Ipnosi o illusionismo?

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Gianpaolo Carbonetto
Gianpaolo Carbonetto è giornalista e responsabile di programmi culturali e di formazione, studioso dei fenomeni più rilevanti della cultura e della democrazia.

Quello smaliziato cinico di Friedrich Nietzsche diceva che «le nostre verità non sono altro che bugie inconfutabili». Con l’evidente sottinteso che ogni cosa che raccontiamo viene da noi abbellita, o imbruttita, anche inconsciamente, per avvicinarla il più possibile a quella che ci piacerebbe fosse per noi la realtà migliore, o più utile.

Oggi il filosofo tedesco forse sarebbe sorpreso nel vedere che il concetto di verità per molti è diventato tanto indistinto da aver perso la sua caratteristica principale: quella di essere costantemente soggetta al dubbio che è l’unico elemento che può comprovarla, oppure negarla. E, conseguentemente, che ormai anche le menzogne più clamorose possono essere pronunciate con la sicurezza che, in assenza totale di dubbi e quindi di filtri, diventeranno certezze per una certa parte della popolazione. Importante, quindi, non è tanto capire perché qualcuno mente – questo è facile – ma soprattutto scoprire come siano potute crollare tutte le difese davanti a pur evidenti falsificazioni. 

Jianwei Xun, nel suo recentissimo Ipnocrazia, pone le basi per definire una difesa rispetto alla pseudoinformazione contemporanea e, magari, anche per sabotarla. E da questi assunti iniziali poi interviene con altri scritti soprattutto compiendo un’analisi dettagliata della maniera in cui Trump riesce far apparire una nuova architettura della realtà che prende corpo attraverso una saturazione semantica costituita da reiterate ripetizioni dotate di potere ipnotico anche perché distribuite all’interno di una serie di anticipazioni in cui ogni minaccia evocata è subito annullata da una promessa di immediata risoluzione che mantiene chi ascolta in uno stato di eccitazione controllata. E così anche le asserzioni più spericolate sono assorbite da molti in maniera totalmente acritica e si depositano a creare una specie di nuovo mondo. Pensate soltanto alla concatenazione tra «Il proiettile di un assassino mi ha trapassato l’orecchio» e «Sono stato salvato da Dio per rendere l’America di nuovo grande». Se non si è perso il controllo del proprio pensiero, riesce difficile credere che Dio – ammesso che esista – si dia da fare soltanto per un simile figuro lasciando che milioni di innocenti muoiano nelle maniere più crudeli. Eppure il risultato è che per molti la salvezza di Trump finisce per confondersi, o meglio per identificarsi, con la salvezza della nazione.

Oggi il meccanismo è stato raffinato e implementato con altri stratagemmi, ma la base resta sempre quella: affascinare chi ascolta con concatenazioni che appaiono perfettamente logiche nei passaggi successivi al primo, ma che proprio all’inizio, quando si è ancora un po’ distratti, partono da presupposti falsi e abilmente dissimulati. 

Un famoso esempio di questo meccanismo lo si trova in un racconto scritto da Isaac Asimov, conosciuto soprattutto come autore di fantascienza, ma molto noto anche come biochimico impegnato nell’insegnamento e nella divulgazione scientifica. In questo suo racconto del 1947 immagina che esista una sostanza, la “tiotimolina risublimata”, che ha proprietà chimiche e fisiche assolutamente mai viste, e da questo particolare procede, con logica implacabile, per disegnare un mondo diverso da quello in cui viviamo. La sua capacità scientifica gli permette di procedere con assoluta logica dall’assunto di base e a un certo punto si è quasi tentati di credere che il racconto sia la descrizione di qualcosa di reale, anche perché è scritto con il tipico piglio del saggio scientifico, corredato di false tabelle e grafici e arricchito di una nutrita finta bibliografia. Ma è il presupposto a non esistere e, quindi, tutto quello che ne deriva è pur esso inesistente.

Quello che sta succedendo in America dovrebbe indignarci, ma non stupirci più di tanto, visto che proprio davanti ai nostri occhi una quindicina di anni fa Berlusconi è riuscito a far sì che il nostro Parlamento votasse per stabilire che Karima El Mahroug, “Ruby Rubacuori”, era davvero la nipote di Mubarak, o, in altra occasione e con Gentiloni capo del governo, sempre il Parlamento ha accettato la tesi che i patti sottoscritti dall’allora ministro Minniti con i libici fossero stati decisi per il bene dei migranti. Due falsità – e non vado avanti in un elenco molto lungo e che anche oggi cresce in continuazione – talmente evidenti che nessuno, se non in malafede, può pensare che rappresentino la verità.

Il dubbio che viene, però, è che non di ipnosi di massa si tratti, ma di illusionismo, o di prestidigitazione. L’ipnosi, infatti, induce artificialmente sonno, o realtà apparenti, a prescindere dalla volontà dell’ipnotizzato. E a quel punto l’ipnotista può impostare varie risposte comportamentali alle stimolazioni verbali che fanno ignorare le sollecitazioni dell’ambiente e percepire sensazioni anche in contrasto con gli stimoli che colpiscono gli organi di senso.

Quella di distinguere tra ipnotismo e illusionismo potrebbe sembrare una questione di lana caprina perché, alla fine, le conseguenze appaiono identiche: in entrambi i casi, infatti, lo scopo è quello di dare false indicazioni agli elettori in maniera da riuscire a indirizzarne il voto. La differenza diventa importante, invece, se l’obiettivo è quello di combattere la fabbrica delle tante fake-news che stanno inquinando il nostro mondo.

Se si trattasse davvero di ipnosi dovremmo quasi rassegnarci perché le tecniche ipnotiche sono in grado di superare le resistenze della maggior parte dei cervelli. Se, invece, si tratta di illusionismo – e sono convinto che sia così – allora diventa importante insegnare a difendersi dai trucchi della prestidigitazione, partendo sempre dal fatto che per comprendere gli inganni del prestigiatore occorre guardare con attenzione non la mano che apparentemente è la protagonista del gioco, ma l’altra, quella che sembra inattiva.

Insomma: è necessario individuare e smascherare il trucco, ma anche, se non soprattutto, metterlo in piazza, indicarlo a tutti. Un esempio è quello che riguarda il rischio di veder diventare reale l’incredibile progetto di legge della destra che vuole che il Consiglio Superiore della Magistratura non sia più eletto dai magistrati, ma scelto per sorteggio. Cioè è l’estrazione a sorte – e si spera almeno non truffaldina – che si sostituisce alla volontà dei cittadini, o delle categorie professionali. Ovviamente la proposta deriva dal fatto che oggi il governo di destra sa di non poter sperare che la magistratura elegga un suo organo di autogoverno che sia acquiescente allo scempio che si progetta di fare della giustizia e si sa benissimo che, se e quando i rapporti di forza si dovessero invertire, diranno che quella del sorteggio era una mossa per disinnescare lo strapotere delle correnti e che il pericolo si è ormai dissolto e si può tornare al voto.

Il trucco è clamorosamente evidente, ma la diffusa distrazione permette che molti non ci facciano minimamente caso. Qualche decennio fa, molto probabilmente le strade sarebbero state percorse da cortei di protesta di cittadini perfettamente consci che se alla magistratura viene tolta l’autonomia chi ci perde non sono soltanto i magistrati, ma l’intera società che sembra avere perduto la capacità di indignarsi e la voglia di partecipare davvero alle decisioni che poi coinvolgeranno tutti. La stragrande maggioranza dei cittadini ha dimenticato l’essenza della democrazia che, secondo una definizione di Fernando Savater, «consiste nel trasformare gli individui in vettori del senso politico della società». Sottintendendo che ognuno di noi diventa soggetto autonomo e attivo del divenire democratico, discutendo costantemente con gli altri, da pari a pari. E, se si ritiene, raggruppandosi in partiti che non soltanto devono “fare” democrazia, ma devono “essere” democrazia. 

E per fare questo bisogna tornare a prendere parte, a essere partigiani, a scegliere e a difendere le proprie scelte, non perché imposte da altri, ma in quanto frutto dei nostri ragionamenti e sentimenti. Sottolineando che davanti a ogni cambiamento che non ci sembra giusto la domanda corretta da porsi non è «Cosa accadrà?», ma «Come possiamo evitare che accada ciò che non vogliamo che accada?». 

Tenendo anche presente che nel passato talvolta non ci accorgevamo dei trucchi perché dentro di noi c’era la voglia di sognare; adesso – e la prima necessità è quella di correggere questo andazzo – domina quella di non pensare.

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