UM: Non siete stupiti della ripubblicazione del vostro libro a cento anni dalla nascita di uno di voi e in un’epoca che per certi versi si propone com’è l’opposto di quella in cui il libro fu scritto?
FOB: Più che stupore coltiviamo speranza. Che si torni finalmente a mettere in discussione la norma e una cosiddetta normalità che mentre si presenta rassicurante esclude ogni differenza e opprime la libertà.
UM: Come accade secondo voi che ad un certo punto a divenire deviante siano il pensiero e l’orientamento della maggioranza?
FB: Non è facile comprenderlo ma da sempre le società si evolvono per implosioni ed esplosioni culturali. Un ruolo possono averlo pensieri di particolare discontinuità che ad un certo punto emergono a fronte di una normalità che si evidenzia insopportabile. Ma non è detto che quei pensieri abbiano seguito. É l’azione che può dare loro corpo e, anche se limitata, anticipare il cambiamento e la trasformazione.
UM: Una scintilla che diventa incendio?
FOB: Devo dire che eravamo abbastanza consapevoli di agire su uno dei cardini del controllo sociale. Sovvertendo la funzione repressiva affidata alla psichiatria, sentivamo che si potesse propagare un’onda d’urto capace di interessare l’intera vita sociale e culturale.
UM: Cosa e come accaddero le cose?
FB: Quello che più mi è rimasto impresso è una conversazione senza limiti e senza fine che si svolgeva ovunque e con grande liberalità. La ricerca riguardava in particolare l’istituzione di nuove norme a partire da una fervida immaginazione.
UM: Non mancavano però anche tra coloro che pur vi sostenevano le posizioni non solo contrarie ma anche rigide e ideologiche. Come si identifica l’inedito che si è manifestato seppur tra le fessure delle diverse oppressioni esterne ed interne?
FOB e FB: Si affermò quello che è uno dei lasciti forse più rilevanti del lavoro di quegli anni: un modo sempre più differenziato e articolato di vedere la società. Ancora oggi, anche se spesso non ce ne accorgiamo e non ne valorizziamo le potenzialità, vi sono dinamiche sociali non fatte di schieramenti di categorie o classi, ma molecolari, con le loro autonomie, con le loro linee di fuga, che possono diventare strumenti di trasformazione e non di alienazione.