Vivendo quotidianamente il rapporto con i giovani, mi pongo sempre l’obiettivo di costruire forme di dialogo, positive e virtuose, con loro. Soprattutto oggi, quando i due mondi, quello degli adulti e quello dei giovani, sembrano incapaci di entrare in relazione, di collegarsi, di comunicare e ascoltarsi. Al punto da rappresentare due culture chiuse, diverse, che hanno perso la speranza di capirsi.
Occorre, invece, fuggire la rassegnazione e continuare a cercare quella chiave che possa connettere questi due mondi, un linguaggio comune e nuovo, che possa renderli capaci di conoscersi e riconoscersi.
Per farlo, bisogna ripartire dal rendere la scuola il luogo dove i giovani possano stare bene, dove ci si possa prendere cura della loro felicità, perché anche la scuola possa essere il posto dove poter essere felici. È questo il motivo per cui nella formazione professionale abbiamo scelto di incastonare la crescita globale dei ragazzi e delle ragazze per accompagnarli in un percorso di crescita che li possa rendere cittadini e cittadine responsabili e consapevoli, prima ancora che ottimi lavoratori e ottime lavoratrici, dove possano sperimentare il senso del limite e mettere a disposizione del bene comune le loro competenze. Dove possano sviluppare il senso critico e imparare ad apprendere, caratteristiche e abilità fondamentali in un mondo in costante e rapidissimo cambiamento, dove l’incertezza sembra essere l’unico paradigma. Condizioni necessarie soprattutto ora, nell’epoca dell’ipnocariza, come la definisce il filosofo cinese Jianwei Xun, ovvero «la forma perfetta del capitalismo dell’era digitale: un sistema dove potere economico, politico e tecnologico convergono nella capacità di indurre, mantenere e modulare stati alterati di coscienza su scala globale», aggiungendo che «ciò che rende l’IA particolarmente adatta al controllo ipnocratico è la possibilità di generare simultaneamente multiple versioni plausibili della realtà» facendoci entrare «in uno stato in cui tutto è simultaneamente vero e falso, dove la distinzione stessa diventa priva di significato».
In questo compito, che è una vera e propria urgenza, bisogna ripartire dai determinanti della salute, ovvero ciò che fa stare bene le persone, di qualunque età. Una persona per vivere in salute deve avere delle relazioni significative e positive; vivere in un ambiente sano, che non significa solo avere una casa ma poter contare su luoghi e comunità salubri dove poter essere tranquilli e felici; avere un ruolo inteso non solo come lavoro e reddito che, certamente, è fondamentale, ma nel senso di avere una motivazione, un posto riconosciuto nella società. La scuola è, in definitiva, il crocevia dei determinanti della salute: la scuola è il luogo dove i giovani esercitano il ruolo di studenti e questo è ciò che ci si aspetta da loro e che viene riconosciuto loro; la scuola è un insieme di relazioni e affettività con i pari e con gli adulti; la scuola è la comunità dove si incontrano i vari ruoli e dove si costruiscono e si vivono relazioni, è il luogo dove rivendicare il diritto di poter stare bene. Ecco, se a una persona togliessero le relazioni, il proprio ruolo e la possibilità di vivere in un ambiente sano e felice, questa persona non sarebbe più in salute.
Certo, per i giovani oggi essere felici sembra impossibile anche per colpa della presenza contemporanea di troppe negatività e preoccupazioni: se alzano lo sguardo, intorno a loro ci sono guerre, sconvolgimenti ambientali, cambiamenti nel lavoro e nel suo senso e significato, pandemie.
Scenari che annichiliscono ogni idea e ogni possibilità di immaginare futuro, rendendolo cupo o, quantomeno, un destino inevitabile che è meglio fuggire rinchiudendosi – e provando a cercare rifugio – nel presente, in quella voglia di “vivere esperienze” o semplicemente nella “voglia di vivere” ma, sempre, qui e ora. Il rischio è quindi che le relazioni, il lavoro, la scuola siano viste come un ostacolo che impedisce di raggiungere quell’obiettivo. La scuola, invece, è la costruttrice per eccellenza di senso, è l’istituzione che si preoccupa di costruire i cittadini, i lavoratori e la classe dirigente del domani. La scuola è quindi il laboratorio dove si immagina e realizza il futuro. Ma se il futuro sembra non aver spazio nella vita – e soprattutto nella mente – dei giovani, allora il rischio è che la scuola venga percepita come inutile. E chi sarebbe disponibile a investire cuore, tempo e passione in qualcosa di inutile? Sta forse qui la causa del malessere che tanti giovani mostrano a scuola?
Il futuro, però, alla fine arriva sempre e non possiamo permetterci il rischio che si presenti, tra anni, sotto forma dell’ennesimo presente che, i giovani, vivranno come ennesimo tentativo di fuggire il prossimo futuro, in un circolo vizioso che soffoca progettazione, relazioni, ruoli e che alimenta malessere. Bisogna, insomma, farsi trovare pronti all’appuntamento con il futuro per gestirlo e governarlo e non, certamente, per subirlo e fuggirlo. Sarebbe un’occasione persa di costruire un tentativo di riscatto capace di liberare le energie migliori.
Ecco, la scuola deve tornare a esprimere quella capacità di rendere radicale la speranza, mettendo al centro il benessere dei giovani e offrendo modalità didattiche innovative e pedagogiche in grado di cogliere e valorizzare le caratteristiche e le attitudini delle nuove generazioni che hanno solamente bisogno di essere ascoltate e valorizzate. Ho la fortuna di vivere una realtà formativa che sta dimostrando che si può fare e che questa è la strada da percorrere con forza e determinazione.