Entrare nel mondo del lavoro è sempre stato un momento carico di emozioni, aspettative e timori. Ma le paure e le sensazioni che accompagnano il primo impiego di un cinquantenne odierno, vissuto trent’anni fa, si differenziano profondamente da quelle che prova un ventenne oggi.
Negli anni ’80 e ’90, un giovane al suo primo impiego affrontava il cambiamento con un misto di entusiasmo e apprensione.
La principale preoccupazione era legata al peso delle responsabilità. I giovani temevano di non essere all’altezza delle aspettative dei datori di lavoro o di non riuscire a mantenere gli standard richiesti. Inoltre, il passaggio dalla scuola al lavoro segnava un netto cambio di vita, spesso con la percezione di un impegno a lungo termine.
C’era però un grande senso di sicurezza. Il lavoro veniva vissuto come una conquista stabile, una base da cui partire per costruire la propria vita adulta. Si percepiva un certo orgoglio nell’essere autonomi, e spesso il primo stipendio era un simbolo di indipendenza economica e maturità.
Per i ventenni di oggi, il primo lavoro si carica di emozioni molto diverse, influenzate da un contesto economico e culturale in rapido cambiamento.
La paura più diffusa oggi è quella dell’instabilità. La precarietà lavorativa, con contratti a termine o part-time, crea un senso di incertezza sul futuro. Molti giovani temono di restare “bloccati” in impieghi temporanei senza prospettive concrete di crescita. Inoltre, c’è la paura di non riuscire a trovare un lavoro in linea con i propri studi o ambizioni, un aspetto che alimenta ansia e senso di inadeguatezza. Vi è anche una paura che accomuna le due generazioni ovvero l’inadeguatezza rispetto alle aspettative riposte nella persona dal datore di lavoro che possono essere superiori alle capacità che ognuno di noi si riconosce.
Accanto alla paura, c’è anche una grande curiosità verso le opportunità che il mondo globale e tecnologico può offrire. La varietà di proposte offerte dal villaggio globale porta i giovani, con la loro incoscienza, tipica dell’età, a saper di poter avere variegata pletora di possibilità; anche lontane dal luogo di provenienza. Ma a differenza di un ragazzo di ieri, che viveva un forte disagio quando ad esempio doveva andare in una città vicina per assolvere al servizio militare, oggi non si vive più un disagio ma una emozione positiva anche se l’opportunità trovata implica andare a lavorare in un altro Stato.
I giovani sentono il bisogno di trovare un lavoro che dia significato, non solo un reddito. Tuttavia, questo desiderio spesso si scontra con la realtà di dover accettare lavori non sempre soddisfacenti pur di iniziare un percorso e/o soddisfare delle necessità.
La società di ieri attribuiva un valore quasi assoluto alla stabilità lavorativa e al sacrificio personale. Per questo, il primo lavoro era accompagnato dal timore di “fallire”, ma anche dalla rassicurazione di percorsi ben tracciati.
La società di oggi mette invece una forte enfasi sulla realizzazione personale e sulla flessibilità. Questo crea un mix di pressioni, spingendo i giovani a essere creativi e resilienti, ma lasciandoli anche spesso senza una rete di sicurezza.
Il primo lavoro, in ogni epoca, porta con sé paure ed emozioni universali: il timore di non essere all’altezza, ma anche l’eccitazione per ciò che verrà. Ciò che è cambiato è il contesto: gli odierni cinquantenni affrontavano la stabilità come un obiettivo, mentre i ventenni di oggi si confrontano con l’incertezza e la ricerca di senso. Riconoscere queste differenze può aiutarci a costruire un futuro del lavoro più equilibrato e inclusivo, capace di rispondere alle esigenze emotive delle nuove generazioni.