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Travolti dall’apatia

Autore

Laura Pigozzi
Psicoanalista, saggista e insegnante di canto, dedica particolare attenzione alle nuove forme dei legami familiari, al femminile, alla questione della voce e del fare arte. E’ Rappresentante Italiana delle seguenti associazioni psicoanalitiche europee: Fondation Européenne de la Psychanalyse; CRIVA - Centre Recherche International Voix Analyse Lapsus de Toledo E’ nel comitato scientifico e docente della Società Italiana di Musicoterapia Psicoanalitica e ne dirige la sezione milanese. E’ autrice dei libri:Troppa famiglia fa male. Come la dipendenza materna crea cittadini bambini. Rizzoli, settembre 2020 Adolescenza Zero. Hikkikomori, Cutters, ADHD e la crescita negata, nottetempo editore, giugno 2019. Tradotto in Francia per Erès (2020) Mio figlio mi adora. Figli in ostaggio e genitori modello, nottetempo ed, 2016. Vincitore del primo premio Internazionale “Città delle Rose 2017”. Tradotto nel 2018 in Francia per Erès e in Brasile per Buzz Editora A nuda voce. Vocalità, inconscio, sessualità, riedito ampliato da Poiesis, 2017 Chi è la più cattiva del reame? Madri, figlie e matrigne nelle nuove famiglie (2012) tradotto in Francia per Albin Michel, Paris (2016); Voci smarrite. Arte, sublimazione e legame sociale contro il dominio dell’anestesia, et./Al. (2013), attualmente in traduzione in Francia Collabora alle riviste di cultura doppiozero.it, Gli Asini, Origami-La Stampa e scrive su riviste francesi e spagnole. Scrive sul blog che “Riflessioni brevi” Vive e lavora a Milano e a Pesina di Caprino Veronese

quel virus plusmaterno che perverte la funzione materna di cura in una ipercura del controllo, che oggi è anche sempre più dei padri, contagia le zie e nonne e non raramente gli insegnanti. 

Il rientro a singhiozzo nelle scuole sarà capace di risvegliare i ragazzi dall’apatia? In quelli che vedo, per lavoro e in privato, ho notato un breve guizzo. Che si è subito spento. Alcuni non hanno nemmeno provato quella gioia repentina, scontenti di modificare la pandemica routine da pigiama, quella che prima del lockdown era riservata alla domenica – ma non era il giorno dedicato agli amici e all’amore? – e che ora è diventata quotidiana. Privati di una continuità scolastica, qualcuno di loro ha perso l’intima certezza che ci fosse ancora un mondo a parte rispetto alla famiglia, altri riferimenti oltre alla casa e magari vitalmente in contrasto con essa, nuovi luoghi da abitare, liberatori. Si sono invece appassionati al comfort: un vero ossimoro perché la passione ti sposta, fa saltare i riferimenti più consueti, rompe la convenzione, apre alla vita. Travolti dall’apatia, sono sprofondati nel divano come pensionati, hanno passato la giornata a letto come gli ospedalizzati, qualcuno ha provato un momento di benessere nella vecchia e fedele tuta, quella che infila con piacere chi si rinchiude dopo una delusione d’amore. In effetti, la stagione dell’amore per molti si è chiusa prima di aprirsi. Chi al quarto anno poteva attraversare il mondo, cominciare una nuova vita con persone che non conosceva, reinventarsi, si è trovato bloccato in casa, i più sfortunati con genitori in smartworking o in homeworking. Molti non si sono lavati, si sono psicotizzati anche se psicotici non sono, si sono hikikomorizzati nutrendo quel godimento nello stare a casa che si era già installato da tempo.  

Non è stata colpa della pandemia. Il lockdown ha solo esacerbato e svelato tutto l’orrore di una tendenza già in corso: l’azzeramento dell’adolescenza. O il suo essere infinita, il che è uguale. Il lockdown ha fornito solo un alibi perfetto a un un virus interno alle famiglie che le aveva da tempo contagiate: quel virus plusmaterno che perverte la funzione materna di cura in una ipercura del controllo, che oggi è anche sempre più dei padri, contagia le zie e nonne e non raramente gli insegnanti.  Invece che confliggere con noi, come l’età chiederebbe, passano il tempo a rassicurarci sul loro amore, a volte sbaciucchiandoci come quando erano bambini. L’adolescenza è, al contrario, il momento della riappropriazione del corpo: la prima masturbazione urla il mio corpo è mio! Ma il corpo dei ragazzi, che resta bambino nell’immaginario dei genitori, se non fa la muta attraverso il sesso, la farà malamente attraverso il coltello delle cutters che intagliano nel reale della propria carne quello smarcamento simbolico che non c’è stato, o con la droga che depreda giovani già desoggettivati e assoggettati al godimento mortifero del claustrum familiare, o con i disturbi alimentari che riconvocano il bambino che fu. Quando potrà diventare loro il corpo se è abitato da adulti che li umiliano controllando persino le loro mutande come fossero ancora lattanti? Sarà per questo che non si pretende che carichino una lavatrice, né facciano nulla in casa? Chi è servito è leso nella sua libertà, diceva Montessori e il servo è il vero padrone, sosteneva Hegel. 

L’adolescenza è perdere il bambino che si è stati, è il momento in cui serve tutto tranne che la famiglia: serve il gruppo, la scuola, il cinema, il teatro, la musica e la letteratura per giovani, cioè proprio dove si combatte la pulsione di morte che s’incarna nel divano quotidiano. La pulsione di morte è strutturale nell’individuo, come ci ha insegnato Freud, e compare presto, sempre prima, e ultimamente anche tra i bambini. L’unica compensazione sono le pulsioni alla vita: eros, amici, musica, gruppo. E’ vero che si può vivere anche il sesso e gli amici in maniera mortifera, ma ciò accade quando c’è stato un precoce allenamento a trattare la vita come sicurezza, controllo e comfort. La vita è turbamento e conflitto, lotta al conformismo del bravo figlio. La vita fa arrabbiare un giovane e se non lo smuove significa che sta seguendo una vita di cui si vergognerà. I grandi assenti nella esistenza di molti adolescenti sono la socialità e la sessualità a cui, già prima della pandemia, sembravano meno interessati che in epoche passate. Le due questioni sono legate perché non si dà l’una senza l’altra: non si incontra il corpo dell’Altro nella tana domestica. Come riteneva Hannah Arendt gli uomini sanno di non essere felici solo nella vita privata: la felicità umana è una felicità sociale. Non può offrirla la casa, né la solinga cameretta, il letto monacale o il divano. Essa proviene da ogni luogo abitato dal gruppo, scuola compresa purché libera dai genitori.  
La felicità è sociale: in questo senso anche ogni clinica non può che puntare là, perché il destino sociale e il destino individuale sono connessi, come dice Freud. 

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