UNA COSMOGRAFIA DELL’INTERIORITÀ A PARTIRE DA UN PASSO DELLE ENNEADI DI PLOTINO
«Come si può vedere quale bellezza ha un’anima buona? Rientra in te stesso e guarda: se ancora non ti vedi bello di dentro, fa’ come lo scultore di una statua che deve venire bella, il quale a volte toglie e a volte leviga, a volte liscia e a volte raffina, fin quando sulla statua non riaffiori un bel volto. Dunque, comportati anche tu come lui, togliendo il superfluo, raddrizzando ogni stortura, purificando ciò che è opaco per renderlo lucente, non smettendo mai di ritoccare la tua propria statua, fino a quando non riluce per lo splendore divino della virtù e non vedi la temperanza saldamente posta su di un piedistallo immacolato»¹.
La riflessione che segue emana – è il caso di dirlo – dal testo appena letto: si tratta di uno stralcio estrapolato dalle Enneadi di Plotino e, più in specifico, dalla sesta esposizione contenuta nella prima sezione del capolavoro neoplatonico. Il brano in questione è senz’altro denso e importante, non solo per la sua oggettiva portata teoretica ma anche per la considerazione storica che gli è stata riservata presso molti autori cristiani della tarda antichità, i quali ne valorizzano l’attenzione per la bellezza legata allo spirituale e ne sposano l’esortazione a farla rifulgere nella propria interiorità. La bellezza autentica – constata Plotino – non può che essere interiore, giacché solo l’anima può interfacciare i principi primi dell’essere e ascendere alla contemplazione del Bello in sé².
A colpire, nel brano appena letto (che si presenta, per inciso, come una ripresa dal Fedro³ di Platone), è la metafora scultorea mediante cui Plotino descrive simbolicamente il lavoro che ciascuno è chiamato a fare per purificare la propria anima, togliendo in primo luogo il superfluo (αφαίρει όσα περιττα), sbozzando poi le sue parti non ancora del tutto proporzionate (απεύθυνε όσα σχολια) e giungendo da ultimo alla finitura, consistente nell’eliminazione di ogni opacità dalla sua superficie (όσα σχοτεινα χαθαίρων). Occorre togliere. Per essere pienamente se stessi è necessario sottrarre, eliminare, non aggiungere o accumulare sempre più: questo pare suggerire Plotino. Il suo messaggio può essere senz’altro considerato potentissimo e persino rivoluzionario, soprattutto per una società come la nostra in cui la spinta – spesso indotta – ad avere-sempre-di-più risulta direttamente proporzionale al rischio di non-esser-più; una società in cui pare fatalmente inevitabile vivere secondo la logica economicistica del compro, godo e scarto e sembra illegittimo sentirsi soddisfatti.
«Per un contesto – osserva Zygmunt Bauman – che vede nella customer satisfaction la motivazione di fondo e l’obiettivo a cui tendere, l’idea stessa di un consumatore soddisfatto non ha in sé nulla di buono né di positivo: si tratta semmai della più terribile delle minacce. Ciò che vale per la società del consumo in generale, vale anche per i singoli individui che ne fanno parte. Il consumatore soddisfatto rappresenterebbe una catastrofe anche per se stesso. Per dirla con Dan Slater, la cultura del consumatore associa l’idea di soddisfazione a quella di stagnazione economica: essa prevede che i bisogni di ciascuno siano insaziabili e in perenne ricerca di nuovi prodotti attraverso cui essere appagati⁴».
Occorre togliere, si diceva. Togliere per fare (e per farsi) silenzio, togliere per pensare adeguatamente, imparando nuovamente a vedere, ad essere attenti a ciò che conta, a dirigere la propria intelligenza per giungere a fare di ogni idea e di ogni immagine un luogo privilegiato. Togliere, per permettere all’anima di respirare correttamente ed impedire, nel contempo, che essa sia soffocata dalle cose e dai bisogni artificiosamente creati dal mercato. Già, perché anche l’anima, come il corpo, respira ed è chiamata a farlo al meglio: mentre quest’ultimo, respirando, commercia con una minima porzione di mondo fatta d’aria, l’anima, respirando, interfaccia qualsiasi espressione del reale. Nulla le è estraneo. Respirando, l’anima inspira il senso, assumendo in sé il significato delle cose; espirando si apre costitutivamente all’altro da sé e a ciò che la eccede, diventando attiva plasmatrice del mondo e ponendosi come spinta a trascendere se stessa, non per giungere ad una suprema solitudine ma per incontrare l’alterità molteplice e vivente della verità⁵.
«L’anima – osserva assai convenientemente Carmelo Vigna – è un essenziale esser-altro. Quando inspira, accoglie in sé qualsiasi cosa nel senso che essa diventa qualsiasi cosa: lascia che qualsiasi cosa si manifesti in lei, che appaia per come essa è. L’anima, in questa sua funzione di inspirazione, è una sorta di specchio del mondo. E così tutto il mondo (…) è come dentro di lei. Per poter accogliere, bisogna in qualche modo ritrarsi. Se ospitiamo qualcuno, gli mettiamo a disposizione la casa, gli diamo spazio anche nel senso che lo ascoltiamo e ci mettiamo a sua disposizione. L’anima è questo lasciar spazio a tutto ciò che sta al mondo. È un essenziale ritrarsi fino a diventare, in un certo qual modo, niente di sé. Solo a questo patto può avere tutto per sé. Inspirando il mondo, si fa, essa, niente di mondo, e così possiede in sé il mondo e diventa mondo, senza residui. Questo sperimentano tutti quelli che si addestrano a meditare. E di solito questo si ottiene anche tramite una certa maniera di respirare fisicamente. Del mondo, l’anima accoglie le forme delle cose, non accoglie la cosa nella sua realtà materiale. Nell’anima c’è la pietra, ma non come pietra reale; nell’anima c’è la forma della pietra: ciò per cui distinguiamo una pietra da un gatto o da una stella. Questo mondo di forme è ciò che l’anima poi espira⁶».
Respirando, l’anima non solo può ospitare la verità del reale o assecondarla (comandando alle cose e plasmandole per i propri buoni fini), ma può anche guidare ciò che le è più prossimo e familiare, il corpo e le sue passioni, assumendo una postura etica nei confronti del Tutto. Per questo, prima che per ogni altro motivo, occorre darsi da fare per permettere alle nostre anime di respirare – ovvero di conoscere (inspirando) e di desiderare (espirando) – correttamente, di respirare bene giacché conoscere la verità e desiderare il bene sono gli atteggiamenti esistenziali che, concretamente, consentono una salda presa sul mondo e una strategia di vita buona e condivisa. Lavoriamo, dunque, a togliere ciò che appesantisce l’anima per pensare secondo verità e per ben desiderare – dal momento che – parafrasando Pascal – sta in questo il principio di tutta la morale⁷.
¹ Plotino, Enneadi, I 6 (1) 9, 6-15, Rusconi, Milano 1992, pp. 141-143.
² Cfr. D. Iozzia, Ragioni e fortuna della metafora dello scolpire in Plotino, Enn. I 6 (1) 9, 6-15, in Online Journal of the Center of the Hellenic Studies, Harvard University 2010, pp. 1-12.
³Cfr. Platone, Fedro, 252d 7 e 254b 7, Bruno Mondadori, Milano 1996, pp. 91-93.
⁴ Z. Bauman, Homo consumens. Lo sciame inquieto dei consumatori e la miseria degli esclusi, Erickson, Trento 2007, p. 24.
⁵ Cfr. R. Mancini, Il silenzio, via verso la vita, Qiqajon, Magnano 2002, pp. 128-129.
⁶C. Vigna, Sostanza e relazione. Indagini di struttura sull’umano che ci è comune, Orthotes, Napoli 2016, vol. II, p. 201.
⁷ Cfr. B. Pascal, Pensieri, n. 232, in Idem, Opere complete, Bompiani, Milano 2020, p. 2393.
Ottimo intervento. Condivido tutto e ringrazio per il ricordo di alcune mie righe…
Un abbraccio da cv