Emilia è giovane quando compie quell’atto che, per tutto il romanzo, non viene mai nominato – prima gli si gira attorno, lo si intravvede, e infine viene descritto nei dettagli, ma non viene mai detto col suo nome. Per questo atto, Emilia passa in carcere tutta la sua adolescenza. Mentre fuori, in Via del Pratello a Bologna, corrono le biciclette e il vociare degli aperitivi e il profumo dei fritti si mescola all’odore dello smog, lei è dentro, a vivere una normalità del tutto estranea alla città e alla maggioranza dei suoi residenti. Le abitanti di quel microcosmo carcerario accedono al fuori solo spiandolo dalle inferriate, o lanciando bigliettini per costruire un gioco d’amore a distanza col ragazzo del balcone di fronte, oppure attraverso le rare uscite, che finiscono in ciondolamenti in piazza con canne e alcol proibiti, trasgressioni in una realtà in cui il confine tra dentro e fuori è una porta blindata chiara e inequivocabile. Per le persone che ci vivono, quel dentro è tutto il mondo, e sono i confini di quella realtà a definirle e a dire loro chi sono: delle assassine, delle rapinatrici, delle spacciatrici. Forse è per questo che, una volta fuori, Emilia sente che il male che ha compiuto non è rimasto lì, ma è dentro di sé, in quel cuore nero che sta al centro di sé stessa. Non se ne può liberare, ma può tenerlo chiuso a chiave, fare in modo che nessuno lo veda e andare a cercare sé stessa da un’altra parte, fuori da sé, perché dentro di sé sa già che cosa c’è, e non lo vuole recuperare. Si rifugia in un paese remoto tra le montagne, un luogo della sua infanzia in cui, lei crede, i titoli di giornale con la sua fotografia non sono arrivati. Ha più di trent’anni, ma si comporta come l’adolescente che non è mai stata. È capricciosa, scontrosa, provocatoria, ribelle quasi a tutti i costi, soprattutto con le persone che provano a volerle bene.
Di fronte a Emilia, nella stessa manciata di case, vive Bruno. Come Emilia, anche lui si è rifugiato in quel luogo per cercare di gestire una ferita che però, al contrario di lei, non ha inferto ma subìto. Inizialmente è molto facile, per loro due, trovare nell’altro una compagnia reciproca, un liquido per colmare la propria solitudine e sentirsi finalmente di nuovo vivi, ebbri della possibilità di lasciarsi attraversare da emozioni per lunghi anni, e per motivi diversi, a entrambi precluse. Ma è proprio sul nucleo fondativo del loro strano patto relazionale – stiamo insieme, ma non chiediamoci mai nulla del nostro passato – che si spezza l’idillio quando diventa chiaro che la loro storia non può andare avanti senza esplorare quella domanda che per Emilia è la più spaventosa di tutte: chi sei? Per quanto sia doloroso per entrambi, è solo guardando nello specchio dell’altro che Emilia e Bruno possono provare a rispondere a questa domanda e capire fino a che punto sono disposti ad accettare la verità dell’altro. E ad amarlo, di un amore che o è affidarsi e accogliersi incondizionatamente, o non è.