I confini si aprono, le frontiere si chiudono. Oggi, con il ritorno della guerra in Europa, stiamo ritornando alla chiusura delle frontiere. Già la pandemia ha trasformato i confini in frontiere dentro di noi. Ora la guerra sta esportando questa trasformazione anche fuori di noi. Ma in fondo, nelle acque del mare Mediterraneo, in mezzo ai morti annegati, tra cui donne incinte e bambini innocenti, le frontiere c’erano già e si opponevano cinicamente e disumanamente ai confini che univano l’Europa. Sì, perché i confini sono la vita; permettono l’osmosi, lo scambio, la comunicazione tra cellule, piante, animali, esseri umani; le frontiere sono i muri che tornano ad alzarsi non solo nel mondo esterno ma anche nel mondo interno, quello che abbiamo dentro, la caverna in cui introiettiamo la violenza del fuori. I confini danno conto della complessità della vita, della storia, della società, le frontiere ci fanno tornare alla semplificazione, non quella necessaria per comprendere e ordinare il mondo e che non va scambiata con il mondo, ma quella che si confonde con il mondo e con la realtà e, ciò facendo, diventa realtà. Il dualismo amico-nemico diventa un gioco mortale e si ossifica. Nemico diventa chiunque non la pensa come te. Il confine è già frontiera e la frontiera è a sua volta barriera. La differenza si trasforma in estraneità e ostilità. La differenza è ciò che permette a un confine di essere non un luogo della separatezza (tra interno e esterno, tra primo piano e sfondo, tra apparenza e realtà, tra mente e corpo), ma della comunicazione. La frontiera perde la differenza e impone la condizione di alterità, di estraneità, di non familiarità, saldando così in modo sclerotico un’identità collettiva, che si autodetermina grazie alla distinzione, alla separazione, alla messa fuori del confine dell’altro, dell’estraneo, del non familiare (si potrebbe specificare: del mostro, del pazzo, del malato, del selvaggio, del primitivo, del barbaro, dell’ebreo, del negro, del nemico). Il bisogno di sicurezza diventa prigione aggressiva e il senso critico della ragione si affievolisce. Nel dualismo amico-nemico i confini diventano dunque frontiere e i diaframmi si trasformano in muri.
I confini stanno dalla parte della pace, le frontiere da quella della guerra. Ciò che distingue il senso metodico e razionale della pace è porsi come scopo quello di riportare le frontiere allo stato di confini, lottare perché ciò torni ad essere. Questo fu a mio parere il senso della Resistenza italiana e della Costituzione, e in particolare dell’articolo 11, fatta da uomini, ideologie e partiti che non erano più divisi fra loro da frontiere, bensì da confini attraverso cui poterono comunicare e, nella differenze, raggiungere uno scopo comune e cioè la formazione di uno stato democratico.
Oggi come ieri prendere partito significa stare dalla parte dei confini e cioè stare dalla parte della vita e della pace e respingere la tentazione delle frontiere, rifiutare cioè di stare dalla parte della morte e della guerra.