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Barbarie

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Claudio Piersanti
Claudio Piersanti (laureato in Filosofia a Bologna) ha pubblicato quasi tutti i suoi libri (romanzi e racconti) con la Feltrinelli. Il suo primo romanzo, Casa di nessuno, è uscito nel 1981. Alcuni, più volte ristampati in Italia,  hanno ottenuto premi (Viareggio, Vittorini ecc) e sono stati tradotti in molti paesi. Tra questi: L’amore degli adulti, Luisa e il silenzio, L’appeso, Stigmate (un libro a fumetti realizzato con Lorenzo Mattotti) e il recente La forza di gravità (2018). Recentemente ha cambiato editore, e il suo nuovo libro (Quel maledetto Vronskij) uscirà nel marzo 2021 presso Rizzoli. È stato a lungo anche sceneggiatore lavorando per il cinema (soprattutto con Carlo Mazzacurati) e  la televisione. Ha diretto per anni La rivista dei Libri (ediz. Italiana della New York Review of Books). 

Come insegnano gli storici i barbari dominatori sono stati spesso molto meno barbari di noi, che quindi eravamo più barbari dei barbari. Come principio generale direi subito: i barbari siamo noi. Barbaro, nel cosiddetto immaginario collettivo significa invece il contrario: è l’altro, il diverso, lo straniero. Che essendo naturalmente privo di cultura (come se invece gli stanziali ne avessero una) si dedicherà alle normali attività animali per sopravvivere, cioè prederà, violenterà e così via.  Si delinea quindi una contrapposizione classica: barbarie versus civiltà. Ma ammettendo che esistono i barbari (africani, asiatici, sudamericani, Europa orientale, insomma quasi tutto il mondo) siamo certi di appartenere a quella che si definisce civiltà occidentale? È esistita? Esisterà ancora? Parlo di Europa e Stati Uniti, Canada, Giappone, Australia. La lingua standard è l’inglese. Le lingue non si ibridano, si invadono, si assimilano e si cancellano. Ogni anno la nostra lingua accoglie decine di espressioni inglesi, legate ai continui mutamenti tecnologici. Del resto è giusto così. Chi fa battezza. Personal computer, si chiama così perché è nato in California. Soltanto qualche nazionalismo che sa un po’ di provincia può emanare editti linguistici: per legge il pc si chiami ordinateur! Non suona ridicolo? È un po’ come pretendere di battezzare con un nome scelto da noi il figlio di altri! A Bruxelles, dove purtroppo raramente esercito la nobile funzione di nonno, mi capita di passare davanti a un grande edificio, legato come tanti altri in città alla Comunità Europea. Si tratta di un palazzo vetro e cemento di numerosi piani, con grande portierato e insegne importanti. Con la mia nipotina, che parla tre lingue, lo chiamiamo il palazzo delle lingue, perché lì si organizza l’imponente esercito dei traduttori che ogni giorno si divide tra aule e infinite riunioni collaterali (l’UE ha 24 lingue ufficiali). Non saprei spiegare perché ma considero questo palazzo una sorta di monumento, e ognuno può intitolarlo a suo modo: al fallimento? Allo sforzo ingegnoso degli uomini per relazionarsi tra loro? Ma se, come dicevo all’inizio, la barbarie siamo noi allora siamo in un paradosso assai insidioso: perché saremmo barbari in un involucro (la democrazia occidentale) che non ha più alcun senso né storia. L’assalto a Capitol Hill rappresenta tragicamente l’inizio di una crisi epocale. Ognuno ha le sue date. Ne condivido un’altra, che nella mia memoria ha un’importanza molto più grande del ricordo che se ne ha: l’omicidio di Rabin (1995). Esistono dei punti di svolta, nella storia, che sa fare anche salti, ma riusciamo a coglierli soltanto quando sono avvenuti. Qui non si pretende di parlare del mondo e dei suoi destini. In questo presunto conflitto barbari-civilizzati mi lancerò in una previsione linguistica. La lingua italiana sparirà, anzi sta già svanendo. Non è una lingua letteraria, quella parlata dagli italiani, è una lingua televisiva, quindi con radici superficiali. Non sono poeti e letterati a creare la lingua, arricchirla, anche forzarla, ma uffici di marketing. Cancellati i dialetti (che radici ne avevano) resta un materiale spugnoso fatto di pura apparenza. Una lingua fragile, un popolo fragile, che sempre più chiaramente può essere definito neobarbarico. Non c’è una comunità, anche nella crescente diversità sociale non c’è nessuna differenza culturale. In seconda classe telefonano, suonano suonerie e musicacce tump-tump, in prima telefonano e suonano suonerie tump-tump. E al telefono parlano anche di cose intime, familiari, non lo farebbero mai nel bar del loro paese. Attorno a loro non c’è nessuno. Gli altri sono nessuno, non vengono neppure percepiti. Una società incapace di percepire la presenza dell’altro è una società pericolosa. Allo stesso modo, con la stessa ostilità sociale, si comportano come vicini di casa, certamente i peggiori del mondo occidentale che conosco. Gridano, anche al ristorante e dovunque, accendono il cellulare al cine mentre mangiano pop corn, e ogni tanto commentano le scene. Faccio notare la differenza di coinvolgimento rispetto al pubblico di poche decine di anni fa. Gli altri erano miei complici, eravamo dentro una storia, questi sono come i miei vicini che trascinano le sedie mane e sera: sono lì per rompere le scatole. Credono di essere loro lo spettacolo. Al cine si va, se proprio è necessario, quando non c’è nessuno. Barbaro: qualcuno che esiste soltanto per rendere peggiore la vita degli altri, forse per vendicarsi dello squallore della propria. Lo squallore (materiale, morale) è materia prima di ogni nazionalismo. Pensiamo allo squallore del caporale Adolf, alla sua frustrazione rabbiosa, alla sua meschina formazione basata su menzogne da osteria. Squallore, frustrazione, ignoranza: una miscela ben nota e sempre contagiosa. Oggi un cretino qualsiasi di professione sciamano ma con bandiera a strisce, indossa due corna e dà l’assalto a Capitol Hill insieme a migliaia di altri barbari che nella loro vita hanno visto solo film di cow boys. Forse questa fotografia, tra qualche tempo, verrà usata come segno anticipatore di… non sappiamo cosa. Gli antichi, nobili Barbari, spero mi perdoneranno.

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