Editoriale di Andrea Donegà
La parola confine è interessante da indagare e da approfondire perché evoca, contestualmente, a partire dalla sua etimologia, una sorta di ambiguità gravida di significati: il cum-finis, infatti è una separazione, una divisione, che tuttavia tiene insieme e lega due o più realtà. Insomma, indica allo stesso tempo ciò che separa e ciò che unisce, ciò che chiude e ciò che apre, ciò che contiene e ciò che libera. In tempo di guerra il tema del confine, dei suoi spostamenti e delle sue violazioni, dei suoi attacchi e delle sue difese, torna prepotente a scuotere le nostre riflessioni. Se ci pensiamo, tutta la storia del mondo, e soprattutto delle relazioni tra popoli e poi nazioni, è stata una continua rincorsa ad allargare i confini, a conquistarli, a proteggerli e tracciarli. Tim Marshall nel suo bestseller “Le dieci mappe che spiegano il mondo” ci insegna come la geografia e, dunque, i confini naturali, come catene montuose, fiumi, mari e deserti, abbiano determinato l’ascesa, lo sviluppo, le traiettorie storiche di alcune nazioni e civiltà, favorendo interventi economici e politici e determinando il benessere di alcune popolazioni. Lo sviluppo del mondo ne è stato condizionato a tal punto che i confini non sono uguali per tutti. Per alcuni sono solo tratteggi sulle carte geografiche, per altri vere e proprie gabbie: la lotteria della nascita, infatti, ha consentito ad alcuni di potersi muovere liberamente nel mondo mentre rinchiudeva altri nei confini delle loro nazioni dalle quale è possibile uscire solo chiedendo il permesso ai primi.
Il confine, a ben pensarci, è anche quella esperienza capace di richiamare un grande valore, oggi caduto in disgrazia, che è il limite e il suo senso: si può vivere come barriera invalicabile o come varco da aprire per andare verso l’altro. La guerra fa del confine la sua ragione d’essere per conquistare l’altro fino ad eliminarlo: una condizione che caratterizza popoli stati e nazioni, ma che riguarda anche ciascuno di noi e ciò che ci accade ogni giorno quando ci ostiniamo, per marcare il territorio e far vivere il proprio ego, a non riconoscere l’altro, che è impegnativo e insopportabile nella sua differenza. Ma il confine è anche limen, cioè soglia, e perciò valicabile, un’apertura all’incontro, una dinamica affettiva dove ciascuno reciprocamente porta all’altro qualcosa di sé. Vivere sulla soglia peraltro vuol dire fare i conti fino in fondo con la precarietà dell’esistenza, senza avere certezze.
La parola confine evoca tuttavia anche il concetto di discontinuità, oggi più che mai necessaria da riscoprire come contromisura al conformismo diffuso. La coazione a replicare schemi mentali, culturali e politici obsoleti nei diversi campi della vita – ambiente, economia, lavoro, scuola, educazione, ecc. – mostra ferite sociali dolorosissime.
E’ questo il senso degli articoli dedicati ai confini che trovate nel numero di Maggio 2022 di Passion&Linguaggi.
Ugo Morelli, direttore scientifico della Rivista, ci accompagna all’interno del concetto di confine partendo da quello più naturale e che indossiamo, la nostra pelle: “Le infinite modulazioni di “epì”, – la parte di noi che è, appunto, sopra “derma”, la pelle -, non si limitano a gestire le interdipendenze tra l’interno e l’intorno. Di fatto creano l’interno attraverso l’intorno e viceversa”. Fondamentale ricordarlo dopo che la pandemia ha trasformato la nostra pelle “ in una corazza difensiva verso una possibilità che sentiamo repellente”. Da qui a creare barriere con l’altro il passo è breve visto che ci hanno insegnato, negli ultimi due anni, che per proteggerci, e per proteggere, dovevamo stare distanti ed evitare, appunto, di toccarci l’un l’altro. Morelli ci ricorda, da questo prospettiva, il tempo sospeso di questi anni: “Se ogni incontro è di per sé un’approssimazione, non può che avvenire varcando uno o più confini. Se qualcosa si varca, quella cosa esiste, magari proprio per essere varcata. Non solo, ma quello che sembra più importante è che se non esistesse non ci sarebbe incontro. E pare che mai l’incontro si realizzi e il varco produca i suoi effetti come quando le pelli si toccano. Come abbiamo potuto scoprire con gli ‘incontri-non incontri’ in tempi di pandemia”.
Un’apertura a quello che ci racconta, nel suo contributo, Alfonso Maurizio Iacono, tenendo lo sguardo sull’attualità: “I confini si aprono, le frontiere si chiudono. Oggi, con il ritorno della guerra in Europa, stiamo ritornando alla chiusura delle frontiere. Già la pandemia ha trasformato i confini in frontiere dentro di noi. Ora la guerra sta esportando questa trasformazione anche fuori di noi”. Andrea Meschiari ci accompagna negli sconvolgimenti in atto nel mondo del lavoro, argomento, anch’esso, urgente e di stretta attualità, ricordando le fatiche quotidiane di ognuno di noi che “si trova a dover tracciare più o meno consapevolmente un confine tra il proprio sé, tra le persone con cui ha una stretta relazione, tra il rapporto che ha rispetto alla comunità e con il proprio lavoro”. Concetti che vengono approfonditi nel testo scritto da Rosario Iaccarino, a quattro mani insieme al sottoscritto, che ripercorre i cambiamenti in atto, denunciando la retorica corrente del dibattito attorno al lavoro che persisterà fino a quando non saremo capaci di cambiare, rovesciandolo, il paradigma culturale del pensiero ortodosso dominante: “La prospettiva va capovolta, nel senso che bisogna ripensare il lavoro a partire dal suo significato intersoggettivo, emancipativo, realizzativo, relativo, da cui poi far discendere gli aspetti organizzativi, contrattuali, normativi che lo disciplinano, proteggono, promuovono”. È necessario perciò “immaginare in eccedenza una nuova convivenza, fondata su una più marcata progettualità individuale e responsabilità sociale verso la comunità di destino cui apparteniamo, e su modalità sostenibili di lavoro, produzione e consumo. In questa chiave la rivoluzione digitale è una grande opportunità anche per ripensare un’organizzazione del lavoro capace di accogliere e valorizzare le soggettività in relazione”.
Completa il numero sui confini, la riflessione di Francesco Cascino sull’arte. “Il rapporto mente – corpo – network quindi non viene alimentato dai soli 5 sensi accreditati dalla scienza ma almeno da altri tre, che si aggiungono e ricombinano soluzioni e percezioni nuove ogni volta (…). Visione, connessione e senso sociale si aggiungono a gusto, vista, olfatto, tatto e udito per comprendere appieno cosa stiamo guardando. E soprattutto vedendo. Non a caso i sensi diventano 8 come l’infinito perché la combinazione, o ricombinazione di tutti questi sensi con l’esperienza sensoriale e cognitiva del bene artistico, sia esso un castello, una scultura o il profumo di un mare – perché sono diversi come diverse sono le esperienze che si fanno del mare – abbatte i confini delle mappe geopolitiche ufficiali e porta l’immaginazione a produrre nuovo senso, nuovi sensi e, soprattutto, nuovi modi di scoprire nuovi mondi”.
Ora, caro lettore, non ti resta che valicare il confine tra te e lo schermo per addentrarti in questo numero affascinante di Passion&Linguaggi che compie, questo mese, due anni di vita. Nonostante la giovane età conta già oltre 200 contributi di altissimo livello, scritti da più di 60 autori, tra i quali grandi intellettuali e professori di livello internazionale. A completare la bellezza della rivista, l’arte della fotografia di Olivo Barberi, fotografo di fama mondiale, e le vignette, tanto pungenti quanto intelligenti, di Pietro D’Antoni. Buona lettura.