Ogni primo gennaio inizia con i migliori auspici: “Quest’anno mi iscrivo in palestra”, “Mangio sano, niente più cioccolato”, “Mi sveglio presto ogni giorno per fare meditazione”, “Quest’anno cambio lavoro, non ne posso più”, o ancora “Da quest’anno mi metto a dieta”. Promesse solenni, che però spesso si dissolvono come la nebbia al sole. Verso la metà del mese, il tapis roulant diventa un ottimo appendiabiti e i biscotti integrali cedono il passo a torte al cioccolato. Eppure, dietro questi proclami leggeri si cela qualcosa di più profondo: la volontà di prepararsi ad un nuovo inizio, di partire. Partire verso una nuova versione di noi stessi, verso un ideale di cambiamento che ci appare tanto allettante quanto sfuggente.
Partire, in psicologia, non è solo un atto fisico. È una metafora potente per descrivere il movimento verso il cambiamento e la trasformazione. Carl Gustav Jung considerava il viaggio, e quindi la partenza, come una delle più grandi immagini archetipiche. Il viaggio è la ricerca del Sé autentico, un percorso che conduce a confrontarsi con le ombre del proprio inconscio. Quel Sé che definiamo autentico fa i conti con la provvisorietà e la contingenza di ogni presunta autenticità, in quanto sempre sottoposta alla relatività e alla repentina usura del confronto con altre autenticità, senza le quali nessuna autenticità potrebbe mai darsi.
Jacques Lacan, invece, ha dato una lettura più complessa e meno lineare della partenza. Per Lacan, partire significa confrontarsi con il “Reale”, quella dimensione della vita che sfugge alla rappresentazione simbolica e che ci pone di fronte all’ignoto. La partenza non è un semplice “arrivederci”, ma un atto di rottura, un taglio simbolico con le abitudini e le certezze.
Nel pensiero lacaniano, la partenza può essere compresa attraverso tre registri fondamentali: il Simbolico, l’Immaginario e il Reale. Quando decidiamo di partire, sia metaforicamente che fisicamente, ci muoviamo innanzitutto nel registro del Simbolico, il regno del linguaggio e delle regole sociali. Ad esempio, i buoni propositi di inizio anno sono espressioni simboliche che costruiamo per dare ordine al caos delle nostre vite.
Dietro a questi simboli, tuttavia, si nascondono immagini più profonde, come l’idea di una versione ideale di noi stessi. L’immagine ideale è sempre una costruzione, un riflesso che non coincide mai con la nostra vera essenza. La tensione tra l’immagine ideale e la realtà è spesso fonte di frustrazione. Allo stesso tempo è proprio quella tensione mai realizzata e forse mai realizzabile che contiene l’origine del senso dell’essere che sta nel divenire.
Il Reale, invece, è ciò che si manifesta quando il nostro piano di partenza fallisce. Il tapis roulant trasformato in appendiabiti, il ritorno al cibo spazzatura: sono momenti in cui il Reale emerge, mostrando il limite delle nostre costruzioni simboliche e immaginarie. Lacan ci invita a non evitare il confronto con il Reale, ma a riconoscerlo come parte integrante del viaggio. Se non lo facessimo, come oggi spesso accade, sprofonderemmo nell’immaginario che ci fa ritenere narcisisticamente atleti compiuti sempre in movimento, eroi fisici in perfetta forma e linea, che hanno smarrito la capacità di fare i conti con il Reale, di fare un esame di realtà.
Freud sottolineava l’importanza della fase preparatoria. Ogni partenza implica un’elaborazione inconscia: desideri, paure e resistenze si intrecciano, influenzando il successo o il fallimento del nostro viaggio. Ad esempio, la procrastinazione e l’autosabotaggio che spesso accompagnano i buoni propositi sono segnali di conflitti inconsci.
Per Lacan, la preparazione è un momento in cui il soggetto deve confrontarsi con il proprio “Desiderio”. Partire significa, in fondo, interrogarsi su ciò che si vuole veramente. Ma il desiderio è sempre mediato dall’Altro: spesso i nostri buoni propositi non sono autenticamente nostri, ma rispecchiano aspettative sociali o familiari. La vera preparazione consiste quindi nel discernere tra ciò che desideriamo veramente e ciò che ci è stato imposto.
Dell’altro, di quello che Lacan chiama “il grande Altro”, del resto non possiamo fare a meno, non perché se volessimo potremmo, ma semplicemente perché è nel confronto con l’Altro che individuiamo noi stessi. Per certi aspetti, quindi, partiamo ogni volta che incontriamo l’altro e nel movimento di approssimazione, a volte difficile, a volte coinvolgente, a volte doloroso, riconosciamo noi stessi.
In una società sempre più orientata al cambiamento e alla performatività, la partenza assume nuovi significati. Il desiderio di migliorarsi è spesso strumentalizzato dal marketing e dalla cultura della produttività. In questo contesto, le riflessioni di Lacan e Freud ci invitano a recuperare un senso autentico della partenza, lontano dalle pressioni esterne.
Le teorie più recenti, come quelle di Irvin Yalom, sottolineano il legame tra la partenza e l’ansia esistenziale. Ogni nuovo inizio ci pone di fronte alla nostra finitezza: partire è un atto di speranza, ma anche un riconoscimento implicito della nostra vulnerabilità. Quella vulnerabilità, del resto, è la sola capace di renderci accessibili, raggiungibili, penetrabili dalle opportunità che incontreremo lungo il cammino di attraversamento che ogni partenza comporta, indipendentemente dalla più o meno effettiva raggiungibilità della meta. È nella direzione più che nella meta che sta il senso di ogni partenza.
Torniamo quindi ai nostri buoni propositi abbandonati. Forse non siamo riusciti a mantenere le promesse, ma è importante riconoscere che anche solo immaginarle è già una partenza. Come direbbe Lacan, non importa se siamo inciampati nel Reale: l’essenziale è aver tentato. E chissà, forse il tapis roulant come appendiabiti è solo un simbolo: un modo per dirci che il vero viaggio non inizia con i passi, ma con il desiderio di muoversi. Il senso della partenza, forse non sta né nel luogo da cui partiamo, né nel luogo in cui vorremmo giungere, ma nel movimento che ci porta ad attraversare quello spazio. In quel “tra” e nel suo darsi si genera il senso di noi che diveniamo cercando noi stessi. Il senso, probabilmente, è nella partenza e nel viaggio più che nella meta.
Non ci resta che provare. Di nuovo.
Buon Anno!