Martin Eden è la storia di un uomo che per amore di una donna sceglie di abbandonare il suo mondo dei bassifondi per dedicarsi alla scrittura, ma è anche molto di più: è una critica sociale ai valori del nascente capitalismo americano ed è un lucido ritratto dello sforzo totalizzante necessario a divenire uno scrittore. Un cammino in cui le soddisfazioni, quando arrivano, se arrivano, sono solo il traguardo di un percorso fatto di incertezze, delusioni e rinunce. Un uomo che lotta con se stesso per lasciare sulla carta qualcosa di veramente incisivo. La storia di Martin è la storia del suo creatore Jack London.
Martin Eden è forse uno dei romanzi più avvincenti e profondi, un prodotto complesso su più livelli, del prolifico autore statunitense Jack London.
Nato John Griffith Chaney (San Francisco, 1876 – Glenn Ellen, California, 1916), Jack London (pseudonimo che riprende il cognome del padre adottivo) incantò l’America con i suoi racconti del Grande Nord, e ancora oggi appassiona i giovani lettori con i suoi romanzi di avventura senza tempo.
L’autore di Zanna Bianca non si è mai limitato al solo romanzo d’avventura, al racconto di luoghi lontani, di terre incontaminate e selvagge. La sua produzione conta anche opere di riflessione e di critica politica e sociale. In questo filone di rinnovato interesse sociale possiamo inserire, pur con dei dovuti distinguo, anche la sua opera intitolata Martin Eden, scritta tra il 1907 e il 1908 durante una crociera nei Mari del sud e pubblicata prima a puntate in un giornale, poi sottoforma di libro nel 1909.
La storia è quella di Martin Eden, appunto, un marinaio californiano che s’innamora di Ruth, un’aristocratica di censo, figlia di una famiglia dell’alta e colta borghesia americana. Nel tentativo di spingersi verso di lei, di entrare a far parte di un mondo diametralmente diverso dai sobborghi proletari a cui Martin è abituato, egli scopre dapprima la lettura, divenendo un insaziabile lettore, e poi coltivando il sogno di diventare uno scrittore. Quella di Martin Eden è la storia travagliata di un proletario che sceglie di seguire la strada che lo porta a diventare uno scrittore, una strada in salita che gli costa fatica, sacrificio, rinuncia e che lo porta ad attraversare mete della coscienza inesplorate e lontane dalle sue aspettative.
Martin Eden è dunque un romanzo di formazione, di trasformazione totale che investe il pensiero e il linguaggio, di un uomo nuovo che emerge dalla fatica di una metamorfosi così radicale come il passaggio dal proletario all’artista. Eppure, la straordinarietà e la forza di questo romanzo stanno nel fatto che non si limita a descrivere il cambiamento, e nemmeno si ferma a incorniciare l’amore come motore di una trasformazione assoluta, ma presenta diversi strati d’interpretazione.
Questo romanzo è una fotografia dell’America del primo Novecento, con la borghesia monopolistica al suo apice storico e sociale e, per contro, con la vita del sottoproletariato confinato nei sobborghi affollati delle grandi città. Due realtà così vicine ma così distanti, due civiltà e due lingue composte di concetti e concezioni diverse. London non solo racconta questa dicotomia vivente, ma la critica, focalizzandosi sulla debolezza del dogma del successo e dell’happy ending, della Way of Life americana, fornendo peraltro un patrimonio di tematiche affrontate da scrittori successivi, come ad esempio Fitzgerald nel suo The Great Gatsby.
Un’altra interpretazione in merito a Martin Eden è il valore autobiografico dell’opera. Come Martin anche Jack London ha conosciuto la fatica del lavoro manuale, il tormento della fabbrica, e ha conosciuto il popolo dei bassifondi industriali, oltre che aver intrapreso la strada ardua ed estenuante che lo ha portato ad essere scrittore. Ha sempre lavorato, sin dalla giovane età, e la sua vita è stata un’avventura di per sé. London scrive questo libro quando è già all’apice della sua carriera, i suoi romanzi sono ormai noti ed apprezzati, perciò egli può guardare al passato e riversare la sua esperienza sulla carta. Certo, ci sono elementi di finzione, ma il modo in cui egli descrive gli insuccessi e le frustrazioni del protagonista restituiscono agli occhi del lettore un’esperienza concreta, dove il finale non è sicuro.
In Martin Eden, la genesi dello scrittore si manifesta in tutta la sua cruda realtà, fatta di passi incerti, errori iniziali, e del rimbombo di quelle parole di sfiducia pronunciate da osservatori esterni che risuonano nella testa di chi scrive e che rischiano di fargli perdere l’equilibro. In questo libro London ci fa capire che non è semplice essere scrittori, non basta saper scrivere, urge intervenire profondamente sulla coscienza e sulle proprie credenze, intraprendere un viaggio che non ci lascia intatti e immutati. Anche questo è il blocco dello scrittore, la ricerca dei concetti e delle parole, il confronto con la realtà materiale che avviene non appena si stacca la penna dal foglio. Questo tipo di blocco, appesantito dalla ricerca interiore, dal timore di dare alla luce qualcosa di incompleto e insoddisfacente, oppure dalla paura di essere inadatti per comunicare il messaggio di cui si intende farsi portatori, rischia di uccidere una promessa della letteratura sul nascere, privare il mondo di nuove storie, nuove prospettive. Eppure, Martin l’ha vinto, e così anche Jack, ma non senza pagarne il prezzo. Ma non può essere (non deve!) questo articolo a spiegare l’intensità e la bellezza di un’opera come Martin Eden, su cui qui si riporta solo una riflessione, e pertanto si vuole rivolgere l’invito a chi leggerà questo articolo a fare esperienza della storia di Martin Eden.
RIFERIMENTI
Jack London, Martin Eden, Universale Economica Feltrinelli, Milano, 2016. Si segnalano in particolare la postfazione e il commento all’opera di Mario Maffi, docente di Cultura angloamericana all’Università Statale di Milano.