Sotto una stella cadente
mi sono attorcigliata tra le tue braccia,
con stretta la felpa al corpo,
la cintura alla vita
per stare in quello spazio minuscolo
che il tuo corpo mi donava.
Mi sono trovata di fronte
a un corto ponte
pronta a decidere come agire
controllando se le pile del mio cuore
fossero da cambiare,
ho tralasciato l’incipit della nostra storia d’amore
e devo ancora capire
se essa è iniziata in tragedia;
riferendomi a quando sono rimasta sola
con un filo spezzato al collo
e a mollo il mio sentimento
che prima mi stava seduto dentro.
Sotto quella stella cadente
ho fatto un giro su me stessa
mi sono appuntita i piedi
e ho iniziato a scrivere
una storia che tanto sognavo;
ad ogni inizio capitolo però mi attorcigliavo,
mi faceva male la mano,
l’inchiostro scappava lontano
ed io non mi perdonavo
per i disastri commessi
e terminava tutto in una notte di pianti sommessi.
Mi attorcigliavo alle tue labbra
non le appoggiavo
avevo timore di una fuga,
di un addio inaspettato
perché “aspettare” credevo fosse sinonimo di “amare” ma l’ultima volta l’attesa si è fatta lunga,
il mio orologio si è rotto
e nessuno mi ha colto
ero un fiore morto e secco sull’asfalto
col mio pianto mi idratavo
e per molto non son corsa lontano
ma poi, ad un incrocio
ho incontrato la tua mano
e mi sono attorcigliata ad essa
col male alle spalle e alla schiena
impaurita che al prossimo venir della luna piena
saresti pian piano sparito con lei.
Quando piove mi abbraccio
perché io al cielo grigio piaccio
e cerca sempre di inglobarmi,
di calare una corda
che mi si attorciglia addosso
e dunque ho paura
ma adesso che al posto delle cuffiette
c’è la tua mano
i pensieri vanno lontano
ma i miei piedi appuntiti
continuano a stare fermi
ad un semaforo rotto.
Devo portarti in un posto
ma non so quanto sia lontano,
non ricordo l’indirizzo
di solito l’indizio
lo trovo nelle giornate in cui non so dove andare
e dunque seguo il vento
o il cantar degli uccelli,
o i lampioni più luminosi.
Finisco in un prato
che sembra esistere solo il mercoledì
e mi sembra di sognare,
di amare così tanto
da camuffare quel parco
in cui da piccola ero solita sbucciarmi le ginocchia
forse sono solo diventata grande,
ho comprato delle lenti abbastanza potenti
da offuscare quei ricordi turbolenti
che creano atmosfere da far battere i denti.
Verresti con me?
Seguiresti il sentiero che costruirei per te
sino ad arrivare ad una casa
costruita in legno di bosco
con noci di cocco come piatti
e candele come luce,
letti incorniciati da libri,
pareti disegnate con l’immaginazione,
scaffali pieni di dischi,
piante grasse
e col riscaldamento basso così da attorcigliarci meglio, amarci,
scoprirci
per poi ricoprirci
di una sottile patina di sentimento puro
che spesso vien macchiato
per dipingere fiori eterni sulla schiena
e non dare ascolto alla luna piena,
non badare nemmeno se si fa sera,
continuiamo a tracciare strade con dei sassolini
che ci ricordano la posizione dei nostri nei. Attorcigliamoci,
amiamoci
ma non stringermi troppo
che poi il mio respiro
scappa in fondo alla gabbia toracica
ed io mi ingabbio
nel mio stesso sguardo
mi sento all’interno dell’iride
e cado nella pupilla
e cado così in profondità
da credere di arrivare nell’aldilà
e in verità sto solamente sognando
infatti un attimo dopo sono nel letto,
adagiata sul tuo petto
ma bagnata non dal piacere
bensì dall’incubo
con una piccola candela accesa dentro,
con della cera sparsa per il corpo
che brucia le pareti e essicca i sentimenti,
mi fa battere i denti come prima
ma ti guardo
e attorciglio la mia mano alla tua
ma non si forma nessuna sfumatura
e il tuo sguardo non è più la mia cura.
È tutto buio
e sono attorcigliata a te come una volta
ma senza nessuna stella cadente
per non prendere in considerazione una mia lacrima
che cerca di vincere ad una gara di sci
e viaggia per le montagne del mio corpo.
Ti osservo,
mi attorciglio,
mi impiglio con l’orecchino in un paletto
e mi ritrovo all’ingresso delle mie paranoie
che lasciano ancor più sole
le mie parole.
Ti sto cercando
ma continuo ad impigliarmi
ad inciampare sui sassolini
che avevo accuratamente posizionato
per simboleggiarci
e ti sento ridere
vedo una corda calare dal cielo
ma questa volta esso non è grigio;
vedo un altro buco nero
ma non si tratta nemmeno della mia pupilla,
un’anguilla mi si attorciglia addosso
ed io crollo
non so nemmeno dove sia questo posto
e chiudo gli occhi
per poi riaprirli
continuando a zittirmi.
Mi sei di fronte
ci sono le finestre aperte,
delle foglie secche sparse in giro,
io nuda di fronte a te
attorcigliata al nostro piccolo nido,
al casino che inizio a notare attorno,
al mio viso che sento gonfio di sangue,
alla pelle che brucia,
alla tua bocca che sputa
fino a farmi arrivare un’onda addosso;
sono attorcigliata al tuo corpo
ti sento fino in fondo
cerco la tua mano
con la quale potevo andare lontano
ma ora ho male alla pancia
ed è perché la tua mano
è attorcigliata alla mia guancia.