“Possiamo ricordare solo perché qualcun’altro ha ricordato prima di noi” (Malcolm Gaskill)
La nostra capacità di ricordare un evento, che non ci ha visto direttamente protagonisti, dipende da uno o più ricordi altrui, in una specie di catena della memoria. E tanto più questa catena si allunga nel tempo tanto più deboli diventano i suoi anelli.
Da circa tre anni in un luogo abbandonato dell’Alta Murgia è stata attivata una importante esperienza di ricerca e valorizzazione che vede protagonista il più grande campo per prigionieri di guerra alleati in mano italiana durante il secondo conflitto mondiale: Campo 65
Situato a metà strada tra Altamura e Gravina, Campo 65, all’indomani dell’armistizio, divenne anche centro di formazione per le Brigate d’Oltremare dell’Esercito di Liberazione della Yugoslavia e, nel dopoguerra, Centro Accoglienza profughi istriano-dalmati e delle ex-colonie italiane.
Un luogo quindi che raccoglie, sotto una superficie di degrado, abbandono e desolazione, strati di memorie di vita vissuta legate da un unico filo conduttore: la seconda guerra mondiale. Un evento che ha sconvolto l’esistenza alla maggior parte degli abitanti del pianeta terra e che è costata la vita ad oltre 60 milioni di persone.
Attorno a questa esperienza si è costituita, da qualche anno, una vera e propria comunità di patrimonio composta da cittadinanza attiva, storici ed archeologi, studenti dei locali licei e parenti di tutti coloro che, dai quattro angoli del pianeta, sono stati ospiti del campo. Analizzando le interazioni e dinamiche venutesi a creare tra i membri di questa comunità sono scaturite alcune interessanti riflessioni circa le iniziali difficoltà, poi rivelatesi opportunità, di commettere il presente alla memoria.
Man mano che si sono collegati i vari anelli della catena è subito parso evidente quanto, a distanza di 80 anni, la guerra continui a proiettare le sue ombre ed a produrre i suoi effetti nello spazio e nel tempo. Questa consapevolezza è emersa, con grande sorpresa da parte degli studenti, dallo studio delle memorie e dalla attività di ricerca e decodifica dei segni che ancora appaiono evidenti sul sito.
Le memorie seppur individuali, selettive, incomplete, fallibili restituiscono infatti una narrazione degli eventi molto più coinvolgente rispetto a quella riportata nei capitoli di storia contemporanea solitamente studiati di fretta durante le settimane finali dell’ultimo anno di scuola superiore.
Un coinvolgimento che ha determinato nei ragazzi, oltre ad una maggiore comprensione della storia “ufficiale”, una importante considerazione. Se è vero, infatti, che la storia non si ripete mai uguale a se stessa, è altrettanto evidente che essa, pur cambiando nella forma, non vari nella sostanza delle sue dinamiche fondamentali.
Le radici del male, il fuoco eterno della divisione e la chiusura verso l’altro, il diverso, sono li, nello stesso abisso dove spesso giacciono le memorie, pronte ad essere pescate da moderni rinnovatori di odio e discordia al fine di distorcere la storia e piegarla a proprio uso e consumo.
Inoltre, in un tentativo maldestro di iper-semplificazione della complessità dei tempi moderni si ripudia l’esperienza di ciò che è stato e si volge lo sguardo solo all’immediato, come se si nascesse e ricominciasse a vivere ogni giorno senza aver nulla appreso.
Ed allora la storia, la memoria può essere rimossa, quando non addirittura riscritta, adattandola, al limite, alle personalissime esigenze del momento in una forma di anarchia che vede la propria esistenza, isolata e disconnessa, come un diritto incondizionato e permanente.
Ecco quindi che la capacità di riconoscere l’evoluzione dei fenomeni e la loro causa/effetto diventa urgente necessità in una società che vede sempre più i propri membri affrancarsi dal “peso del pensare”, dalla pratica ed utilizzo della ragione e dello spirito critico.
Questa esperienza sul “Campo 65” riporta, oltre ad un grande riscontro in termini di partecipazione, un evidente ed altrettanto sorprendente interesse e personale coinvolgimento, soprattutto da parte degli studenti, quasi a voler intuitivamente ricercare nel passato una chiave di lettura della complessità del mondo moderno.
Il tentativo in atto è quello di elaborare un vero e proprio archetipo formativo. Un approccio scientifico, metodico, interattivo dello studio della storia, dell’uso della memoria, della analisi e traduzione dei documenti inediti, della ricerca delle tracce, della raccolta di testimonianze ed infine del confronto, spesso contro-intuitivo, tra tesi iniziali ed i riscontri sul campo. Una palestra per allenare i ragazzi alla pratica della ragione. Un antidoto contro il dilagare della moderna e diffusa irrazionalità. A quel corto circuito della intelligenza umana che sembra aver arrestato la naturale evoluzione della specie umana innescando un fenomeno di regressione verso una condizione primitiva.
Luglio 2021 – primo scavo di archeologia del contemporaneo in Puglia ad opera di UNIFG-UNIBA
Studenti scuole elementari in visita presso la mostra itinerante “Campo 65: la memoria che resta”
Domenico Bolognese, nato ad Altamura nel 1969, laurea in Economia e master in marketing internazionale. Si occupa di international business development nel settore food e arredamento aiutando, da oltre un ventennio, aziende pugliesi ad esportare in tutto il mondo. Figlio di un ufficiale italiano partigiano in Montenegro ed internato militare in Germania durante il secondo conflitto mondiale, ha da sempre coltivato una grande passione per la storia contemporanea.
Nel 2019, a seguito di una intensa attività di ricerche iniziate in solitaria, costituisce l’Associazione Campo 65, che si occupa della valorizzazione delle memorie e dei luoghi legati ai conflitti del Novecento sul territorio dell’Alta Murgia.