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SIRIA

Autore

Lavinia Mainardi
Laureata in filosofia con una tesi in estetica nell'anno 1994 presso l'Università degli studi di Bologna, Lavinia è una curiosa, ambientalista, studiosa di estetica e di filosofia del paesaggio, semiotica, iconologia, iconografia e visual studies

Introiettata ormai la benjaminiana riproducibilità tecnica dell’opera d’arte all’interno di un orizzonte in cui l’accelerazione tecnologica e le rinnovate epistemologie ad essa connesse hanno determinato quello che W.J.T. Mitchell definisce pictorial turn, uno spostamento cioè dal testuale al visivo del discorso estetico, sui cui si basa l’approccio metodologico della  visual culture, in cui alle immagini si attribuisce anche  un’agentività dalle molteplici implicazioni e nella consapevolezza, individuata da Michel Foucault, dell’alterità di alcuni luoghi che -nel distaccarsi dal contesto sociale e farsi eterotopie- si caricano anche di valenze strategiche e quindi necessariamente geopolitiche, si può tentare di leggere sub specie semiotica il genocidio culturale perpetrato ai danni del patrimonio archeologico siriano. Farlo all’interno della cosiddetta guerra delle immagini, se da un lato significa cercare nel furore iconoclasta spesso propagandato e nell’ ostentata devastazione una sorta di soft power, dall’altro permette di elevare la forma mediatica ad unica testimonianza -altrimenti silenziosa- della damnatio memoriae subita da intere città, musei, siti che va a sovrapporsi ad una dolorosa quanto indignata pietas per un’intera regione, quella vicino orientale- devastata dai conflitti. Scrive sempre W.J.T. Mitchell “il terrore è anche la combinazione deliberata della semiotica e dell’estetica dell’inimmaginabile con quella dell’impronunciabile”, in una prospettiva che Michele Cometa connette alla Susan Sontag di “Davanti al dolore degli altri” e al saggio di Georges Didi-Huberman, incentrato sulle fotografie dei campi di concentramento,” Immagini, malgrado tutto”.

Aggiunge Paolo Brusasco in “Dentro la devastazione, l’ISIS contro l’arte di Siria e Iraq”: “Per quanto venata di elementi della stessa ideologia wahhabita che ha portato alla distruzione delle sculture del Museo di Mosul, la spettacolarizzazione e la messa in scena di distruzioni con effetti così teatrali, come quelli provocati dall’uso di esplosivo, potrebbe -nelle parole dello storico d’arte Dario Gamboni- considerarsi a tutti gli effetti un modo di comunicazione di per stesso, anche se l’oggetto colpito possiede una propria valenza espressiva e comunicativa”. 

Per evidenziare questo aspetto visivo della distruzione si è scelto, metonimicamente , di soffermarci sul mosaico, proprio perché, e per la sua flagranza visiva, per la connotazione altamente simbolica e la relativa urgenza iconologica, legata anche alla composizione per tessere e alla forte bidimensionalità, può assurgere a paradigma di quella ricorrenza del visivo cui si oppone una feroce iconoclastia spesso pregna di significati ideologici fortemente radic alizzati.

Nel marzo del 2011, sulla scorta delle cosiddette primavere arabe, anche in Siria -governata dal 2000 da Bashar al-Assad successo al padre in qualità di presidente e segretario della principale forza politica il partito Baath- si assiste ad una contestazione giovanile del carattere autoritario e fortemente marcato dalle diseguaglianze socioeconomiche del potere centrale, repressa violentemente, fino a sfociare, con la creazione in settembre -da parte dei ribelli e da frange di disertori- dell’Esercito Siriano Libero (FSA), in autentica guerra civile. Nel 2012 con l’avanzata dei ribelli entrano in scena attori internazionali polarizzati in schieramenti contrapposti, che offrono sostegno militare ed economico alle opposte fazioni, con gli Stati Uniti e la Turchia a sostegno delle forze non governative e Iran e Ezbollah alleati con il governo di Assad. È tuttavia nel 2013, dopo l’utilizzo di armi chimiche e i tentativi di moratoria disattesi, che -approfittando della situazione che vede incrinarsi il fronte ribelle e contrapporsi sempre più i due blocchi egemonici- iniziano a farsi spazio gruppi di estremisti islamici fino alla proclamazione dello Stato Islamico dell’Iraq e della Siria, l’ISIS, di cui si autoproclama califfo l’emiro Abu Bakr al-Baghdadi. Con il moltiplicarsi di attori strategici, il rafforzamento delle coalizioni e l’intervento nel 2015 dell’aviazione russa a sostegno governativo, si moltiplicano bombardamenti e distruzioni. Se da un lato lo stato islamico si dimostra incapace di opporsi a tre fronti, gli Stati Uniti in appoggio ai curdi, i governativi sostenuti da Russia ed Iran, e gruppi di ribelli filoturchi uniti alle forze salafite dell’HTS, questo accade -come nel caso di Aleppo- a prezzo di una totale distruzione della città. La situazione a tutt’oggi molto dinamica sembra aver risparmiato davvero poco del patrimonio storico artistico della Siria, patrimonio non solo devastato, ma spesso anche lacertizzato e mercificato nel traffico illegale di reperti per il rifornimento di armi o distrutto nei bombardamenti in una sempre più aspra contrapposizione delle parti. Un lascito di macerie e gravisssime condizioni umanitarie: “Polvere di memoria” scrive Valentina Porcheddu in uno dei suoi reportages. E come non riconnetterle alla devastazione della Germania postbellica su cui Winfried Sebald impernia la sua “Storia naturale della distruzione” e a quella rimozione collettiva che sta rischiando, per ragioni opposte -sovraesposizione o assuefazione-, di cancellare anche la storia del nostro presente, in un’“amnesia individuale e collettiva, strumento probabilmente regolato da processi preconsci di autocensura allo scopo di dissimulare un mondo ormai non più comprensibile”.

I mosaici non sono stati -intendiamoci bene- fatti esplodere intenzionalmente come i Buddha di Byaman o la città di Palmira, né hanno subito spettacolari ricostruzioni virtuali nelle capitali europee, ma sono stati coinvolti, a volte forse perfino casualmente, in quell’escalation di distruzione che caratterizza il conflitto siriano. Il patrimonio musivo era al contrario entrato a far parte di un dialogo culturale che ne aveva visto le opere più significative esposte in una serie di mostre, frutto di una collaborazione transnazionale fra specialisti e istituzioni, rappresentando quindi, anche simbolicamente, complici le scelte iconografiche dei soggetti e la collocazione in contesti multiconfessionali, un exemplum di tollerante convivenza e un chiaro messaggio irenico.

Una delle più fortunate è stata quella che dal 2006 con la mostra “Santi banchieri e re” ha visto la sinergia del Ministero degli Esteri, dell’Università di Bologna, già da anni a Bosra con la missione archeologica italiana, della Soprintendenza Archeologia dell’Emilia-Romagna, consolidatasi poi nel 2007 con l’esposizione “Mosaici d’Oriente. Tessere sulla via di Damasco” e nel 2008 nella successiva “Siria alle radici della Cristianità”, fino a culminare nel 2009 con l’inaugurazione di una nuova sezione del Museo Archeologico di Damasco presso la Galleria Nord della Cittadella con una mostra permanente. Nel 2016 la mostra “S.I.R.I.A. Salvezza Illuminazione Redenzione nell’Iconografia dell’Architettura”, ha offerto un itinerario fotografico, ancora una volta non casualmente sono le immagini a guidarci, dei mosaici pavimentali siriani in prospettiva di analisi iconografica e simbolica.

Un’iconografia che attraverso l’infosfera digitale, basta cercare con un motore di ricerca il Museo di Maarat al-Numan, in cui era conservata una delle maggiori collezioni di mosaici siriani -opere cristiane conservate in un edificio islamico antico il Khan Mourad Basha– per avere una panoramica dello mnemocidio perpetrato, si decontestualizza nella cronaca della distruzione, facendosi tassello di quell’iconosfera, quel paesaggio di immagini analizzato da Andrea Pinotti, che, annullando la distanza fra arte alta e immagini di guerra basse, confonde la nostra fruizione e che -nel trasformarci in inerti spettatori-  nega unicità al manufatto, consegnandolo al repertorio delle troppe immagini di devastazione cui stiamo assistendo.

Per restituire l’aura al mosaico siriano e cercare di coglierne gli aspetti tematici, artistici ma anche, dove sia ancora possibile -auspicio che vuole accompagnare questa disamina- conservativi e restaurativi, abbiamo incontrato la Professoressa Giovanna Bucci, archeologa, dal 1995 membro della Missione congiunta italo-siriana a Bosra dell’allora Dipartimento di Archeologia dell’Università di Bologna, diretta per parte italiana da Raffaella Farioli Campanati e per parte siriana da Riyad al Muqdad e Wafa al Ouda, funzionari territoriali della DGAM, Direzione Generale delle Antichità e dei Musei della Siria. La Professoressa Bucci è membro dell’UNESCO Roster of Experts for Syrian Cultural Heritage in Danger.

Professoressa Bucci come si è concretizzato il suo lavoro in Siria? “Diciassette anni di scavi e ricerche nel quartiere nord-est di Bosra, città fra le più danneggiate dal conflitto nella Siria meridionale, con l’Università di Bologna, in realtà da più di trent’anni studio i mosaici pavimentali degli edifici di culto cristiani, tappeti musivi di grandi dimensioni, associati ad un programma iconografico con funzioni didascaliche e apodittiche”. 

 Quali sono le caratteristiche di questi mosaici in Siria? “Innanzitutto dobbiamo rintracciare più categorie esecutive. Abbiamo mosaici geometrici, che raffigurano matasse, meandri, zig-zag, reticolati, cerchi concentrici o loro intersezioni, poligoni, stelle, gigli, rombi e nodi. Un’altra categoria sono i mosaici iconici che rimandano a temi sia religiosi che profani, rappresentati metaforicamente o con immagini dirette. Nel primo caso il richiamo è a temi veterotestamentari, fra cui sono individuabili alcune ricorrenze. L’Albero della Vita, di cui mi sono specificatamente occupata, e in generale l’iconologia dell’albero, situata all’interno di un’accentuata presenza di motivi fitomorfi. Poi la Fonte della Vita che si riconnette -in quanto fons e origo- all’acqua cosmogonica della creazione. Un’altra tematica iconografica ampiamente documentata è quella della Pacificazione degli animali, ispirata al Libro del profeta Isaia in cui si legge “Il lupo dimorerà insieme con agnello, la pantera si sdraierà accanto al capretto, il vitello e il leone pascoleranno insieme…la vacca e l’orsa pascoleranno insieme; si sdraieranno insieme i loro piccoli. Il leone si ciberà di paglia come il bue”. Si tratta di un’allegoria dell’era messianica, presagio di un ritorno alla mitica età dell’oro, con la raffigurazione di coppie di animali dalla forte ieraticità, mansueti e feroci, araldicamente affrontati ad un elemento vegetale. Un messaggio di irenica convivenza. Sono poi attestate raffigurazioni più complesse, le “Visioni del Paradiso”, con paesaggi edenici popolati da un vasto repertorio faunistico: leoni, pantere, zebù, cervi, gazzelle, elefanti, orsi, lepri, manguste, volatili dalle aquile agli ibis, cui si aggiungono raramente esseri fantastici quali la fenice e il grifone. Parliamo di raffigurazioni articolate e molto complesse. Presente anche l’iconografia del Santo Sepolcro. Le tematiche profane invece si ricollegano a scene della vita quotidiana, attività di caccia, commercio, agricoltura, pesca -che è spesso associata a motivi nilotici– oppure raffigurazioni di edifici è città”.

Ha ancora contatti con i colleghi siriani, sa se si sta facendo qualcosa per la conservazione di ciò che si è salvato nella devastazione? “Contatti scarsissimi, ho perso colleghi ed amici nel disastro della guerra. Uno dei patrimoni musivi pavimentali ascrivibili alla tarda antichità è andato distrutto. La DGAM sta lavorando, nella drammatica difficoltà della situazione, al recupero di quanto possibile, anche sulla base delle nostre ricerche e pubblicazioni scientifiche e questo rafforza il senso del nostro lavoro in un clima di sinergie internazionali finalizzate alla conservazione, dove ancora possibile, alla tutela e al recupero, nella speranza che un futuro diverso possa rendere permanenti questi sforzi e che tutto il Vicino Oriente possa finalmente riappacificarsi”.

Ringraziamo la Professoressa Bucci con un senso di feroce amarezza e di assoluta impotenza, ma anche con una vaga speranza affidata alla perseveranza della ricerca che non conosce confini.

L’auspicio è che questi mosaici, immagini di pace, convivenza e cultura, persi in una scenografia di macerie, restituita dai media quasi come sfondo necessario al nostro presente, possano ricordarci la follia di ogni guerra.

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