Scappo da nessuno o da me stessa?
Mi guardo le mani e le disprezzo,
odio quel che ci sta dietro,
le braccia che fanno sì ch’io crei e viva
‘ste giornate vuote,
piene soltanto di malinconia;
“Portami via”,
gridai a mamma quel giorno,
ora è un ricordo morto
lei non c’è più ed io non capisco
che ci faccio quaggiù.
M’osservo le dita
e desidero spezzarle
così da non poter toccare
tutto quel che la vita mi fa fare,
così da non poter più raccontare
delle persone che dovrei dimenticare.
Mi guardo le mani e le disprezzo,
mi son appiccicata i giudizi della gente
e mi ricordano che non c’è nessuno
che mi viene a prendere fuori scuola,
mi accarezzano
memorandomi del fatto
ch’io son diversa
e dunque dovrei vergognarmi di me stessa;
entro in classe e nemmeno mi salutano,
non aiutano
i miei mondi immaginari.
Mi siedo su un muretto
e zitta zitta,
m’incammino verso i pensieri
che oramai mi tormentano da ieri;
mi sento una ballerina
anche se io necessito di una tachipirina
e di tanto adattamento,
questa terra non mi piace
e non m’appartiene
dunque alla fine,
che mi conviene?
Nessun posto ha nulla da offrirmi,
durante il viaggio ho perso chi sapeva sostenermi
e amarmi per davvero.
Alla fine, che mi trattiene qui?
Vivere sembra più una corda al collo
che un sorriso che vien dal profondo,
io mi sento una foglia d’autunno
bella colorata, ricca di sfumature
che vien calpestata,
mi sento un sasso scaraventato in acqua
con la fine di chi non sa nuotare,
mi sento l’ultimo pezzo
per il quale si litiga e non sempre si condivide,
mi sento la forchetta pesante
che lasci ai genitori
mentre apparecchi,
mi sento un tubetto di dentifricio tutto schiacciato
per farne uscire qualcosa di sensato,
mi sento un’erbaccia
in mezzo ad un campo di fiori.
Quando piange una bella ragazza
dagli occhi azzurri come il cielo
la sentono tutti,
sembra uno tsunami
al contrario di me,
quando piango
tutti si divertono a giocare
nel parco d’acqua dei divertimenti.
Ormai da due anni son qui,
‘ove le terre non son familiari
e non mi donano neanche del fertilizzante per me stessa.
Sono corsa via;
perché laggiù regnava la brutta compagnia,
perché dov’ero tutto era violento e spaventoso,
perché rischiavo la vita per un pezzo di pane
e sentivo di dover pagare
anche l’aria da respirare.
Mi alzo e me ne vado,
non riesco a comandare
i pensieri che mi vengono a trovare;
li offro allora del the caldo
così nel mentre il pensare non ci farà visita
ed io potrò vivere un po’.
“Diversa non sei,
apprezza i tuoi nei
bacia la tua pelle
e conta le stelle
ricorda che per il fumo, il buio
di dov’eri prima
il cielo non lo vedevi di sicuro,
vivi la tua vita
non fartela rovinare completamente mai da nessuno,
soffri, ridi, piangi e arrabbiati
credi in un futuro.”
Sono scappata
senza lasciar tracce,
una farfalla volevo essere;
bella e silenziosa,
ho avuto pochi consiglieri nella vita
e ora finisce qua
con le mie dita
e la mia mano
desidero volar via lontano,
sono scappata
ma non mi hanno trovata
e se anche mi incontrassero
non potrei consegnarmi,
nemmeno io so dove sono
mi hanno staccato pezzi di pelle
durante il viaggio;
mi arrabbio con me stessa,
mi guardo le mani e le disprezzo:
“Ma perché nessuno mi guarda dentro.”