Trump sulle spalle di Gorgia

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Carlo Pacher
Carlo Pacher, classe 1995, lavora per la formazione e lo sviluppo delle persone in La Sportiva. Ha conseguito una doppia laurea in Scienze Filosofiche presso gli atenei di Padova e Jena, in Germania, con una tesi dal titolo: "Intersoggettivà, costruzione, limite. Intorno alla riflessione hegeliana sul linguaggio", tema a cui ha lavorato sotto la guida dei Professori Luca Illetterati e Klaus Vieweg. Precedentemente aveva affrontato il tema della conoscenza di sé in Platone per l'elaborato di tesi triennale con il Professor Carlo Scilironi. Nell'estate 2021 ha preso parte al corso executive "Strategie e nuovi modelli di sviluppo sostenibile" presso CUOA Business School. Attivo in più realtà di volontariato sociale a livello locale, musicista per passione.

Essere, parola, pensiero. La correlazione inscindibile di queste tre dimensioni consente la discussione sulla possibilità stessa di dire qualcosa del mondo, sul mondo, nel mondo, affermando a parole ciò che il pensiero media rispetto alla realtà. Secoli di pensiero e discussione filosofica sono entrati a fondo in quest’asse, di qui è passato il tentativo di dire come si possa formulare la verità sul mondo, dagli atomi più piccoli alle leggi che lo regolano o alle parole che lo plasmano.

Esiste una realtà (essere) che è afferrabile – tutta o in parte – dalla mente umana (pensiero)? E se sì, è a sua volta, la realtà, traducibile e pronunciabile in parole (parola)? Oppure e piuttosto è la parola che, esprimendo il pensiero, plasma la realtà e la fa essere ciò che è? In che modo la parola, raccontando una vista sul mondo, influisce sulla realtà? La può modificare, creare o solo raccontare?

Almeno e sicuramente riguardo a ciò che regola i rapporti e la vita in società tra gli esseri umani, è il modo in cui giochiamo con le tre dimensioni che cambia l’ordine del mondo e la potenza che la parola stessa ha di influire su una realtà che è variabilmente stabile, variabilmente penetrabile e variabilmente modificabile dal discorso che viene pronunciato tra i suoi abitanti. Secoli di storia ci hanno mostrato questa plasticità e ci hanno mostrato le derive a cui possiamo giungere acconsentendo una distribuzione di pesi specifici via via diversa alle tre dimensioni.

La scorta di questa nostra storia umana ci porta oggi ad avere solidi appoggi per riflettere, appoggiandoci al pamphlet di Jianwei Xun, IPNOCRAZIA. Trump, Musk e la nuova architettura della realtà (Edizioni Tlon, 2025), sulla capacità di influire che la retorica ha sulla nostra società occidentale, in un momento che ha tutte le caratteristiche per cui lo si possa definire critico. Xun esamina i discorsi della politica odierna – concentrandosi esemplarmente sulla recente vicenda americana – constatando come le narrazioni oggi costruiscano completamente il senso e il non senso della realtà. «Stiamo assistendo a una trasformazione profonda» – scrive Ugo Morelli nel Bazar della mente di questo numero di Passion&Linguaggi, dedicato all’opera di Xu, «in cui la realtà è diventata interamente gassosa. Non è più questione di separare il vero dal falso; la distinzione stessa ha perso significato, in un sistema che prospera proprio sulla coesistenza di realtà tra loro incompatibili». In questo quadro i popoli occidentali risultano oggi ipnotizzati dal discorso politico, inermi e incapaci di reazione. È identico se al potere c’è una persona solida o psichicamente instabile, tanto fa se il presidente della nazione militarmente più forte al mondo infila una serie di oggettive falsità. Non scendiamo in piazza, non ci arrabbiamo, al massimo proviamo una punta di fastidio.

Non è il vero ciò che è in discussione: è la parola stessa che crea e disfa scenari in cui l’aderenza alla realtà non è un tema, perché la parola che viene pronunciata, scritta, postata è la porzione di realtà che si sta dando in quel momento. Le destre occidentali hanno afferrato e stanno cavalcando questo potere che vede i leader politici “architetti della realtà” andare costruendo e disfacendo ad una velocità inedita fino a questo punto, mentre l’incapacità di incisività che si registra nelle parole dei progressisti di tutta Europa e d’oltreoceano è direttamente proporzionale alla loro ricerca di razionalità e aggancio alla realtà con cui cercano di confutare il discorso avversario. Non si tratta di esaminare se hanno ragione o torto: semplicemente è una lingua che non trova orecchi nell’ipnosi generale, dove le regole argomentative del dibattito sono completamente saltate nell’indifferenza generale e in cui governa, per l’appunto, chi meglio sa costruire narrazioni che sappiano stordire e confondere la realtà che vanno nel mentre costruendo. È una parola, per dirla con l’Hegel dell’Encilopedia, che «svanisce [sich verschwinden] nel mentre che si dà».

Essere, pensiero, parola: Xu ci porta ad accorgerci che la realtà che stiamo accettando prevede un ordine gerarchico tra queste dimensioni, ponendo la parola al primo posto e lasciando ad essa il potere di plasmare l’essere tramite il pensiero che va articolando. Può sembrare una raffinata teoria della comunicazione di contemporanea concezione, certo, almeno fintanto che non ricordiamo Gorgia da Lentini, nel IV secolo a.C., mostrare in uno dei vertici del pensiero sofista lo schema della realtà che sottostà a questa gerarchia, affermando che: 1) Nulla esiste; 2) se anche qualcosa esistesse, non sarebbe afferrabile dal pensiero; 3) se anche fosse afferrabile dal pensiero, non sarebbe comunicabile. Se ricordassimo questo scenario, che tanto potere consegna alla retorica, potremmo forse ricordare anche l’inconsistenza su cui appoggia; se lo ricordassimo, saremmo più consapevoli di che cosa stiamo accettando.

Abbandonando noi stessi tuttavia, oggi, all’ipnosi collettiva, a non far valere il principio di non contraddizione nel discorso politico, annulliamo secoli di emancipazione dalla nostra brutalità, consegnandoci all’illusione dell’ “uno vale uno”, in cui di universale c’è soltanto la garanzia che a vincere è la voce del più forte – anche solo della sua arroganza.

Proprio in questi giorni, il presidente ucraino Zelensky lasciava lo studio ovale del presidente statunitense Trump per non voler stare dentro alla sua narrazione, alla sua retorica, inciampando nel tentativo di stare dentro alla sua parola. Dentro alla sua realtà.

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