La ferita delle donne

Autore

Carmen Festa
Psicologa - psicoterapeuta cooperativa E.V.A.

“E’ importante sapere che i confini buoni sono posti per amore e non per paura, 
ma la paura sposta il confine”. 
(Gerda Aarnink) 

La guarigione può avvenire solo all’interno di un contesto di relazioni; esso non può verificarsi in isolamento 

Trauma deriva dalla parola greca “ferita”, “rottura”, ma riferirsi al trauma nel parlare delle donne e della violenza di genere, richiede la capacità di mantenere una visione ampia, aperta, non legata alla singola storia e alle sue conseguenze, ai danni psicologici e fisici, che pure vengono accolti nei percorsi, ma alla ferita che riguarda l’identità delle donne e il loro ruolo nella società.  

E’ necessario tenere presente insieme, come in una gestalt, la figura e lo sfondo, il trauma, la ferita, e la disparità di potere tra il genere maschile e il genere femminile, per non limitarci a una lettura di un fenomeno clinico, all’assegnazione talvolta rassicurante di un’etichetta diagnostica, ma per collocarlo all’interno di una trama di significati culturali e sociali che fanno da terreno alla violenza e che spesso contribuiscono alla sua ripetizione camuffandola di altre vesti. E allora ci può capitare di sentire parlare di gelosia, di attenzione o di troppo amore laddove invece, nella nostra pratica quotidiana, vediamo controllo, sopraffazione, intimidazione; ci può capitare di sentire parlare di tensione legata al lavoro, di problemi di dipendenza, di preoccupazione per il futuro laddove troviamo invece svalutazione, attacco alla libertà delle donne, delega totale di colpe e responsabilità.  

A chi non è capitato di pensare, anche solo per un secondo, che quello stupro forse si sarebbe evitato se non fosse andata in quel locale, se non avesse fatto così tardi, se non avesse bevuto quel bicchiere di troppo, se avesse indossato altri abiti. Poi nella nostra pratica quotidiana ci ritroviamo a raccogliere i pezzi di quelle ferite del corpo, della mente, della propria identità, ci troviamo a lavorare sul trauma, come se l’unica risposta in quel momento potesse essere la “cura” del danno.  

Allora ritorniamo alla figura e allo sfondo, per sottolineare come centrale, nel lavoro dei centri e nella pratica femminista di ascolto e accoglienza delle donne, è il mettere in connessione quella storia con le dinamiche di violenza, con gli stereotipi culturali, con le questioni di genere, per non ridurre la lettura della ferita al solo danno psicologico, alla descrizione di processi psichici per poi arrivare all’aspettativa, a volte magica, che l’unica “soluzione” sia la terapia. All’elaborazione del trauma, in un’ottica di genere, contribuisce  quindi non un solo sapere professionale, ma un insieme di saperi coordinati e integrati.  

La guarigione può avvenire solo all’interno di un contesto di relazioni; esso non può verificarsi in isolamento. Nella sua rinnovata connessione con altre persone, la superstite ricrea le strutture psicologiche che sono state danneggiate o deformate dall’esperienza traumatica. Queste facoltà comprendono le operazioni di base di fiducia, autonomia, iniziativa, competenza, identità, e intimità.” (Judith L. Herman, Guarire dal trauma. Affrontare le conseguenze della violenza, dall’abuso domestico al terrorismo, Magi Edizioni, 2005) 

Il testo citato fa riferimento alla possibilità di ristabilire i legami e, quindi, alla guarigione, fa riferimento allo ristabilirsi di un contatto tra il mondo pubblico e quello privato, tra l’individuo e la comunità, tra gli uomini e le donne. 

L’ultimo anno, con la crisi pandemica, ci ha messo prepotentemente di fronte al fenomeno della violenza, soprattutto per l’aumento delle richieste di aiuto, per l’inasprirsi delle condizioni di isolamento, per l’intensificassi di problematiche psicosociali che hanno aggiunto ulteriore peso ad alcune dinamiche. Ci ha messo però anche di fronte a un altro problema, la debolezza della risposta pubblica al problema della violenza. I centri antiviolenza da oltre vent’anni rispondono h24 alle chiamate, accolgono donne, segnalano problematiche di tutela e sicurezza, sensibilizzano, informano e formano, tra mille difficoltà danno una risposta che non può rimanere singola e non essere integrata in una risposta di rete territoriale. Una donna potrà beneficiare del supporto psicologico all’interno dei centri per elaborare il trauma, ma ha bisogno di sentirsi al sicuro anche all’esterno, di trovare assonanze che sostengano il suo percorso, di luoghi e persone che sappiano leggere in modo adeguato la sua realtà. 

Dal trauma le donne si risollevano, partendo dalle loro possibilità a volte ridotte a un lumicino ma comunque presenti, dall’acquisire una nuova consapevolezza uscendo da schemi che spesso le relegano in spazi minimi e isolati, acquisendo informazioni, sperimentando relazioni positive, ritornando ad essere attive e soggetto della propria vita. Diventando sopravvissute alla violenza, donne che ce l’hanno fatta. 

La Cooperativa Sociale E.V.A., con sede a Santa Maria Capua Vetere (CE), è stata fondata nel 1999 da un gruppo di donne attive nelle politiche di genere. Nel corso dei suoi oltre 20 anni di attività la Cooperativa ha progettato e realizzato servizi di prevenzione e contrasto della violenza maschile contro le donne e i minori, servizi di orientamento al lavoro e di conciliazione dei tempi di vita familiare e professionale, servizi per l’integrazione delle donne migranti. Gestisce in Campania 5 Centri antiviolenza e 3 Case rifugio e 2 laboratori per l’inserimento lavorativo di donne in uscita da situazioni di violenza ed in condizioni di particolare difficoltà. Promuove iniziative culturali  e di sensibilizzazione, ricerca e formazione.  

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