Fidarsi è un consegnarsi all’altro, è sfidarlo ad essere all’altezza del dono
Tanto a livello individuale, quanto a livello intersoggettivo, sociale, istituzionale, la fiducia gioca un ruolo decisivo nell’ecosistema quotidiano delle relazioni che ci consentono di vivere e sopravvivere. Un orizzonte di senso assai noto ai latini, che posero la fiducia alla radice costituente delle loro antropologia e società – e quindi delle nostre. Il termine fides stava infatti a significare la fiducia intesa come stima, credito; questo polo semantico, con effetto quasi immediato, pure si traduce nelle implicazioni di legame istituito dall’esercizio della stessa fides, significando contemporaneamente anche fedeltà, onestà, lealtà e quindi impegno e promessa.
Appare importante esercitare l’intelletto e scindere questi due momenti essenziali della fiducia: la relazione costituente e il legame costituito.
L’esperienza di chiedersi di chi o cosa ci si fida implica la domanda intorno a che cosa voglia dire fiducia. Fiducia è anzitutto una relazione con, che può giocarsi a livello soggettivo come un sentimento di stima – “ho fiducia nella scienza!” – o a livello intersoggettivo – “mi fido di Sandra”; in secondo luogo osserviamo che la relazione può essere in maniera più spersonalizzata a senso unico oppure più riccamente binaria: se nel caso di una profonda amicizia tra due persone possiamo presupporre ci sia stima reciproca, di certo non possiamo altrettanto serenamente affermare che se Paolo si fida della scienza, la scienza ricambi allo stesso modo. Quest’ultimo esempio ci permette di comprendere infine che esistono naturalmente modi diversi di declinare fattivamente la fiducia: la stima che una madre ha per un figlio differisce da quella che un manager può avere per un collaboratore.
Stringere il focus sul meccanismo intersoggettivo attivo in una relazione di fiducia tra due persone ci permette meglio di comprendere in che cosa fondamentalmente consista: ciò che accade è uno spazio di intersezione in cui, essenzialmente (cioè come essenza tutta), una persona si può af-fidare ad un’altra che la riceve. Tanto il polo della ricezione quanto quello dell’affidamento sono costitutivi della relazione e l’atto di radicale delega di sé può avvenire soltanto in uno spazio che favorisca il sentimento di potersi consegnare garantendo la tutela di ciò che viene consegnato. Un gioco profondo, che in gran parte si svolge nella ricchezza e delicatezza del non-detto.
È se ciò accade che ad un amico facciamo delle con-fidenze, se ci sentiamo effettivamente guardati con uno sguardo, come lo ritraeva Lévinas, che suggerisce la cura necessaria per cui in quell’af-fidarsi siamo accolti e lasciati-essere, nella percezione di non venire con ciò traditi. È quando questa dinamica si avvera che gli innamorati si inebriano dell’esperienza del tatto tra i corpi, come ci insegna Ugo Morelli nella sua ricca ricostruzione, presente su questo numero, delle dinamiche relazionali, psicologiche e neurologiche attive nel rapporto di fiducia. Ma è anche per la medesima relazione che il saper dare fiducia o l’astenersi dal farlo gioca, a più livelli, un ruolo imprescindibile nell’educazione, specialmente – ma non solo – nell’età infantile: di questi aspetti riflette lucidamente nel suo contributo Emanuela Fellin, chiedendosi precisamente quale sia la giusta misura tra il ruolo tutelante della guida educatrice e la garanzia di spazio autonomo da lasciare ad un bambino che cresce, laddove “educare vuol dire aumentare le possibilità e per riuscirci bisogna essere almeno in buona misura affidabili”. Oppure ancora, riflettendo su alcune espressioni linguistiche, è nel meccanismo basale di questa relazione spazio-di-incontro che un figlio viene dato in affido, che per stalking si diffida una persona, che in banca ci si vede concesso un fido, che si conferisce o perde stima.
La precarietà costitutiva del nostro essere umani, intesa tanto fisicamente quanto psicologicamente, permette che in questa o per questa relazione accadano cose straordinarie – come si verifica nell’esercizio generativo della fiducia terapeutica, presentata nell’articolo di Vittorio Pelligra – e che su questo legame si basino aspetti imprescindibili del nostro vivere quotidiano, della nostra società, del sistema istituzionale che abbiamo costruito. Senza fiducia interpersonale ci sarebbe impossibile vivere quali animali sociali: se non avessi nemmeno una fiducia di base nelle altre persone, non potrei spostarmi su un mezzo di trasporto (mal guidato o mal fabbricato che sia), non potrei mangiare qualcosa cucinato o coltivato da altri, non potrei riposare sotto un tetto, vestirmi, farmi aiutare da una qualsiasi tecnologia.
Comprendiamo con ciò il secondo polo semantico che i latini attribuivano alla fiducia, ovvero la sua destinazione di legame istituito e mantenuto mediante la relazione, che si traduce in fedeltà, onestà, lealtà e quindi impegno e promessa. Figli di quell’esperienza fondante, riconosciamo ancor oggi in questi significati i valori fondamentali del nostro vivere civile, quando esercitati, ed incivile, quando calpestati (su questo, non perdete la dura testimonianza del caso di Casal di Principe raccontato da Pasquale Corvino). Essendo, proprio in quanto valori, agiti, ritroviamo trasversalmente questi significati nelle odierne dinamiche istituzionali, sociali, ambientali, economiche ed intergenerazionali. Sono le esperienze e i linguaggi della contemporaneità che Passion&Linguaggi, in coerenza con la propria identità, propone questo mese.
Le implicazioni socio-politico-istituzionali della fides, “da intendersi non soltanto nell’accezione di fiducia interpersonale, ma anche di coordinata civile ed istituzionale” vengono riconsiderate da Alessandro Cesareo a partire dalla coppia pax deorum/pax hominum del mondo latino antico, mentre Giorgio Vallortigara problematizza la domanda sociale sull’effettivo esercizio della fiducia in un contesto interpersonale dominato dall’egoismo e dalla logica razionale più di quanto non lo sia dalla cooperazione. Dopo aver riepilogato i principali passi fatti fin qui, Walter Ganapini richiama il valore della fiducia nel processo che ci renda capaci di assumerci la necessità di un approccio sistemico alla disastrosa questione ambientale; Roberto Schiattarella approccia invece il tema della frammentazione osservabile in ambito economico partendo dal fatto che la fiducia rimane esclusa, in quanto componente non puramente razionale, dalla concezione fondamentale del processo decisionale economico, causando una complessità che risulta irriducibile ad un modello apatico. Alessandro Picone analizza l’iperbole di fiducia nel progresso ingenerata a partire dal secondo dopoguerra come concausa dell’incredulità che stiamo proviamo davanti alla guerra ucraina; il dialogo tra Rosario Iaccarino e Alessandro Rosina ci chiede infine di affrontare il problema che ha l’Italia di svecchiarsi (letteralmente e metaforicamente) considerandolo a partire dal rapporto di (scarsa) fiducia che oggi è data ai giovani e a quanto questi ultimi potrebbero invece richiederla per determinare il cambiamento demografico, sociale, istituzionale.
Consegniamo alla vostra lettura questo numero di Passion&Linguaggi nella speranza di restituire la consapevolezza che, di tutte le cose che possiamo dare o togliere, meritarci o perdere, forse la fiducia è quella più importante. L’urgenza di portare ad una riflessione sul suo significato e sulle sue implicazioni è, perdipiù, sensibilmente cresciuta a causa di quanto divampato nei giorni in cui venivano scritti gli articoli che pubblichiamo. Un noto ritornello musicale di qualche anno fa ripeteva: “Mi fido di te/io mi fido di te/io mi fido di te/cosa sei disposto a perdere?”. Ora, forse un po’ più di allora, siamo consci del fatto che, se non mettiamo a fattor comune della nostra esperienza umana la fiducia, la risposta da dare al cantautore è estremamente semplice: tutto.