«Falla semplice». Me lo sono sentito dire molti anni fa da miei compagni di escursioni dolomitiche, quando ero studente universitario e volevo spiegare loro cos’era la “filologia romanza”. Si sa, da giovani c’è un certo bisogno di accreditarsi, magari dando sfoggio di qualche termine ricercato o uscito direttamente dalla Treccani. D’altro canto, cercavo di rifuggire dalla logica del “parla come mangi” (o, detto in veronese: parla come te magni), che consiste in una banalizzazione senza guadagno.
Il gioco della semplicità sta tutto qui: nella ricerca di equilibrio tra la precisione e la comprensibilità. Equilibrio non facile, tanto più quanto si tratta di affrontare questioni di per sé complesse. Se devo fare una sintesi del mio lavoro, direi che è esattamente questa: alla ricerca di un mutevole punto di incontro tra quei due bisogni tra loro complementari, non opposti.
Negli ultimi anni siamo impegnati, io e i miei colleghi di Palestra della Scrittura, a definire, a praticare, a far praticare questa comprensibilità. Lo facciamo con le istituzioni, con le associazioni di categoria, con le aziende, in settori molto importanti, come le assicurazioni o le telecomunicazioni. È una operazione non facile, che deve fare i conti con una certa resistenza del mondo legale (specie dei suoi più giovani esponenti) e dall’altra parte una diminuita capacità dell’uso della lingua italiana.
È come se ci trovassimo spesso di fronte a due strade divergenti, oltre anche alla volontà dei singoli, tra chi sa e chi non sa (e a volte non sa di non sapere).
Per esempio: il linguaggio medio dei contratti assicurativi richiede competenze linguistiche alte, come testimoniato da una ricerca a cui abbiamo partecipato anche noi e commissionata da IVASS, l’Istituto di vigilanza sulle assicurazioni.
D’altro canto, ISTAT certifica che solo un diciannovenne su venti (cioè il 5%) è in grado di capire testi complessi e che le competenze linguistiche dei ragazzi italiani negli ultimi vent’anni sono diminuite.
Non ci interroghiamo qui sulle cause, molte, ma sulle possibili soluzioni, che non sono facili e coinvolgono chi si occupa di educazione, ma anche tutti coloro che hanno una responsabilità sociale, in primo luogo le istituzioni pubbliche.
Un aiuto ci viene da fuori, ma siamo anche noi di Palestra a portarlo “dentro”, qui da noi.
Da qualche decennio è attiva una organizzazione, Plain Language Association International, che promuove ricerche e attività in tutto il mondo per la semplificazione del linguaggio. Perché è un problema che tutti hanno, e non solo noi.
Inoltre, giusto un anno fa ISO ha emanato le prime linee guida (ISO 24495-1) sul linguaggio chiaro e semplice, che poi noi abbiamo tradotto nella nostra lingua a favore dell’ente normatore italiano UNI.
Senza dimenticare che anche l’Agenda ONU 2030 richiede azioni in questa direzione.
Qualcosa dunque si muove, ma le resistenze sono ancora molto alte, se sul sito del Ministero della Salute, ancora oggi si leggono passi di questo genere:
«A tale riguardo si precisa che, in conformità a quanto previsto dall’articolo 11, comma 5, del D.P.C.M. n. 159/2013, che equipara, ai fini della richiesta delle prestazioni assistenziali, l’ISEE con omissioni o difformità a un ISEE valido, il richiedente, nel caso di attestazione ISEE rilasciata con omissioni e/o difformità, ha trenta giorni di tempo, dal termine ultimo di presentazione della domanda, per regolarizzare l’ISEE attraverso le tre modalità alternative previste dal medesimo D.P.C.M. e di seguito indicate».
D’altra parte, semplicità non consiste certo nell’usare solo “fare” e “avere” né nel ricorrere allo slang giovanile o giovanilistico (“ghostare”, “cringe”, “spottare” e via discorrendo).
«Semplicità, per te si cammina su un fil di lama», si potrebbe dire parafrasando Montale. Ed è così: una via stretta e “sfidante” (come si usa dire), come il gradino Hillary sull’Everest o le Bocchette del Brenta. Non abbiamo scelta però: da lì, se vogliamo arrivare alla vetta o al rifugio, dobbiamo passare.