Stefania, Gaetano, Erasmo, Francesco, Giacomo, Vincenzo, Danilo, Mimì, Emiliano. Sono loro alcuni dei tanti protagonisti che fanno vivere la Cooperativa Sociale “Al di là dei sogni” – presieduta da Simmaco Perillo – una splendida realtà nel casertano, a Maiano di Sessa Aurunca, pochi passi dalla Baia Domizia e dal Lazio.
Territori in cui, anni fa, imperversava la criminalità organizzata con le lotte tra clan e la guerra tra la NCO – nuova camorra organizzata – di Raffaele Cutolo e la Nuova Famiglia di Antonio Bardellino, già fondatore del clan dei casalesi. Una scia infinita di morte, sospetti, corruzione, individualismo, inquinamento ambientale, io egocentrico. L’esatto contrario di ciò che si respira nella Cooperativa “Al di là dei sogni” che, non a caso, sorge in un bene confiscato al clan Moccia e dedicato ad Alberto Varone, vittima innocente di mafia: vita, speranza, economia civile, relazioni, valorizzazione del territorio, noi collettivo.
«La cooperativa sociale “Al di là dei Sogni” nasce per perseguire, da un lato, lo sviluppo del benessere psico-fisico delle persone dal punto di vista socio-assistenziale e sanitario e, dall’altro, realizzare attività servizi che hanno come finalità prevalente l’inserimento formativo e lavorativo delle fasce svantaggiate. Al centro di ogni intervento sia di carattere assistenziale, riabilitativo, educativo, che di inserimento lavorativo c’è sempre la persona nella sua comunità locale, la persona con il suo vissuto, la sua storia, le sue relazioni, le sue abilità, la sua “casa”; è così che la “cura” si trasforma in “abitare la quotidianità” e l’ambiente, nelle sue dimensioni esistenziali di tempo, spazio, relazione, in una sorta di “ambiente terapeutico globale”».
È qui, in questa realtà, che si ricompongono, le storie delle persone, ricucendo relazioni sfilacciate dalla fatica. È qui che ci si prende cura delle persone, soprattutto adulti svantaggiati, che arrivano da percorsi di tossicodipendenza e riabilitazione, dall’abuso di alcool e psicofarmaci, dal mondo del carcere e della salute mentale e che hanno scelto di ri-attivarsi per immaginare un futuro possibile insieme agli altri, partendo dai propri bisogni e facendosi accompagnare nell’inserimento lavorativo. È qui che le persone possono riaccendere la luce per scacciare il buio che le aveva inghiottite. È qui che tante piccole tessere, qualcuna anche con qualche ammaccatura che la rende unica, trovano la forza e il coraggio di ricomporsi in un meraviglioso mosaico di speranza a dignità. È qui che le persone tornano protagoniste delle loro storie all’interno di una storia collettiva fatta di progetti e sogni. È qui che si è scelto, in modo laico, di abbandonare il pregiudizio e sospendere il giudizio, facendosi prossimo, come insegnava Carlo Maria Martini del quale, oggi 31 agosto mentre scrivo, ricorre il dodicesimo anniversario della scomparsa: «Prossimo non è colui con il quale ho già rapporti di sangue, razza, affari, affinità. Prossimo si diventa nel momento in cui davanti a un altro uomo, che sia forestiero o persino nemico, si decide di fare quel passo che avvicina, che approssima». È così che si incontra davvero la persona, con il suo carico di dolore, paure e speranze.
La Cooperativa è quindi un mosaico di storie e persone, dove il muro delle differenze si è sbriciolato e dove la livella di Totò è arrivata quando c’è ancora tempo per capire che siamo tutti uguali, che tutti abbiamo delle fragilità, che la disabilità, in questo tempo del delirio di onnipotenza, può insegnarci il valore fondamentale del senso del limite facendoci capire quanto la dipendenza dall’altro sia la dipendenza che tutti dovremmo cercare. È per questo che in “Al di là dei Sogni” è impossibile distinguere i beneficiari dei servizi, perché l’ingrediente segreto di questa utopia è che nessuno è oggetto né erogatore di cura: qui tutti si prendono cura di tutti e ognuno si prende cura del posto, dell’ambiente e del territorio. È il bene comune che si è fatto uomo.
Il valore centrale di questa Cooperativa è il progetto di vita della persona all’interno del quale il lavoro non è tutto ma certamente una parte fondamentale: pulizie, accoglienza, impegno nei campi o in cucina, cura degli animali. Qui, grazie a un impianto di trasformazione all’avanguardia, si producono confetture, creme, verdure sott’olio e altre specialità, esaltando le peculiarità e la bontà dei prodotti tipici e biologici coltivati sul posto. Parallelamente si svolgono anche attività di ospitalità, grazie alle bellissime camere dell’agriturismo, si sperimentano attività e servizi in grado di coniugare il turismo enogastronomico e le bellezze del territorio con un turismo dei valori che racconta le storie e i volti delle persone che lo abitano, le tradizioni, il folclore e si offrono attività didattiche e ludico-educative pensate quale luogo pedagogico vivente in cui i bambini possono giocare nella natura a contatto con la biodiversità e “imparare facendo”. Attraverso il lavoro quindi ognuno trova il proprio ruolo, il proprio posto nella società, la propria motivazione, la propria libertà che gli consente di costruire un’alternativa per spezzare le catene che gli impedivano di camminare vero un orizzonte di possibilità. In altre parole «ci si prende cura delle persone solo prendendoci cura dei territori e nello stesso tempo i soggetti che animano un territorio diventano parte integrante del progetto riabilitativo della persona fragile».
Come sostenevo con Rosario Iaccarino sul numero di Passione e Linguaggi del maggio 2022 (“Né impego, né merce: il lavoro come linguaggio della trasformazione sociale”), il lavoro è una cosa seria: è costruzione della persona, dei suoi valori, della sua soggettività. Occorre recuperarne il senso, la motivazione. Il lavoro non è un fatto tecnico ma esistenziale. E quindi il lavoro va ripensato dal lato del suo significato soggettivo intersoggettivo, emancipativo, relativo, realizzativo perché il lavoro è ancora fonte di riconoscimento sociale per ogni persona.
È così che nei prodotti realizzati dalla Cooperativa “Al di là dei Sogni”, oltre alla bontà delle prelibatezze contenute, si assapora il gusto impagabile del lavoro, delle relazioni che fanno stare bene e della ricchezza redistribuita al territorio.
Una prospettiva di bene vicendevole capace di costruire una comunità operosa dove ciascuno possa trovare il suo posto e la sua realizzazione, esprimendo l’unicità del proprio talento. Il lavoro e il welfare di prossimità sono le condizioni per l’autonomia, l’integrazione sociale e la cittadinanza attiva. Un propulsore di questa progettualità arriva certamente dal budget di salute, una metodologia innovativa, che in Campania è regolata per legge, che consente di praticare inclusione dei soggetti fragili, sostenendo attività per valorizzare il bene pubblico come, ad esempio, i beni confiscati.
Il budget di salute, nato da un’intuizione di Angelo Righetti, psichiatra già collaboratore di Franco Basaglia, è la riconversione dei costi utilizzati per sostenere l’assistenzialismo dei fragili, in percorsi produttivi e di lavoro che agiscono sui determinanti della salute: casa, lavoro, affettività. Una via per inserire le persone fragili nella società, nella comunità, nel mondo del lavoro, generando economia civile e sostenibile. Un netto cambio di paradigma che passa dal concetto di sanità a quello di salute, in altre parole: welfare. Il budget di salute è un investimento sulla persona fragile che, quindi, non viene più vista come l’oggetto a cui destinare interventi passivi di assistenzialismo, che prevedono solo ricovero, costrizioni e terapie, bensì come individuo portatore di valori e produttore di senso. La persona, quindi, non è identificata con la sua diagnosi ma viene considerata nel suo insieme e nella sua dignità. In questo modo si scommette sulla prognosi positiva, cioè sul fatto che queste persone “possano guarire” e reimpossessarsi della propria vita. E quindi le persone rifioriscono, tornano a stare bene, a essere in salute. Si levano di dosso l’etichetta che fino a quel momento li aveva definiti: malato mentale, depresso, detenuto, tossico, per poter finalmente, ritrovare il proprio nome e insieme al nome la propria storia dandole una direzione diversa. Oggi quelle persone hanno varie responsabilità nella Cooperativa. Ecco ciò che fa “Al di là dei Sogni”: restituire diritto, cittadinanza, singolarità e cura. Che era ciò che aveva contraddistinto il sogno rivoluzionario di Franco Basaglia e, a cent’anni dalla sua nascita, tutto ciò fa emozionare ancora di più.
È in questa realtà, in questo modo di immaginare un futuro possibile, che nasce una nuova idea di lotta alla camorra che si fonda sulla cura delle persone e, quindi, del territorio, arrivando a riempire di speranza, futuro, socialità e relazioni quei vuoti che prima erano occupati, abusivamente, dalla criminalità organizzata. Pensare di contrastare la camorra insieme ai fragili aggiunge un pizzico di follia a questa fantastica storia. «Noi – come spiega Righetti – siamo un impacco di follia e ragione e nel momento in cui aboliamo la follia con la ragione stiamo tagliando la possibilità di poterci esprimere. Questa è stata la deistituzionalizzazione» e questo è il motivo per cui la follia è quella carica che ci fa dire, anche davanti a situazioni tanto complicate da sembrare impossibili, “si può fare!”.
Un impegno che deve necessariamente essere allargato specie in un Paese in cui le disuguaglianze si ereditano. Nascere in una famiglia con scarse possibilità economiche o in un territorio depresso, con pochi servizi e poche opportunità, coincide con un’alta probabilità di vivere una vita che, per certi versi, può rivelarsi faticosa. È la lotteria della nascita che assegna privilegi e miserie a caso, senza meriti né colpe. È bene, quindi, che coloro che si sono ritrovati in mano la vincita, senza nemmeno aver comprato il biglietto, si rendano consapevoli di tale privilegio e si attivino per costruire pari opportunità, cosa ben diversa dai pari trattamenti perché, come diceva don Lorenzo Milani, «fare parti uguali tra disuguali è la più grande delle ingiustizie». In fondo ce lo chiede anche l’articolo 3 della nostra Costituzione, forse il più bello, certamente uno dei più traditi. In una società senza pari opportunità non può mai esserci meritocrazia. Quando sentiamo parlare di valorizzazione del merito, non neghiamolo, almeno in prima battuta, ci appassioniamo. Ma, appunto, quella del merito rischia di essere una trappola che può trascinarci, estremizzando – ma non troppo – il concetto, nell’accettare che chi ha soldi, guadagni e benessere è perché lo ha meritato. Viceversa, chi non ha, o non raggiunge risultati, o ha avuto vari inciampi, è perché non si impegna, se l’è cercato e, quindi, merita povertà, frustrazioni, bocciature, licenziamenti.
Una deriva mercantilista, capitalista e, anche, consumista – che ci spinge a consumare cose e persone – che ci sta insegnando a dare valore solo a ciò, o a chi, produce un valore economico, efficienza, produttività. Dentro questa logica non c’è spazio per disabili e fragili che, infatti, si vorrebbero imprigionare in una nuova forma di istituzionalizzazione fatta si qualche sussidio e ricovero, facendo partecipare solo chi è in grado di produrre un valore economico per come lo intende la nostra società.
Ma attenzione, è un attimo trasportare questo concetto anche al welfare: chi non ha successo, chi non ha lavoro è perché non si impegna, è un “lazzarone”, uno “sdraiato sul divano”. Chi ha successo merita tutto, anche la salute. Chi non ha nulla, che si arrangi! In fondo se lo merita, non si impegna. Se si impegnasse, ce la farebbe. Una logica che ha impregnato anche la sinistra. Obama ci spronava: «you can make it! If you try! » (puoi farcela! Se ci provi!). Dentro questa logica ci si dimentica di pensare a come aiutare chi non ce l’ha fatta.
Diciamo la verità, i poveri, gli ultimi e i fragili, ci danno fastidio, meglio non vederli.
Invece, come ricorda ancora Righetti, «senza dare valore a ciò che scartiamo non esiste valore per il resto. Il nostro valore è quindi dentro lo scarto, dentro le fragilità. La nostra bellezza è lì dentro ed è lì che va sviluppata». Un impegno incastonato dentro la Cooperativa Sociale “Al di là dei Sogni” dove ogni giorno si dimostra che un nuovo modo di produrre, lavorare, stare insieme, è possibile. Si può persino cambiare il mercato se si cambia la modalità di starci dentro. È persino possibile uscire dalla logica dell’assistenzialismo, tornando a generare senso. Qui si è riusciti a passare dal linguaggio neoliberista del merito e della competizione al linguaggio della Costituzione della cittadinanza attiva e della partecipazione, infrastrutturando nella logica cooperativa un modello che funziona e che è alternativo al meccanismo perdente e sempre al ribasso, purtroppo diffuso, che ha scaricato sulle cooperative la riduzione del costo del lavoro del “profit” e le inefficienze dello stato sociale.
Ribaltare il campo di gioco è quindi possibile. La Cooperativa “Al di là dei Sogni” ha investito sui fragili, rendendo gli scarti pietra angolare di un’economia civile capace di prendersi cura delle persone e, quindi, del territorio.
È bene ricordare che ci sono altre realtà come la Cooperativa “Al di là dei Sogni”, nate dalle relazioni e dalla condivisione progettuale tra i protagonisti che le animano. Infatti tra gli obiettivi della Cooperativa c’è il proporsi «come “organo di senso” del territorio, capace di captarne esigenze e bisogni e di trasformarli in attività e iniziative di sviluppo locale e di microeconomia sociale, attraverso la metodologia del lavoro di rete con altre organizzazioni e associazioni del territorio con cui si realizzano attività di promozione ludico-ricreativa, sportiva, educativa, sociale e progetti di promozione e valorizzazione delle nostre comunità e del nostro “milieu” locale». È bello pensare, e sentirsi parte, di una rete vitale di soggetti impegnati nel prendersi cura della felicità delle persone, un valore difficile da misurare ma da cui dipende il benessere vero di un Paese e le possibilità di realizzare una società inclusiva fondata sulla solidarietà e la prossimità.
Inoltre da qui, ogni anno, da giugno ad agosto, passano centinaia di giovani impegnati in “E!State Liberi!”, i campi di impegno civico promossi da “Libera, Associazioni, nomi e numeri contro le mafie”. Una grande occasione per promuovere questo tipo di impegno e valorizzare il ruolo delle nuove generazioni perché la cultura è politica e la spinta può arrivare, ancora, dal Terzo Settore che, come lo definisce don Virginio Colmegna, è « un capitale enorme, nel nostro Paese: è tutta l’energia sociale, culturale, di partecipazione, di cura dell’ambiente nella sua complessità. Un capitale di relazioni e sapere che impropriamente chiamiamo Terzo settore, ma è soprattutto gente. Gente che si impegna in imprese sociali, cooperative, ma soprattutto nel mettere a disposizione di tutti il valore della solidarietà. La solidarietà, carica di questa energia, è un patrimonio che va investito nella Politica. La Politica con la “P” maiuscola».