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Lo spettatore perde la propria posizione

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Alessandro Picone
nato ad Avellino 25 anni fa, ha conseguito la laurea magistrale in Filosofia presso l'Università degli Studi di Torino discutendo una tesi in Filosofia della Storia su "Ivan Illich. Un pensatore ai limiti" con relatore Enrico Donaggio. In precedenza aveva conseguito la laurea triennale in Filosofia presso l'Università degli Studi di Firenze con una tesi in Filosofia Teoretica su "L'insondabile profondità: la questione dell'identità personale tra Locke e Leibniz", relatrice Roberta Lanfredini.

Che cosa si intende dire quando si definisce Humberto Maturana come l’interprete – e tra i maggiori – della biologia ontologica? Certamente che l’attività del biologo, sociologo e filosofo cileno si è delineata nella tensione a intrecciare il problema dell’osservatore, dell’approccio alla realtà e della relazione per fornire elementi fondamentali alle scienze umane e sociali: invitando ad abbandonare le abitudinarie certezze e in tal modo pervenire a «un’altra visuale di quello che costituisce l’umano»1

I lavori di Maturana offrono perciò spunti e terreni di discussione transdisciplinare di grande interesse. Pur lavorando nel suo campo di ricerca, cioè la biologia, è riuscito a toccare temi cruciali la cui portata investe ampi territori del sapere. È stato uno scienziato e anche un intellettuale impegnato politicamente, che pensava la propria disciplina nel più vasto contesto della cultura: lavorando nel suo campo di ricerca scientifica è stato capace di sollevare temi di interesse generale per la filosofia, la storia e la sociologia, rappresentando in prima persona un modello di attività scientifica come forma di cultura. Molto critico nei confronti di un certo tipo di lettura del processo scientifico e di un modo di intendere la conoscenza, le sue riflessioni sui fondamentali meccanismi degli esseri viventi – dalla percezione all’apprendimento, dall’evoluzione alla riproduzione – hanno segnato profondamente non solo il proprio campo di indagine, ma anche molta parte del dibattito filosofico attorno ai problemi più generali posti dal sapere scientifico. 

I suoi lavori sull’anatomia, sulla neurofisiologia della visione o sulla visione dei colori hanno rappresentato una vera e propria rivoluzione epistemologica, in cui si afferma che non si dà riferimento a una realtà indipendente perché «le cose non passano al di fuori degli esseri ma al loro interno»2. Sfidando il “mito del dato”, di una realtà oggettiva indipendente come fosse uno sfondo inerte sul quale si staglia l’azione degli umani, che si ridurrebbe a un mero riflettere l’esterno, ha affermato che «il mondo in cui viviamo è il mondo che configuriamo e non un mondo che troviamo già dato»3

Maturana invita ad assumere un atteggiamento fenomenologico, abbandonando la pretesa di avere «la capacità di far riferimento a una realtà indipendente da me»4. Il mito dell’oggettività come dominio esterno, stabile e assoluto, ha profonde conseguenze tanto sul piano della conoscenza quanto su quello della convivenza: se vi è una realtà oggettiva e qualcuno possiede gli strumenti per conoscerla, il dominio esplicativo è unico ed esclude qualsiasi altro approccio: «Nel momento in cui pretendiamo di avere accesso alla realtà oggettiva, ci appropriamo della verità, non accettiamo la legittimità del mondo dell’altro e lo neghiamo in maniera irresponsabile, senza farci carico delle nostre emozioni. Al più, ammettiamo temporaneamente la presenza dell’altro tollerando il suo errore»5

L’idea di una realtà esterna, oggettiva, assoluta, stabile, esterna al vivente e indipendente da esso, che esso può percepire e, con le informazioni ottenute, calcolare un comportamento adeguato alla situazione, è a fondamento di uno schema pratico-cognitivo che innerva la volontà di prevedere e controllare gli altri e la natura. 

Enfatizzando la partecipazione attiva dell’osservatore nella costruzione dei fenomeni che egli stesso cerca di comprendere, Maturana mostra l’impossibilità del lucreziano «guardare da terra il naufragio lontano», rivoluzionando l’esercizio della teoria, abitualmente intesa come contemplazione di uno spettacolo (nel senso etimologico di theorein): «L’osservatore è un sistema vivente e qualsiasi comprensione della cognizione come fenomeno biologico deve rendere conto dell’osservatore e del suo ruolo in esso»6

Lo spettatore perde la sua posizione, la distanza di sicurezza tra soggetto e mondo è azzerata: non c’è differenza tra terra e mare, e la possibilità stessa di essere meri spettatori viene meno. La linea di demarcazione tra terra e acqua, tra l’attività contemplativo-teoretica e attivo-pratica, viene cancellata: nella vita siamo noi stessi siamo sempre parte dello spettacolo. Emerge così l’impossibilità di restare spettatori davanti alla storia: i due punti di vista, quello del naufrago e quello dell’osservatore (per restare alla famosa immagine di Lucrezio), finiscono con l’identificarsi. 

        Non esiste la possibilità di guardare dal porto sicuro il mare infuriato – «vous etes emabrqués», scriveva Blaise Pascal – perché l’esperienza del mondo non ammette spettatori, e dunque non conosce punti di vista generali, assoluti, validi per tutti e dunque su cui orientarsi una volta per tutte. 

Le implicazioni delle riflessioni di Maturana hanno oggi, nel contesto di quella crisi epocale che, sulla scorta delle analisi di Paul Crutzen e Eugene Stoermer, abbiamo imparato a chiamare “Antropocene”, conseguenze ancor più profonde. Nel momento in cui il mondo non sembra più essere a nostra disposizione – sia nel senso di “oggetto” da contemplare, manipolare e di cui servirsi, sia come lo “sfondo” della nostra avventura esistenziale -, e l’idea dell’umano come legislatore autonomo e sovrano della natura – il solo capace di elevarsi al di là dell’ordine fenomenico – non sta più in piedi, il lavoro di Maturana offre le basi per ripensare radicalmente la grammatica della nostra interpretazione del mondo e del nostro atteggiamento nei suoi confronti. 

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