Emanare, Dissipare, Sorreggere: essere legati agli oggetti

Autore

Enrico Orsenigo
Enrico Orsenigo, nato nel 1992, psicologo, dottorando di ricerca in Learning Sciences and Digital Technologies all'Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia. Tutor del corso Digital Robotic Therapies e Storia della psicologia del prof. Lino Rossi. Fa parte della Segreteria di Redazione della Rivista interdisciplinare dell'educazione IUSVEducation. Si occupa prevalentemente di Funzioni educative della letteratura e delle intersezioni tra psicologia dell'educazione, pedagogia della narrazione e letteratura. Autore e co-autore di pubblicazioni scientifiche, tra le quali: Pensare per orientare. Sulle lezioni americane di Italo Calvino (The Lab's Quarterly, 2021); Caducità nell'età della tecnica (Il Pensiero Storico, 2021); Considerazioni sull'irrimediabile (Il Pensiero Storico, 2022); Generational Relations, Technology and Digital Communication: a Comparison between Multicultural and Native Families (Rivista Internazionale di Educazione Familiare, 2023); Relazione e letteratura: una esplorazione (Educazione Aperta, 2024); From learning machines to teaching robots. Interaction for educational purposes between the Social Robot NAO and children: a systematic review (Journal of E-Learning and Knowledge Society, 2024); La funzione educativa dei mondi possibili (Lifelong Lifewide Learning, 2024); Morfospazio del possibile. Proust, Tabucchi e la simulazione incarnata/liberata (Il Pensiero Storico, 2024).

Tre verbi per raccontare l’esperienza del legame con gli oggetti: emanare, dissipare e sorreggere.

Il primo verbo, Emanare, può essere narrato a partire dalle peripezie vissute dal personaggio principale di Locus Desperatus, ultimo romanzo di Michele Mari. 

Questo romanzo si organizza in tre tempi; il primo tempo corrisponde al turbamento del protagonista nel sapere da parte di terzi che gli oggetti, soprattutto quelli più cari, sono rispondenti, sembrano avere una vita, oltre che essere capaci di trattenere ed emanare informazioni e sfumature di personalità del proprietario.

Il secondo tempo del romanzo di Mari coincide con la scoperta da parte del personaggio di innumerevoli sensi di colpa causati dal fatto che, probabilmente, alla maggior parte degli oggetti presenti nella sua casa, non è stata data una attenzione sufficiente. E al contempo una cura sufficiente.

Il terzo e ultimo tempo consiste nella riappacificazione con gli oggetti e la libertà concessa dal personaggio-proprietario di lasciare andare quegli oggetti che desiderano andarsene verso altri proprietari. Gli oggetti che hanno espresso il desiderio di rimanere saranno quelli “schierati” come potenza di fuoco di fronte alla porta d’ingresso per difendere la casa: quest’ultima è nella lista delle case desiderate da alcuni antagonisti (ultracorpi alla ricerca di abitazioni ricche di oggetti investiti affettivamente).  

Il secondo verbo, Dissipare, ben si associa al caso di Karl Rossmann, presentato da Franz Kafka in America

È la storia di qualcuno che perde continuamente gli oggetti, oggetti che ci vengono raccontati come “congegni” che trattengono, anche in questo caso, pezzi dell’identità e della memoria del protagonista. Rossmann, cacciato di casa dopo aver messo incinta la domestica, per tutto il racconto perde pezzi di sé, pezzi di memoria, così fondamentali per un essere umano come lui che non ha alcuna proprietà, tranne una piccola valigia, contenitore di tutti gli altri oggetti. Tutto questo romanzo di Kafka sembra regolarsi entro una matematica esistenziale che assume la forma di una equazione elementare: il grado delle perdite materiali è direttamente proporzionale all’intensità della dissipazione della memoria. 

Questo romanzo è uno dei pochi che nella prima metà del Novecento mette in luce una “crisi del mondo delle cose” parallela alla “crisi del soggetto” così come si è manifestata sul finire dell’Ottocento. 

Il terzo verbo, Sorreggere, qui si associa ad una riflessione di Daniele Del Giudice a proposito del linguaggio macchina che sorregge le lettere, che ne consente l’apparizione sulla superficie dello schermo. In questo senso, la nostra scrittura al computer è irrimediabilmente legata al funzionamento di una sotto-scrittura che lo scrivente non vede. Non solo le lettere ma anche le icone sono “realizzate” (dipendono) da alfabeti. Così Del Giudice: 

Corpo e oggetti. Corpo, oggetti e alfabeti. Il software, da tempo, è concepito come object oriented. Per questa sua intenzione di oggettualità, di solidità, potremmo dire che il software, inteso come “oggetto”, diventa a suo modo hardware, rendendo più sfumata tale distinzione. Questo documento è un oggetto. Il cestino del desktop nel quale potrei gettarlo è un oggetto. La scheda video, che compare come icona nei controlli del sistema operativo col quale sto scrivendo, è anch’essa un oggetto; di sostanza diversa, ma concettualmente “oggettosa” come la scheda video fisicamente oggetto che all’interno del case del computer rende per me visibili le lettere degli archivi che vado scrivendo. Cestino, cartelline, icona della scheda video, sono oggetti fatti di alfabeti: la loro forma, la loro presenza di “oggetto”, la loro sostanza è quella di segni alfanumerici combinati, alfabeti appunto. È la prima volta che gli oggetti sono fatti di alfabeti, sfumando così l’antica distinzione tra nomina e res. L’alfabeto con cui redigo questi archivi ha un supporto; non cartaceo, ma nemmeno semplicemente “elettronico”. Il suo supporto è il linguaggio macchina, alfanumerico, anch’esso un alfabeto. Lettere appoggiate sopra lettere, lettere sorrette da lettere. C’è dunque un alfabeto per me privo di senso comune che uso per sperimentare, per descrivere mediante un alfabeto di significato, quel che sta cambiando, almeno un po’, nel senso comune degli oggetti, del corpo, e degli alfabeti. (2024, pp. 222-223)

Tutti e tre i verbi, o se si preferisce tutte e tre le colorazioni dell’esperienza tra essere umani e oggetti, “parlano” direttamente e indirettamente della necessità di avere una maggiore attenzione nei confronti degli esseri viventi e non viventi. il legame che costituisce una relazione emana risonanze la cui estensione va al di là del campo nel quale, tale legame, è “nato”: raggiunge terzi, persone, animali, cose, habitat. E sappiamo che retroagisce talora nei modi più imprevedibili (sono queste le maniere della vita). In questa direzione che auspica una maggiore attenzione, una maggiore cura, va anche il tipo di legame definito da Del Giudice, ossia il legame con il linguaggio-macchina. 

Che cosa succede se, viceversa, come nel romanzo di Mari, si persiste nella noncuranza di larga parte degli oggetti, e nello specifico di larga parte degli elementi naturali che costituiscono questi oggetti? con le parole di Ugo Morelli, tratte dall’articolo Il possibile è nel limite

L’ambiente da cui dipendiamo può divenire la fonte di sollecitazione della nostra aggressività appropriativa e distruttiva nel momento in cui scarichiamo paranoicamente la nostra angoscia da finitudine per affermare ad ogni costo una continuità che sappiamo essere impossibile. Intorno a noi vi sono le cose del mondo che divengono oggetto del nostro abuso da estrazione, e mostriamo di perseverare in quella direzione, nonostante le evidenze. Quello stesso ambiente potrebbe divenire il luogo della nostra coevoluzione col sistema vivente. Ma per ora prevalgono le scelte estrattive e distruttive, accompagnate dalla negazione sistematica, con le conseguenze di un’appropriazione diseguale e iniqua, l’ingiustizia sociale diffusa e l’impoverimento di una parte sempre più elevata di popolazioni (2024, doppiozero). 

Ogni oggetto, ogni habitat, ogni sistema vivente e non vivente gioca un ruolo decisivo, in termini esistenziali e non solo sociali, nella vita degli esseri umani; in quest’epoca, scarsa di narrazioni come forze gravitazionali, di orbite narrative (sostenibili e rispettose) capaci di regolare la vita nei giorni, nelle settimane, nei mesi, recuperare il profumo del tempo e il valore dello spazio significa fare i conti con le conseguenze della nostra disattenzione, per rimediare ogni giorno il fatto di aver consegnato «le cose della terra al silenzio, come oggetti in un museo, distillate nelle loro forme pure e ordinate dalle categorie della ragione» (Ingold, 2021, p. 132). 

Riferimenti bibliografici

Del Giudice, D. (2023). Del narrare. Torino: Einaudi.

Ingold, T. (2021). Corrispondenze. Milano: Raffaello Cortina.

Kafka, F. (postumo 1927/1945). America. Trad. it. A. Spaini, Torino: Einaudi.

Mari, M. (2024). Locus Desperatus. Torino: Einaudi.

Riferimenti sitografici

https://www.doppiozero.com/il-possibile-e-nel-limite

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