La maschera come emblema di presenza e mancanza

Autore

Paolo Fedrigotti
Paolo Fedrigotti (Rovereto, 1981) si è laureato in filosofia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano con una tesi su Dante e la filosofia medioevale. Si è specializzato nell’insegnamento secondario presso la Ssis della Libera Università di Bolzano. Ha conseguito il baccellierato in Sacra Teologia presso lo Studio teologico accademico di Trento. Nella stessa città è docente di storia della filosofia e di filosofia della conoscenza ed epistemologia all’Istituto teologico affiliato e all’Istituto di scienze religiose, nonché di filosofia e storia nei licei di Riva del Garda. È membro della Scuola di Anagogia di Bologna e autore di numerosi articoli specialistici e monografie.

OSSERVAZIONI SUL NESSO SEMANTICO TRA MASCHERA E PERSONA

Afferendo sia all’ambito della linguistica che a quello dell’antropologia filosofica, quest’intervento mira a focalizzare l’origine semantica del termine persona a partire dal suo significato primitivo che, come è noto, scaturisce dal contesto teatrale ed è connaturato all’elemento scenico della maschera, per gettar luce sullo spessore ontologico che caratterizza la persona umana. 

Considerare il plurisecolare sviluppo della nozione di persona all’interno della cultura occidentale è, in questa sede, impossibile: la cosa richiederebbe un approccio interdisciplinare ampio e composito, in grado di mostrare come l’evoluzione di tale concetto si debba all’interrelazione tra campi disciplinari molto diversi come la teologia, la filosofia, la giurisprudenza, la sociologia e la psicologia1. Qui ci accontenteremo di concentrare la nostra attenzione sulla genesi della parola latina persōna – da cui si diparte l’identico termine in lingua italiana – per provare a spiegare, tramite una personalissima interpretazione, cosa la simbologia della maschera sottenda nel rimandare alla persona umana come ad una sostanza relazionale e, più precisamente, come ad una sostanza e una relazione che, in un certo qual modo, possono dirsi mancate e mancanti2. Che si voglia intendere con tali espressioni sarà chiaro più avanti.

«Il termine persona – dichiara Franco Chiereghin, dalle cui note desideriamo prendere le mosse – è percorso dall’ambiguità, sotto qualunque aspetto esso venga considerato: nella sua nascita, nella gamma dei suoi possibili significati, nella sua storia, nella portata speculativa che ad esso, di volta in volta, è assegnata. […] L’ambiguità è presente nel termine […] fin dalla nebulosità che rende indistinta la sua stessa comparsa»3

Quanto il filosofo e docente emerito dell’Università di Padova afferma è senz’altro corretto: malgrado i numerosissimi studi passati e presenti condotti sull’argomento, lo scenario in cui il vocabolo persona prende forma è di difficilissima decifrazione. Sussistono, a tal proposito, tre ipotesi atte a spiegarne la nascita: c’è chi ritiene di dover far derivare il termine direttamente dall’omologa radice del greco πρόσωπον (pròsopon); c’è chi – dando credito al parere di Gavio Basso, riportato da Aulo Gellio e ripreso poi da Boezio – sostiene la provenienza della parola dal verbo personare, nel senso di risuonare, amplificare la voce, in relazione alla funzione megafonica delle maschere nel teatro classico; c’è chi, infine, ritiene plausibile la derivazione del termine latino in oggetto dal segno etrusco phersu (da cui persu-na/maschera). Qualunque sia la vera provenienza del termine persona, è indubbio il fatto che esso si leghi a doppio filo all’idea di maschera per poi assumere estensivamente il significato più generico di ruolo attribuito a un certo tipo umano, a un volto o a un personaggio4; un analogo procedimento pare segnare, in parallelo, pure il greco pròsopon, che indica ciò che sta davanti (pros) agli occhi, allo sguardo (opè). 

Mi pare interessante evidenziare come, tanto nella prospettiva latina quanto in quella greca, non ci sia fondamentalmente alcuna differenziazione linguistica per indicare le nozioni di maschera e di persona: ciò accade perché – a differenza di quanto avviene in epoca moderna – la maschera è lì pensata (almeno in chiave teatrale) non per dissimulare o nascondere un’identità, ma per manifestarla. Così, sia che si riferisca a persona o a maschera, pròsopon/persōna è ciò che contraddistingue l’essenza precipua di ogni uomo. Tale sovrapponibilità risulta, a ben vedere, potentissima e, insieme, ambigua: se, da un lato, infatti la persona umana, mediante la sua maschera/volto, arriva ad uscire da sé per fare esperienza del mondo e degli altri e per scoprirsi nello sguardo che gli altri le rivolgono, vero è pure che la personalità nel momento in cui afferma, tramite il suo sembiante, la sua presenza – è, insieme, rimando ad un orizzonte invisibile che ne trascende la fisicità e segno del limite intrinseco della sostanzialità e della relazionalità che la caratterizzano: una sostanzialità e una relazionalità che, da un certo punto di vista, risultano – come si diceva in precedenza – mancate e mancanti

Mentre la sostanzialità dice del permanere presso di sé da parte di un certo ente e, dunque, di una qualche relazione a sé da parte sua, la relazionalità testimonia la sua tendenza irresistibile a rapportarsi ad altro, uscendo da sé. Ora, la persona umana pare aver inequivocabilmente a che fare con entrambe le dinamiche: essa, per riferirci ad una terminologia un poco tecnica, è sia un in sé che un per sé, è un originario riferimento ad altro che, al tempo stesso e inevitabilmente, risulta originario riferimento a sé, e nel contempo, essa è relazione impossibilitata a diventare pienamente relazione e sostanza impossibilitata a diventare pienamente sostanza. 

«Che l’uomo non riesca a diventare pienamente relazione – scrive Carmelo Vigna, chiarendo quanto appena detto – lo si ricava dalla fattuale e storicamente insuperabile presenza del finito come termine intenzionale; che non riesca a diventare pienamente sostanza lo si ricava invece dall’impossibilità di tornare presso di sé come coscienza equata [o assoluta]: essa mai sa, storicamente, del sapere dell’intero del contenuto. (…) Potremmo anche esprimerci così: sostanza e relazione sono nell’uomo realtà totalizzanti ma non totali. (…) Una relazione che è sostanza e una sostanza che è relazione: la persona umana sta in qualche maniera all’incrocio di tali direzioni; eppure essa non è nessuna di queste due pienamente, anche se in un certo modo le realizza entrambe. Come dire che l’impossibilità di ottenere l’equazione tra queste due direzioni segna profondamente la persona umana, così come a noi essa è storicamente nota»5

Parafrasando le riflessioni di Alessandro Pizzorno contenute in un suo breve quanto ficcante saggio sull’argomento, potremmo affermare che, come la maschera indica un limite nello stesso momento in cui afferma la sua presenza6 (ponendosi quale un volto bidimensionale, la cui testa e il cui corpo sono tutt’altro rispetto a ciò che essa manifesta), così la persona umana sia sostanza che non basta a se stessa e relazione che non basta a se stessa e risulti, proprio per questo, relazione che tende a diventare sostanza e sostanza che tende a diventare relazione. La personalità e la relazionalità, nell’uomo, tendono ad espandersi indefinitamente, ma in maniera chiasmatica: il movimento intenzionale con il quale la sostanza viene a fluidificarsi nella relazione è bilanciato inevitabilmente dall’opposta dinamica che porta la relazione a solidificarsi nella sostanza7, tanto da rendere la sostanzialità e la relazionalità umane una tensione e un compito concretamente aperti all’infinito.

NOTE

1 Cfr. E. Berti, Il concetto di persona nella storia del pensiero filosofico, in Idem (cur.), Persona e personalismo, Gregoriana Editrice, Padova-Roma 1992, pp. 43-74.
2 Cfr. C. Vigna, Sostanza e relazione. Indagini di struttura sull’umano che ci è comune, Orthotes, Napoli 2016, vol. II, p. 21.
3 F. Chiereghin, Le ambiguità del concetto di persona e l’impersonale, in V. Melchiorre (cur.), L’idea di persona, Vita e Pensiero, Milano 1996, p. 65.
4 Cfr. P. Montefusco, Persona. Suggestioni ed echi di un termine ambiguo, in Quaderni del dipartimento jonico, 11 (2019), p. 212.
5 C. Vigna, Sostanza e relazione. Indagini di struttura sull’umano che ci è comune, pp. 22-23. 
6 Cfr. A. Pizzorno, Sulla maschera, Il Mulino, Bologna 2008, p. 23.
7 C. Vigna, Sostanza e relazione. Indagini di struttura sull’umano che ci è comune, p. 27.

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