa e poterci attrezzare per limitare i danni dell’impatto. Perlomeno di provarci.
Per rallentare la corsa del treno abbiamo tuttavia poco tempo. I climatologi avvertono che rimangono una decina di anni per evitare che l’aumento delle temperature porti a raggiungere soglie fisiche critiche, legate ad esempio all’innalzamento del livello del mare e alla perdita dei ghiacciai continentali e marini. Per questo serve una rapida azione a livello globale per agire sulle cause del cambiamento climatico riducendo drasticamente le emissioni di gas serra e darci il tempo per limitare gli inevitabili danni che in termini tecnici si traduce in adattamento ai cambiamenti climatici. Siamo entrati in un decennio decisivo per l’umanità eppure l’azione globale dei Governi e della comunità internazionale risulta del tutto insufficiente.
Il paradosso, se così vogliamo definirlo, è che per accelerare l’azione per il clima occorre fermarsi! Occorre avere il coraggio di dire: stop!
Alla base del processo richiesto di transizione ecologica vi è la necessità innanzitutto di fermare un sistema economico basato sull’utilizzo dei combustibili fossili. Per questo occorre ridurre i consumi, ripensare la produzione energetica perché sia basata su fonti rinnovabili, occorre ripensare il sistema di produzione industriale, il sistema dei trasporti e il sistema di produzione alimentare, tutti i settori maggiormente responsabili delle emissioni di gas serra. Occorre fermare un modello basato sulla crescita senza limiti fondata sull’utilizzo di risorse naturali finite, che siano il suolo, l’acqua, le foreste, i minerali e tutto ciò che la natura offre e stiamo sfruttando in maniera predatoria e non sostenibile.
Rallentare la corsa ci offre la possibilità di mettere in campo in tempo le risorse per limitare gli impatti dei cambiamenti climatici sulla salute umana e sugli ecosistemi, di definire le misure necessarie per la gestione della risorsa idrica, per la protezione da rischi idrogeologici e per l’agricoltura. Risorse e misure che sono urgenti per i Paesi impoveriti e più vulnerabili dal punto di vista sociale ed economico.
Fermarsi è necessario non solo perché l’emergenza climatica è figlia di una crisi economica ma perché abbiamo a che fare con una crisi sistemica che è anche politica, sociale e culturale.
La sfida dei cambiamenti climatici passa senza dubbio attraverso una conversione tecnologica e produttiva ma è indispensabile un cambio di paradigma che metta in discussione le premesse culturali di un sistema economico centrato sulla crescita continua e sulla riduzione degli esseri umani a consumatori prigionieri di quello che il sociologo e filosofo Zygmunt Bauman, nel suo libro “Consumo, dunque sono”, ha definito l’inganno supremo del nostro tempo.
Fermarsi per riprendere possesso del tempo e consapevolezza del qui e ora. Abbiamo bisogno di una rinascita spirituale e culturale che ci permetta di costruire un progetto di trasformazione della società e del suo rapporto con la natura nella piena consapevolezza dell’interdipendenza dei sistemi viventi.
Fermarsi quindi per tessere nuovi e ulteriori legami tra gli esseri umani, rigenerare le comunità, avere cura dell’ambiente, delle persone e dei loro diritti senza più generare esclusioni.
La poetessa nicaraguense Gioconda Belli nel suo libro “Nel paese delle donne “ si riferisce agli abitanti della comunità immaginaria governata da sole donne sostituendo il termine spagnolo ciudadanos, cioè cittadini, con quello di cuidadanos, giocando sul verbo cuidar che si traduce in “avere cura di”. E’ una visione di estrema bellezza che vede così i cittadini trasformarsi in coloro che hanno cura degli altri, della comunità in cui vivono e dell’ambiente che li circonda.
Prendersi cura è un approccio molto femminile alla vita. Ecco quindi che fermarsi e fare proprio questo atteggiamento femminile è l‘approccio che può aiutarci per la rinascita culturale e spirituale alla base dell’azione vincente per il clima.