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Della concretezza dell’esperienza. Ripensare l’educazione tradita.

Autore

Rosario Iaccarino
Rosario Iaccarino, nato a Napoli nel 1960, dal 1982 al 1987 ha lavorato come operaio presso la SIRAM, assumendo l’incarico di delegato sindacale della Fim Cisl; nel 1987 è entrato a far parte dello staff della Fim Cisl nazionale, prima come Responsabile dell’Ufficio Stampa e dal 2003 come Responsabile della Formazione sindacale. Cura i rapporti con le Università e con l’Associazionismo culturale e sociale con i quali la Fim Cisl è partner nei diversi progetti. Giornalista pubblicista dal 1990. È direttore responsabile della rivista Appunti di cultura e politica. E’ componente del Comitato Direttivo e del Comitato Scientifico dell’Associazione NExT (Nuova Economia per Tutti).

Sembra un libro scritto in questi giorni e soprattutto per questi giorni. E’ dedicato al pensiero del filosofo Alfred North Whitehead sui fini dell’educazione: testi che risalgono ai primi decenni del 1900. L’ha curato un pedagogista di prim’ordine e dalla forte sensibilità filosofica come Francesco Cappa, docente all’Università Bicocca di Milano, allievo di Riccardo Massa e Angelo M. Franza1.

La pubblicazione di alcuni testi scelti di Whitehead sull’educazione aiuta assai bene a cogliere lo scarto, la distanza, il tradimento avvenuti nel tempo verso un discorso e una pratica rigorosi, appropriati, scientifici sull’educazione (e la formazione) immaginata come un’arte. «Whitehead – ricorda Cappa nell’introduzione  –  indica una qualità della relazione con la conoscenza che chiama “saggezza” e parla di una grandezza del carattere che si manifesta nella capacità di impiegare la conoscenza in modo da trasformare ogni fase dell’esperienza immediata in qualcosa che si riempie di senso per sé e per le relazioni nelle quali siamo coinvolti. Ammoniscono, dunque, questi scritti quelle posizioni che interpretano la pedagogia da un punto di vista di un sapere meramente utile e produttivo»2.

Dall’elaborazione di Whitehead, già a quell’epoca, emergeva la preoccupazione per le possibili derive negative e improprie che l’educazione e la formazione potessero prendere, e che, come una sentenza già scritta, possiamo nel nostro tempo chiaramente osservare. Educazione e formazione sono oggi  caratterizzate dal linguaggio economicistico e neoliberista che le tiene in balìa delle logiche di mercato, oppure costrette nel meccanicismo e nel funzionalismo di organizzazioni burocratiche e non accoglienti, ovvero nella riduzione a cruscotti delle competenze e cassette degli attrezzi in particolare nel rapporto con il lavoro. 

Per non dire dell’uso strumentale populistico autoritario che ne viene fatto da certa politica, della scuola in particolare, ogni qualvolta si propongono questioni sociali complesse come l’invivibilità  delle periferie o  la cittadinanza degli immigrati, che dovrebbero invece essere riconosciute come “materia prima” dell’educazione, nella prospettiva di realizzare una cittadinanza piena per tutti, relazioni intersoggettive cooperative, e una convivialità democratica e civile delle differenze. 

E’ l’esperienza il punto di partenza di ogni processo educativo, in quanto espressione del funzionamento della realtà in generale, i cui modi dominanti, secondo Whitehead, sono, nella sintesi operata da Francesco Cappa, «il riferimento corporeo immediato, l’efficacia del passato sul presente (cioè la nostra realtà precedente, ciò che ci è già dato), la rilevanza fondamentale del futuro come potenzialità implicita nel presente (…) La mia immediatezza ha un senso in quanto si colloca in un orizzonte non immediato, ossia non (ancora) realizzato. Risiede qui la reale concretezza dell’esperienza, nel suo essere continuamente nel divenire della sua costituzione»3.

E’ l’esperienza che genera la coscienza ed è condizione fondamentale per l’individuazione di ciascuna e ciascuno,  grazie «a quell’unità emergente che prende i tratti dei suoi atti e si costituisce via via attraverso delle scelte, delle decisioni. Una definizione questa particolarmente interessante se si intende ogni possibile teoria della formazione, ogni pedagogia come una genealogia dei suoi effetti. Le premesse che la filosofia dell’educazione deve cercare non vanno intese come realtà ontologiche, ma come strumenti operativi della prassi che Whitehead chiama ‘civile’, come strumenti per comprendere in profondità, allo stesso tempo, il processo che forma i modi in cui il sapere si forma»4.

In questa prospettiva proviamo sotto la forma di un’intervista a posteriori a interrogare – soffermandoci  solo su alcune pagine di questo prezioso libro –  il pensiero di Whitehead sull’educazione, per tornare alle radici di una questione decisiva per la vita, per l’individuazione soggettiva e collettiva, e per le implicazioni che ne derivano per la libertà individuale e la costruzione della cittadinanza attiva e della democrazia con la contribuzione di ciascuna e ciascuno.

RI: Lei dice che una buona educazione deve rappresentare la vita: in che senso?

AW: Una sola è la fondamentale materia dell’educazione: la Vita in tutte le sue manifestazioni. Invece di questa unità, che cosa offriamo agli studenti? Algebra, da cui non deriva nulla, geometria, da cui non deriva nulla, un paio di lingue mai realmente possedute, e, infine, più spaventosa di tutte, la letteratura, rappresentata da drammi di Shakespeare, con un corredo di note filologiche e brevi analisi della trama e dei caratteri, che, in sostanza, dovranno essere imparate a memoria. Può dirsi mai che un tale elenco rappresenti la vita, come la conosciamo nell’atto stesso di viverla?

RI: Sta affermando che l’educazione connette e ricompone  il generale col particolare, emozioni e cognizioni, pensiero e azione?

AW: Non potete dividere in due l’abito dell’apprendere, che è uno e senza cuciture. Ciò che l’educazione deve suscitare è un senso intimo della potenza delle idee, della bellezza delle idee e della struttura delle idee, insieme con un particolare corpo di conoscenze che ha peculiari riferimenti alla vita dell’essere che lo possiede.

RI: Anche la scissione tra cultura e conoscenza è dannosa. 

AW: La cultura è attività di pensiero e ricettività alla bellezza e ai sentimenti umani. Un uomo semplicemente ben informato è l’essere più noioso e inutile che ci sia sulla terra. Noi dobbiamo mirare alla formazione di uomini che possiedano sia cultura, sia un’esperta conoscenza in qualche particolare direzione. L’esperta conoscenza darà loro il punto di partenza  e la cultura li condurrà sia alle profondità della filosofia sia alle altezze dell’arte…..Le idee inerti, a eccezione di rari intervalli di fermento intellettuale, hanno profondamente infettato l’educazione del passato. Questa è la ragione per cui donne intelligenti non istruite, ma che hanno osservato molto del mondo, costituiscono, nella loro età adulta, la parte di gran lunga più colta della società: esse sono sfuggite a questo orribile peso delle idee inerti.

RI: Un altro aspetto critico che rileva è l’impoverimento delle radici ideali dell’educazione che finisce per riprodurre automatismi e l’omologazione delle persone che non le fa progredire, crescere….

AW: L’essere discesi dalla divina saggezza, che fu la meta degli antichi, fino alla conoscenza manualistica, che è attuata dai moderni, sta a indicare un insuccesso educativo che si è prolungato per secoli. Ciò che voglio dire è che all’alba della nostra civiltà europea, gli uomini cominciarono a indirizzare l’educazione con ampi ideali, e che a poco a poco, i nostri ideali si sono abbassati per adattarsi alla pratica quotidiana. Ma quando gli ideali sono abbassati a livello della pratica, il risultato è la stasi. In particolare finchè noi concepiamo l’educazione intellettuale semplicemente come l’acquisizione di meccaniche attitudini mentali e di definizioni preformulate di verità utili, non ci può essere alcun progresso….

RI: In un passaggio dei suoi scritti afferma perentoriamente che l’educazione non è – come credono molti ancora oggi  – “l’inzeppamento di oggetti vari in un baule”, ma l’acquisizione della saggezza.

AW: Non si può essere saggi senza qualche fondamento di conoscenza, ma si può facilmente acquistare conoscenza e rimanere privi di saggezza. Ora la saggezza è il modo con cui si padroneggia il sapere. Essa riguarda l’utilizzazione della conoscenza, la sua scelta per giungere a chiarire questioni di rilievo, il suo impiego per dar valore alla nostra esperienza immediata. Questo padroneggiare la conoscenza che è la saggezza, è la più intima forma di libertà attingibile. 

La mente dell’allievo non è una scatola da riempire senza garbo con idee estranee, e dall’altro l’acquisizione ordinata di conoscenza è il naturale alimento di un’intelligenza in sviluppo. Se si hanno frequenti contatti con giovani appena lasciano la scuola e l’università, si notano subito le menti instupidite di coloro la cui educazione si è ridotta all’acquisizione di conoscenza inerte.

RI: Con l’affermarsi delle neuroscienze cognitive alcuni processi relativi all’apprendimento sono sempre più chiari. Lei anticipando alcune riflessioni in questa direzione mostra particolare attenzione  al rapporto tra mente e ambiente, tra esperienza e educazione.

AW: …questa furia di impartire mera conoscenza distrugge se stessa. La mente umana rifiuta una conoscenza impartita in questo modo. La brama di espansione, di attività, propria della gioventù, è scoraggiata da un’arida imposizione di conoscenza disciplinata. Il primo modo di procedere della mente in un nuovo ambiente è un’attività in certo modo discorsiva in mezzo a una ridda di idee e di esperienze. E’ un processo di scoperta, di familiarizzazione con pensieri curiosi, di formulazione di problemi, di ricerca di soluzioni, di invenzione di nuove esperienze, di osservazione di ciò che avviene come risultato di nuovi tentativi.

RI: La meraviglia e la fantasia sono tra gli ingredienti irrinunciabili del processo educativo, a suo avviso…

AW: Esso è dominato dalla meraviglia e rovinato dallo sciocco che distrugge la meraviglia. Ora, senza dubbio, questo stadio di sviluppo ha bisogno di aiuto, e anche di disciplina. L’ambiente dentro il quale la mente agisce deve essere accuratamente selezionato. Esso deve, naturalmente, essere scelto in modo da corrispondere allo stadio di sviluppo dell’allievo, e deve essere adeguato alle sue esigenze individuali; apparentemente è un’imposizione dal di fuori, ma in un senso più profondo è una risposta al richiamo di vita sentito dal ragazzo. Mentre l’insegnante pensa di aver mandato l’allievo al telescopio per osservare le stelle, questi sente di aver avuto libero accesso alle bellezze dei cieli.

RI: Altra qualità di un processo educativo efficace è quello che chiama “il ritmo”, evocando l’importanza del rispetto dei tempi di crescita delle persone.

AW: Il principio è semplicemente questo: che gli alunni dovrebbero affrontare materie e metodi di studio differenti a tempo opportuno, quando essi, cioè, abbiano raggiunto lo stadio più adatto di sviluppo mentale….non ritengo che questo principio, così evidente, sia stato applicato nella pratica educativa prestando la dovuta attenzione alla psicologia degli allievi.

RI: Meraviglia, fantasia, ritmo: un approccio molto interessante, ma credo ampiamente sottovalutato nei processi educativi, ancor più oggi rispetto alla sua epoca….

AW: Il mio parere è che un arresto nell’assimilazione delle idee sorge inevitabilmente quando una disciplina di precisione viene imposta prima che uno stadio della fantasia abbia compiuto il suo corso, nella mente in sviluppo. Senza l’avventura della fantasia, nel migliore dei casi, si può ottenere una conoscenza inerte, senza iniziativa, e, nel peggiore, si può ingenerare il disprezzo per le idee, senza conoscenza.

RI: Nell’educazione “la geometria e la poesia sono essenziali come travi maestre”. Con una battuta efficacissima lei sottolinea la necessità di tenere insieme la conoscenza tecnica con la visione intellettuale – oltre all’importanza dell’esperienza – pena impoverire il processo educativo.

AW: L’azione e il nostro impegno nel corso degli eventi, in mezzo all’inevitabile catena di cause ed effetti, sono fondamentali. Un’educazione che si sforza di separare la vita intellettuale o estetica da questi elementi fondamentali porta con sé la decadenza della civiltà. In ultima analisi, la cultura dovrebbe servire all’azione e il suo risultato dovrebbe essere la liberazione dall’attività pratica da pastoie di inutile fatica. L’arte esiste perché si possa riconoscere come buoni i dati dei nostri sensi. Essa innalza il mondo dei sensi.

Voglio dire che ogni forma di educazione dovrebbe dare all’allievo una tecnica, una scienza, un corredo di idee generali, il gusto estetico, e ciascuno di questi aspetti della sua preparazione dovrebbe essere illuminato dagli altri.

RI: Esiste un nodo critico enorme nei processi educativi odierni: l’assenza del corpo. Come la vede lei tale questione?

AW: Questo è esattamente l’errore del sistema di studi platonico postrinascimentale. La relazione tra l’attività intellettuale e il corpo, sebbene diffuse in ogni centro di sensazioni, sono accentrate negli occhi, nelle orecchie, nella voce e nelle mani. C’è una coordinazione dei sensi e del pensiero e anche una reciproca influenza tra l’attività del cervello e l’attività creativa materiale.

Il fondamento primo della vita intellettuale è la conoscenza di prima mano. Il sapere libresco procura in gran parte nozioni di seconda mano e, come tale, non può mai assurgere all’importanza della pratica immediata. La nostra meta è di arrivare a considerare  gli eventi immediati della nostra vita come esempi delle nostre idee generali. Ciò che il mondo dotto continua a offrirci sono nozioni frammentarie di seconda mano che illustrano le idee derivate da altre nozioni frammentarie di seconda mano. Il carattere di seconda mano del mondo dotto è la ragione della sua mediocrità.

NOTE

  1. F. Cappa (a cura di), Alfred N. Whitehead, I fini dell’educazione, Milano, 2022, Raffaello Cortina Editore
  2. F. Cappa op. cit., Introduzione pagg. XXVIII e XXIX
  3. F. Cappa op cit., Introduzione pag. XIII
  4. F. Cappa op. cit. Introduzione pagg. XVII e XXVIII
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