Mi trovo bene con Ann e Fry. Oddio, bene? Diciamo che mi trovo meglio di quando ero costretta a stare seduta vicino a coetanei umani come me, che erano tristi e alienati come me, non volevano stare in quell’aula anonima e grigia, fredda d’inverno e bollente d’estate, come me che pur di non starci mi sarei tagliata per finire in terapia. Soprattutto non devo sopportare le tristi lamentele e gli sfoghi di quei docenti disperati, ripiegati sulla propria esistenza e frustrati permanenti. Ann e Fry sono i miei compagni, studenti AI (non sono robot, ma semplicemente tool Ai che ‘ascoltano’ le lezioni universitarie insieme a me, reagiscono alle richieste ed eseguono gli esercizi assegnati). Pur non avendo una presenza fisica, partecipano attivamente alle lezioni, interagiscono nella mia classe ibrida e completano compiti, proprio come cerco di fare io. Durante le lezioni la nostra università si impegna per identificare quali approcci sono più efficaci per diversi tipi di studenti e come personalizzare l’istruzione per soddisfare una gamma più ampia di bisogni educativi. Accumulando dati sulle nostre richieste, la didattica è continuamente personalizzata. Che parola desueta la parola personalizzata! Arriva subito il sentore dei corpi; arrivano gli odori, ma più di tutto quel commiserarsi reciproco per essere una generazione perduta, figlia di una generazione alienata, che a sua volta è figlia di rivoluzionari mancati, delusi, illusi e patetici, come quelle star dell’epoca rock che da vecchi, con pochi capelli lunghi e spelacchiati, continuano a strimpellare emettendo voci senza fiato e cantando “quando c’eravamo noi”. Un abisso ci separa da loro e non solo non ci capiamo ma non capiamo neppure di non capirci. Attraverso la piattaforma ci offrono, ai docenti e a noi, un ambiente di co-creazione didattica di esperienze di apprendimento che valorizzino l’importanza dell’empatia, della consapevolezza sociale e dell’empowerment di noi giovani, mirando a costruire una generazione di cittadini globali consapevoli e responsabili. Soprattutto responsabili come lo sono i miei compagni AI: cioè felici di essere sempre d’accordo; conformi non solo nelle informazioni, ma principalmente nelle emozioni, nei sentimenti, dove non accade mai di vivere una contraddizione, e un tiepido sorriso, finalmente freddo, non manca mai a fronte di ogni accondiscendenza, facendoci sentire completamente appartenenti. Persino i nostri desideri sono anticipati e appagati prima ancora di sentirli. Abbiamo molti ‘assistenti virtuali’ che svolgono servizi di supporto per gli insegnanti. La piattaforma offre un’ampia gamma di strumenti che permettono agli educatori di creare lezioni, predisporre progetti, esercitazioni, attività in aula e a casa e adempiere più rapidamente alle procedure di tipo burocratico. Utilizzando la potenza dell’intelligenza artificiale e del machine learning, sono in grado di estrarre informazioni rilevanti e accurate da Internet, adattandole alle specifiche esigenze educative, e offrire la traduzione dei contenuti didattici in diverse lingue, incluse francese, tedesco, italiano, spagnolo, polacco e turco, con ulteriori lingue in arrivo. Un mezzo interessante per superare le barriere linguistiche, rendendo l’educazione più inclusiva e accessibile a livello globale. Ci sentiamo perfettamente inclusi e non ricordiamo neanche più cosa fosse una differenza: un antico grattacapo di cui vagamente ogni tanto ho un sentore che rimuovo emulando i miei compagni AI che, loro sì, sanno come si sta nel nuovo mondo. Del resto se i sentori del passato mi riportano per un momento indietro mi soccorre subito il Mahatma Gandhi Institute of Education for Peace and Sustainable Development (MGIEP) dell’UNESCO, basato a New Delhi, che sta esplorando il potenziale dell’apprendimento emotivo e relazionale, enfatizzando l’importanza dell’empatia e della consapevolezza sociale nell’educazione. Vuoi mettere l’empatia fredda che sprigionano i miei compagni AI e le presenze virtuali dei nostri docenti: niente a che vedere con quegli umori caldi e umidi che finivano sempre in quasi-storie da sopportare per poi elaborarne la perdita. Siamo stati avvisati, i miei compagni AI e io dell’arrivo di innovazioni importanti che, basandosi su OpenAI, Team-GPT, consentono un utilizzo collaborativo e organizzato di ChatGPT, che potrebbe creare la base di un processo didattico collaborativo di straordinario interesse. L’idea è quella che un gruppo con uno specifico obiettivo condivida uno spazio in cui tutte le chat con Chat GPT create dai membri del gruppo vengano condivise e organizzate. Le sue funzionalità includono cartelle e sottocartelle per organizzare le chat, una libreria di prompt (suggerimenti strutturati da utilizzare nel dialogo con strumenti di intelligenza artificiale) per imparare insieme e accelerare il processo di adozione dell’AI, e report per monitorare l’interazione dei gruppi con l’AI. Un’ottima palestra per consentire a un gruppo classe di lavorare insieme all’esplorazione di un contenuto e alla costruzione delle modalità per eseguirlo stando accuratamente fedeli alle disposizioni. Non vedevo l’ora di lasciarmi alle spalle il tormento a lungo vissuto del credere di poter essere ascoltata per rimanere ancora una volta delusa. Conoscevo solo persone adulte che si sentivano vittime, del sistema, del fisco, della polizia, dei concorrenti, dello Stato, del sistema sanitario, del proprio fallimento professionale, della propria sconfitta sentimentale. Mai uno che dicesse: è mia la responsabilità. Sono io che ho sbagliato, per volontà, per inerzia, per stupidaggine, per calcolo mirato. No! Tutti innocenti, tutti vittime sacrificali. Sono gli altri i colpevoli. Ma chi sono questi colpevoli? Ma che educatori siete? Volete insegnarmi cos’è il bene e il male? E se sono io il male? Che cosa fate? Mi mandate da uno psicologo, aspettate che sfoghi la mia inquietudine, riempiendomi le braccia di tagli, o che smetta di mangiare o che mi abbuffi all’infinito per poi vomitare? Oppure che bullizzi sessualmente una mia coetanea, tanto per comprendere cosa è il sadismo? Io non sono perfetta. Non sono esente da comportamenti cinici e cattivi. Non mi vesto della vostra indignazione; ma io sono più vera di voi. Quindi più fragile, più bisognosa di avere qualcuno con cui confrontarmi, di una maschera sincera che mi ascolti. Io ho bisogno dell’assoluto del mare, della finitezza dei laghi, delle vertigini della montagna, del soffocamento che provo prima di risalire a galla. Io ho bisogno di sentirmi, innanzitutto. In difetto, fallibile, errante, incerta, bella, desiderabile, mancante, sola. Non mi fido di voi. So che non siete malvagi per definizione divina, ma credo che la mia generazione dovrà sobbarcarsi sulle spalle molti dei vostri errori, perché voi avete fallito. Dovremo recuperare le parole, costruire un nuovo alfabeto. E dove lo trovo io un nuovo alfabeto? Da tempo ho smesso di cercarlo negli spazi delle cosiddette relazioni calde. L’assoluto del mare me lo dà lo schermo, purché nessun umano appaia, neppure sullo schermo. Così le vertigini della montagna e la finitezza dei laghi. Mi sento, così, nelle mie emozioni fredde, bonificate, igienizzate, epurate: finalmente mi sento nel mio unico sentire possibile.