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25×2 = ?

Autore

Aurora Martinelli
Aurora Martinelli, nata nel 1998, dopo gli studi classici ha conseguito una Laurea Triennale in Storia presso l’Università degli Studi di Padova con una tesi dal titolo “La lunga liberazione. La questione della specificità femminile nelle esperienze post Olocausto” con la professoressa Enrica Asquer. Contenta, ma non abbastanza, ha conseguito un'altra laurea in Graphic Design presso la LABA di Rovereto con una tesi di progetto dal titolo "Sfumature. Interazione tra podcast e comunicazione visiva in un progetto di divulgazione storica" col prof. Matteo Carboni. Mossa dal desiderio di unire l'anima storica e quella grafica e lavorare nel campo della comunicazione culturale, attualmente si muove tra Trento, dove collabora con la Fondazione Trentina Alcide De Gasperi e con lo Studio di Davide Dorigatti, e Bologna, dove lavora per Un Altro Studio.

Nel 2011 apre a Bologna Un Altro Studio, uno spazio che raccoglie vari professionisti nel campo della progettazione grafica e della comunicazione. Matteo Carboni, progettista grafico e fondatore dello studio, voleva esplorare “un altro modo” di progettare, non più per le persone, ma con le persone. Nei suoi 13 anni di attività lo studio ha raccolto numerose collaborazioni in ambito culturale e sociale, diventando un punto di riferimento in questo settore per la città di Bologna e i dintorni. 

Nella carrozzeria nera e lucida del van si sono specchiati tutti i luoghi che Matteo ha attraversato tra l’estate e l’autunno del 2023. Alcuni di questi riflessi sono stati fissati in fotografie che lui stesso ha definito “kitsch”, ma che funzionano per raccontare per scorci che cosa è stato il suo viaggio di tappe 25, come gli anni in cui ha lavorato come progettista grafico – cioè metà esatta della sua vita. In ogni tappa, un incontro diverso, con uno, o una, o più progettisti e progettiste nell’ambito della comunicazione visiva, quel mare in cui si svolgono attività spesso poco definibili e non sempre comprensibili per chi non vi abbia navigato dentro almeno per un po’. Anche a chi vi nuota dentro, comunque, capita di sentirsi talvolta fermi e un po’ smarriti. A Matteo Carboni è capitato proprio nel momento in cui aveva raggiunto gli obiettivi che si era fissato: uno studio ben avviato, con parecchio lavoro, degli ottimi collaboratori che sente come seconda famiglia. Tutto andava avanti quasi senza sforzo, ed è sorta lì, la domanda: e adesso?

“Adesso” c’era forse bisogno di riemergere con la testa dall’acqua, prendere fiato e guardare da sopra e da fuori le increspature delle onde, per chiarire meglio dove stia fluendo la corrente e in quale direzione si voglia andare. 
Ma lasciamo che sia lui a raccontarci come.

Prima di raccontarci del tuo viaggio, capiamo un po’ il tuo contesto: da che cosa ti stavi allontanando nel momento in cui sei partito?

Intanto, grazie per questo invito. I grafici amano giocare con le lettere, e a me piace farlo anche con i numeri. A un certo punto mi sono trovato davanti a delle ricorrenze numeriche interessanti, che richiedevano attenzione e gioco. A ciò si è aggiunta una necessità personale dovuta ad un momento complesso dal punto di vista familiare. Mi è sembrato il momento giusto per tentare un bilancio, e per farlo ho voluto una piccola pausa. Mi sono allontanato per guardare da lontano, con lenti diverse, quel mare di cui parlavi tu, nel quale nuota una professione in veloce cambiamento. Mi occupo di progettazione grafica da 25 anni tentando, a volte con fatica, di ridarle quel ruolo “sociale” che ha avuto in passato per alcuni miei maestri. Credo nella grafica “utile” e nel mio lavoro cerco di progettare strumenti di comunicazione che possano servire al pubblico, e per questo l’ambito in cui mi muovo è quello della cultura e del territorio. Un anno fa, le domande sono venute spontanee: lo sto davvero ancora facendo? Questo mestiere (come lo definiva Albe Steiner) serve ancora a qualcosa? Non trovando le risposte dentro di me, ho deciso di prendere un van, sogno (di tanti) di una vita, e di andarle a cercare in giro per l’Italia ascoltando la voce di altri progettisti.

Come mai proprio un viaggio?

L’idea è venuta senza cercarla. Credo che l’attività di progettazione sia estremamente connessa con il luogo, fisico e antropico, in cui la si pratica. Volevo entrare davvero in contatto profondo con i miei colleghi? Allora dovevo andarli a trovare a casa loro. E poi ho scelto un viaggio perché è bellissimo. Perché è la metafora per eccellenza della ricerca. Perché l’unico modo per progettare strumenti visivi è guardare, e soprattutto vedere più luoghi, persone, alberi e cieli possibili.

Parli di ricerca, ma hai spesso parlato anche di fame, che spinge poi alla ricerca. Credi che ci siano delle differenze tra la fame che si prova da giovani, quando tutto sta per cominciare e si sente il bisogno di nutrirsi, e quella che si prova da più adulti, che forse più che col crescere ha a che fare col sopravvivere? 

È un tema su cui mi interrogo spesso. Indubbiamente, a muovermi e portarmi a partire c’è stata anche una sensazione di “sazietà”, per stare nella tua metafora. Questa fame, senza la quale si tende a fermarsi, in effetti la sentivo meno. Tutto ormai funzionava anche senza quell’urgenza, ma questa sensazione di piatta non mi piaceva. Volevo averla ancora, questa fame. Citando Paolo Nori: «è proprio quando va tutto bene che inizio a preoccuparmi». Anche se so che non è un pensiero condiviso da molti, sono convinto che quello del grafico sia uno strano mestiere, che funziona in un certo senso al contrario: farlo da molto tempo non dà alcuna garanzia di farlo meglio o con più tranquillità, anzi. Da giovani si è affamanti, ma meravigliosamente incoscienti e presuntuosi. Si ha la certezza di essere bravi, e devo dire che “i giovani di oggi” (parlo come mio nonno) lo sono pure. Poi si cresce, e diventa evidente che per la sua “mutevolezza” questa attività richiede costante formazione, aggiornamento, conoscenza (di tutti i tipi, dal tecnico all’umanistico), “nutrimento”, appunto. Va a finire che  si diventa sempre più attenti e consapevoli, e di conseguenza estremante più critici nei propri confronti. Oltre a questo, la mia esperienza personale conferma questa dinamica: sono autodidatta, non ho una formazione accademica – 30 anni fa non era così diffusa e accessibile –, quindi vivo costantemente con la sensazione di non essere mai abbastanza preparato per affrontare un progetto nuovo. In più, dopo anni di professione, e devo dire con ottime soddisfazioni, sorge comunque la domanda: ma posso ancora avere buone idee? Non è che siano “finite”? Se viene a mancare la fame e resta solo il senso di inadeguatezza, è un problema. A quel punto, tocca partire alla ricerca di quella fame. 

Che rapporto hai con la velocità e il ritmo a cui sta correndo il mondo? Nel tuo viaggio hai sentito che in qualche modo questo ritmo è stato modificato?

Mi piace il ritmo veloce, non c’è dubbio, ma vorrei poterlo gestire. Tutto il contesto lavorativo si è incredibilmente velocizzato, e va a finire che si sente il bisogno di rallentare. Questi 25 anni li ho davvero attraversarti correndo forte, rendendomi conto solo dopo di non avere dedicato la giusta attenzione a molte cose importanti della vita – anche se per tante, ma purtroppo non per tutte, sono ancora in tempo. Quindi ho tirato il freno. È stato un viaggio lento, dove ho riscoperto la meraviglia dello “stare nel presente”, insieme al dispiacere dell’essermi accorto di avere smesso da molto tempo di farlo. Forse questo è il tema più importante che ho portato a casa.

A proposito di questo: adesso che sei tornato, pensi che ci saranno altre vie per trovare quella spinta, per nutrire quella “fame”, anche senza allontanarti fisicamente?

Non saprei. Per ora ho “solo” goduto delle sensazioni più epidermiche e viscerali, ma per capire bene cosa mi abbia lasciato questo viaggio ho bisogno di riprendere contatto con tutto quello che ho raccolto in termini di scambi con le altre persone. In questi mesi e nei prossimi riascolterò tutto il materiale video che ho raccolto e metterò in ordine i contenuti. In quel momento, credo, avrò la reale percezione del patrimonio inestimabile che ho raccolto. C’è un tempo necessario di elaborazione. Comunque, allontanarsi ogni tanto fa sempre bene.

Il viaggio e la riflessione che hai fatto ti avranno sicuramente portato a vedere alcune cose in maniera nuova. Era anche parte dello scopo, giusto? «Vedere le cose più da lontano». Ora che sei tornato “dentro” la tua vita, c’è qualcosa a cui rinunceresti e qualcosa a cui, invece, torni volentieri e sentendone il bisogno? 

Sono felice di avere ritrovato tutto il bello che avevo lasciato, che è tanto: dai miei figli, al mio studio e le persone belle che lo popolano. Credo anche di aver capito, per quanto possa sembrare banale, che per sentire di nuovo quel “bisogno di fare questo mestiere” si debba fare anche molto altro. Vorrei chiudere con una citazione di un amico che stimo tantissimo, Mauro Bubbico, che in un suo recente intervento ha detto «diventerete veramente bravi (grafici) quando vi dimenticherete della grafica».

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